Nel punto più alto di quella che fu la mia esperienza con l’epoca PlayStation 2, fra il mare di titoli in cu sono incappato mi ritrovai a cozzare contro un videogioco piuttosto particolare. A quell’epoca un me così giovane aveva soltanto due punti di riferimento da seguire quando si cimentava nella scelta del prossimo videogioco da spolpare. Banalmente, come si addice a un bambino, mi basavo su quello che leggevo nelle riviste specializzate e, ancora più superficialmente, sulle immagini del gioco in questione e sulle sensazioni che queste mi lasciavano.
Fu così che scoprii dell’esistenza di Okami, sfogliando le pagine di un’ormai deceduta rivista che qualcuno potrebbe ricordare come PlayGeneration. Ignaro del fatto che a capo del progetto ci fosse quello stesso Hideki Kamiya che aveva regalato a me e al mondo quei capolavori di Devil May Cry e Residen Evil, decisi di acquistare Okami per via del suo comparto artistico tutt’ora unico e per le belle parole spese dalla critica specializzata.
A dispetto di quanto piacque a chi di videogiochi ne masticava parecchio, Okami non vendette granché all’epoca in cui uscì. Le poche copie vendute di Okami e God Hand portarono alla prematura chiusura del talentuoso sviluppatore Clover Studio, un’azienda sussidiaria fondata e finanziata da Capcom. Fu così che il 2 ottobre 2006 durante una riunione il consiglio di amministrazione di Capcom decise di chiudere Clover Studio. Un gran peccato per l’industria del videogioco vista la qualità dei due titoli sopracitati, potresti pensare.
Ma come in molte cose al di fuori del mondo del videogioco, anche stavolta chiusa una porta se ne apre una più grande: è proprio dalle ceneri di Clover Studio che vedrà la luce la magnifica Platinum Games.
La leggenda del lupo bianco
Una delle ragioni per cui Okami probabilmente non fece il successo sperato è dovuto a una questione culturale. Non è da moltissimi anni infatti che la cultura giapponese ha preso piede in occidente e nel 2006 gli amanti dell’esotico oriente erano perlopiù una nicchia. E, purtroppo e per fortuna di Okami, il gioco è intriso fin dalle fondamenta di cultura giapponese. Sono infatti onnipresenti riferimenti alla religione shintoista, così come al folklore giapponese e sono questi elementi a rendere così unico Okami.
Il gioco si ambienta nell’età classica del Giappone e parte in media res con un flashback di cent’anni. In questo secolo un grande lupo bianco di nome Shiranui diede battaglia al demone Orochi, aiutato da uno spadaccino di nome Nagi. Il demone, un serpente dalle otto teste, venne effettivamente sconfitto e sigillato mentre lo spadaccino riuscì a salvare il villaggio e l’amata donzella dalla minaccia. Tuttavia il prezzo da pagare per la sconfitta della calamità fu grande: il lupo Shiranui morì, stremato dalla battaglia e dal veleno dell’infido serpente.
Dopo il flashback torniamo nel presente e scopriamo che un antenato di Nagi di nome Susano ha spezzato per errore il sigillo che teneva imprigionato Orochi al villaggio. A questo punto interviene uno spirito maggiore della foresta di nome Sakuya che, terrorizzata dall’oscurità fatta calare sul mondo dal demone finalmente libero, invoca l’aiuto della dea Amaterasu. E chi meglio della dea del sole per fendere le ombre di Orochi?
La dea purificatrice si reincarna in un bellissimo lupo bianco, molto simile a com’era Shiranui. Armata della capacità di utilizzare il pennello celestiale, unica arma in grado di sconfiggere in modo definitivo Orochi, Amaterasu partirà alla ricerca delle 13 tecniche che le consentiranno di sconfiggere il demone serpente. Al posto di un fiero spadaccino come fu Nagi per Shiranui, ad accompagnarla ci sarà il piccolo artista vagabondo Issun, interessato ad apprendere le tecniche per lui stesso.
Siccome è possibile recuperare Okami con estrema semplicità (soprattutto su Steam grazie a Eneba), evito di continuare a raccontarti la trama. Ti basti sapere che, soprattutto andando avanti, i riferimenti alla ciclicità shintoista degli eventi e i riferimenti alla cultura aumentano esponenzialmente, con l’accenno per esempio della Principessa Kaguya e persino al famosissimo Star Blazers.
In Okami dovrai dipingere!
Se il valore della trama si ferma all’omaggio della cultura giapponese, ma poi procede in maniera abbastanza lineare e tutto sommato dimenticabile, un altro elemento che contribuisce a rendere Okami indimenticabile è il gameplay. Okami sembra in tutto e per tutto un classico hack & slash rifinito e del tutto funzionante, in cui si ha la possibilità di eliminare i vari demoni sul cammino a colpi di spada o utilizzando armi meno convenzionali per l’occidente come specchi magici o rosari buddisti. È anche possibile infoltire la propria rosa di attacchi con delle tecniche che si possono apprendere all’interno del dojo.
Ciò che però rende Okami un hack & slash ben sopra la media fu una trovata geniale che venne in mente agli sviluppatori pensando proprio allo stile artistico che stavano utilizzando per il gioco. Si chiesero “Non sarebbe fantastico se permettessimo al giocatore di partecipare a questo disegno invece di guardarlo e basta?”
Ed è così che nacque l’idea del pennello celestiale. Nel gioco Amaterasu poteva concretizzare il suo dominio sugli elementi, lo spazio e il tempo attraverso questo strumento magico. Nel bel mezzo di qualsiasi situazione di gioco era possibile fermare il tempo e far comparire a schermo un foglio di carta di riso. A questo punto bastava disegnare con il pennello una forma (chiaramente preimpostata) per lanciare una sorta di magia elementale. Disegnando una spirale, per esempio, era possibile sprigionare una fortissima folata di vento!
Per ottenere le 13 tecniche di utilizzo del pennello era necessario liberare delle divinità apposite. Per potenziare l’effetto di questi miracoli era necessario invece ottenere della fede, una valuta alternativa ai più classici yen. Era possibile ottenere questa valuta alternativa solo ed esclusivamente portando a termine missioni secondarie e, così facendo, ottenere la “fede” da parte degli uomini a cui eravamo andati in soccorso. Non meno importante, i miracoli potevano essere utilizzati anche al di fuori della battaglia, per risolvere enigmi o per sorpassare sezioni platform che il gioco proponeva spesso e volentieri. Questi elementi platform e da puzzle game, uniti a un buon numero di minigiochi rendevano Okami un titolo piuttosto variegato!
Dentro un capolavoro, in bilico fra cel-shaded e sumi-e
Come ti dicevo all’inizio della rubrica a colpirmi inizialmente non fu l’ambientazione di Okami, palesemente carica del bagaglio culturale e storico giapponese, ma la sua direzione artistica fuori da qualsiasi schema che avessi affrontato fino a quel momento. E tutt’ora mai più riproposta.
Lo stile adottato da Clover Studio per il suo Okami è veramente unico, perché unisce due stili diversi per crearne uno quasi nuovo. Lo stile di pittura a inchiostro e acqua (sumi-e in giapponese) è uno stile monocromatico che fa della sua essenza dei tratti d’inchiostro neri, declinati in diverse concentrazioni. Guardando Okami però vien da se che si tratti di un titolo molto sgargiante e colorato, agli antipodi della definizione di monocromatico.
Lo sviluppatore per regalare vivacità e vitalità alla sua creatura ha quindi deciso di unire i decisi tratti d’inchiostro ai colori variopinti del teatro Kabuki, un tipo di rappresentazione giapponese che fa della sua forza il body painting e scenografie dotate di colori accesissimi.
Anche se il comparto tecnico non era dei migliori neppure per la sua epoca, con qualche sbavatura di troppo, il comparto artistico era in grado di nasconderli in modo egregio. Soprattutto se consideriamo la colonna sonora in grado di farti immergere dai piedi alla testa nell’atmosfera da età classica giapponese, non ho timore di dire che Okami per la sua epoca fu un vero e proprio capolavoro.
Un gameplay da hack & slash innovativo, particolare, senza sbavature, una trama non memorabile ma scorrevole e ispiratissima e soprattutto una direzione artistica da favola, sono tutti elementi che sono pronto a scommettere abbiano scolpito a ferro e fuoco Okami nei ricordi di chiunque abbia avuto la fortuna di giocarlo.
Qualche curiosità interessante
- Il nome Okami è un gioco di parole incomprensibile per noi italiani. Se Okami in giapponese significa grande dio, la parola Ookami significa invece lupo, chiaro riferimento alla reincarnazione della dea Amaterasu.
- Okami nel 2006 ha vinto il premio IGN come miglior gioco dell’anno.
- In un intervista Hideki Kamiya ha confermato che gli elementi platform e puzzle game sono un’influenza dovuta a The Legend of Zelda.
- L’arca di Yamato, il relitto di una nave capace di navigare tra le stelle, è un palese riferimento alla corazzata Yamato di Star Blazers.