Gli anni novanta erano ormai agli sgoccioli e nel settanta/ottanta avevamo visto sorgere uno dei generi più amati dell’epoca, quello dei mecha. Abbiamo imparato ad amare robottoni come UFO Robot Goldrake, Mazinga, Jeeg robot d’acciaio o gli americanissimi Transformers, per arrivare negli anni 90 accompagnati da serie altrettanto storiche come Gundam e Neon Genesis Evengelion.
Era perciò normale, per noi bambini dell’epoca, avere l’infantile desiderio di interagire in prima persona con questi giganti di metallo, poter impersonare quei coraggiosissimi piloti che hanno segnato la nostra infanzia. I videogiochi sono stati un ottimo mezzo per tentare di colmare questo vuoto, ma solo nel 1999 in Europa arrivò su Dreamcast e su PC un gioco che ebbe la capacità di riempire questa lacuna: stiamo parlando di Slave Zero.
Slave Zero è stato sviluppato da Infogrames. Nel gioco sei un giovane ribelle che si è fuso con l’unità prototipo di un gigantesco esercito di robot bio-meccanici; tanto per cambiare, il malvagio dittatore SovKhan intende utilizzare questi colossi per schiavizzare il mondo. Ti ritroverai a camminare in un’enorme città con la possibilità di distruggere edifici e di lanciare auto; soltanto quando smetterai di giocare con l’ambiente ricorderai la ragione per cui sei lì, ovvero affrontare le forze di SovKhan.
In Slave Zero la distruttibilità è tutto!
Per molti aspetti, Slave Zero ricorda una versione 3D di sparatutto 2D classici come Contra, anche se la curva di apprendimento è meno rapida. Il tempismo è tutto, tra evitare colpi, sparare all’indietro e correre come se non ci fosse un domani. La tua unità di Slave è equipaggiata con tre diversi tipi di armi, un fucile, un’arma a energia e un lanciamissili; queste armi possono essere potenziate con upgrade meravigliosamente letali.
Ad esempio, l’arma a energia può essere equipaggiata in modo che passi dal colpo singolo a uno a grappolo, un colpo devastante che scioglierà l’ambiente colpito dall’impatto, spazzando via l’angolo di un muro o una striscia di pavimento in un magnifico spettacolo di distruzione. Per concludere in bellezza c’è l’incarnazione finale del fucile, un gigantesco lanciarazzi che sono abbastanza certo metterebbe paura a qualunque avversario!
Le boss fight erano il fiore all’occhiello
Un altro elemento di Slave Zero per cui vale la pena ricordarlo sono i combattimenti contro i boss. Anche all’epoca dell’uscita la stampa specializzata apprezzò questo elemento a discapito di molti altri; occorre inoltre ricordare che la versione Dreamcast non aiutò molto nel giudizio finale del prodotto, visto l’enorme numero di problemi tecnici.
Se i primi boss possono essere sconfitti semplicemente continuando a sparare finché non scoppiano in mille pezzi, man mano che si avanza nella trama ne arrivano altri dal design sempre più interessante, divertenti e in grado di offrire un’ottima sfida. In una di queste boss fight, mentre ti muovi dal tetto di un edificio all’altro, ti ritroverai contro un’unità Slave volante con un corpo inferiore simile a un serpente. Questa creatura si divide in due, con i suoi componenti che entrano e escono dallo schermo sparandoti contro.
Quando le due parti si fondono nuovamente insieme, la creatura distrugge l’edificio su cui ti trovi. Oltre a sopravvivere al fuoco dell’avversario quindi, dovrai anche riuscire a infliggergli abbastanza danno da sconfiggerlo prima che distrugga i quattro edifici disponibili. In caso contrario, incorrerai ugualmente nel game over.
In un altro livello, devi annientare un altro modello di Slave prima che la stanza in cui si svolge il combattimento si riempia di acido. In entrambi gli scontri quindi non dovrai soltanto sopravvivere alla bene e meglio, ma dovrai combattere con bravura e rispettando i tempi richiesti dal combattimento. Questo rendeva Slave Zero un titolo piuttosto impegnativo per l’epoca, anche se tutt’altro che impossibile.
Peccato soltanto che il sistema di checkpoint prima dei boss funzioni piuttosto male. In caso di sconfitta, ricomincerai da un salvataggio fatto poco prima della battaglia con il boss, cosa che ti costringe a rifare più volte sezioni e combattimenti con i nemici precedenti.
La grafica ha retto l’impatto del tempo?
Per l’epoca la grafica di Slave Zero era nitida, con immagini pulite, esplosioni impressionanti, effetti delle armi e una completa mancanza di pop-up. Non è un caso che la versione Dreamcast soffrisse di mancanza di audio, drop di framerate e crash improvvisi; semplicemente arrancava nel reggere il titolo.
Il design dei robot e dei livelli è ben progettato, l’illuminazione aiuta a creare un’atmosfera oscura e opprimente e gli effetti sonori funzionano a dovere nell’obiettivo di supportare le immagini. Nel complesso il gioco è molto “quadrato” e ben progettato, anche se bisogna sempre tenere a mente che si parla di una produzione di più di vent’anni fa.
Nel caso in cui fossi interessato a provare Slave Zero anche a distanza di così tanti anni, sappi che il gioco dispone di una versione Steam ancora commercializzata. Per meno di una decina di euro potrai provare quanto ti ho raccontato in questo episodio. Purtroppo la versione disponibile sullo store di Valve è mancante del multiplayer, anche se a essere onesti non ti perdi nulla di spettacolare. In ogni caso ti lascio un gameplay così da vedere tu stesso!