Oggi sono qui per parlarti letteralmente di una parte della mia infanzia, quello che a mio avviso è il miglior capitolo di una delle saghe di picchiaduro che più ho amato: Soulcalibur III. Un titolo che forse è meno iconico di Soulcalibur II, ma che ha portato con se delle migliorie (e in particolare una modalità) che mi hanno letteralmente rapito.
La trama riprende proprio dalla fine di Soulcalibur II, Siegfried è riuscito a liberarsi dall’influsso malvagio della Soul Edge grazie all’aiuto della Soul Calibur. Nonostante questo, è nata una maledizione delle innumerevoli stragi che lo spadaccino ha compiuto durante la sua possessione.
Tutta quella sofferenza ha creato una sorta di alter ego malvagio dell’eroe biondo, una mostruosa aberrazione di nome Nightmare che abita una minacciosa armatura e impugna ciò che resta della spada maledetta. Nightmare è alla ricerca di Siegfried, per riprenderne il controllo e distruggere una volta per tutte la Soul Calibur.
A sfruttare la situazione, macchinando nell’ombra, è Zasalamel, uno sciamano esiliato dalla sua tribù, un culto che ha come obiettivo la preservazione della Soul Calibur. L’uomo, tramite rituali proibiti dalla tribù, ha ottenuto l’immortalità tramite la reincarnazione. Quella che inizialmente sembrava essere una benedizione, è finita per diventare una maledizione e infatti in Soulcalibur III Zasalamel vuole letteralmente morire. Per riuscire nel suo intento, vuole far incontrare Siegfried e Nightmare con le rispettive spade, ottenere il potere di entrambe e con la forza guadagnata porre fine al suo tormento.
Combattimenti all’ultima mazzata!
Soulcalibur III mantiene il suo gameplay frenetico e spettacolare anche in questo capitolo, aumentando il feedback visivo dei combattimenti grazie a una grafica per nulla male per il 2005 di PlayStation 2. Se la controparte più conosciuta di nome Tekken nello stesso periodo faceva della sua forza il combattimento corpo a corpo, Soulcalibur ha sempre proposto un gameplay all’arma bianca che, in cuor mio, ho sempre preferito. E lo dico da grandissimo amante della saga di Jin Kazama, come testimonia la mia OBG su Tekken 5.
Sicuramente non tecnico come Tekken e di certo sprovvisto delle sue mirabolanti catene combo, di Soulcalibur ho sempre preferito il tempismo in cui inserire i vari colpi. Il titolo infatti fa leva su un sistema di morra cinese che rende attacchi o movimenti più efficaci o meno efficaci nel sovvertire le manovre avversarie in base alla situazione.
Per esempio, anche se più veloci e di solito di portata maggiore, gli attacchi verticali sono facilmente evitabili spostandosi di lato. Allo stesso tempo, è possibile punire con un bel fendente orizzontale un avversario che fa troppo affidamento sullo spostamento. Colpi orizzontali che, a loro volta vengono quasi sempre anticipati da quelli verticali. Aggiungici parate, colpi speciali, prese e dal mix nasce una danza mortale all’ultima mazzata, ingigantita da una spettacolarità visiva senza pari.
E a tutto questo ben di dio, Soulcalibur 3 aggiungeva portava con sé delle modalità davvero stuzzicanti.
Soulcalibur III, una storia di anime e spade
Prodotto sempre da Namco ed essendo il fratello più giovane di Tekken, da questo Soulcalibur ha sempre ereditato delle modalità simili nel design. Non manca quindi una modalità storia che dedica una storyline a ogni personaggio, qui chiamata Storie di anime e spade. Una trama composta da una successione di vari scontri, inframezzata costantemente da cutscene, parti testuali e artwork.
Una modalità che, dopo aver giocato e rigiocato, posso affermare con una certa sicurezza che fosse ben più curata di quella offerta da Tekken in quel periodo. Sempre a ricalco del picchiaduro più famoso di Namco sono presenti una modalità allenamento e una versus.
Al contrario di Tekken però Soulcalibur III introduce una modalità chiamata Arena delle anime, una serie di sfide che richiedevano di compiere azioni molto specifiche per essere completate. Inoltre nel gioco è possibile creare un personaggio, utilizzabile in qualsiasi modalità (a esclusione di Storie di anime e spade) e dargli il moveset di uno qualsiasi dei personaggi giocabili. Anche se il moveset resta esattamente quello di un altro personaggio, è possibile modificare quello creato aggiungendo tantissimi dettagli estetici ed arricchendo il suo aspetto con una letterale infinità di oggetti cosmetici.
Oggetti che, per la maggior parte, andavano sbloccati in una modalità apposita. Una modalità che inizialmente avevo lasciato perdere, preso dalle varie storie dei personaggi. Una volta completate tutte le storyline e volendo continuare a giocare, dopo tante partite giocate in versus contro amici e parenti, ho finalmente deciso di lanciarmi nell’inedita modalità introdotta da Soulcalibur III: Cronistorie della spada.
Si tratta di una modalità che fonde ben tre generi differenti: picchiaduro, strategico e gioco di ruolo. Cronistorie della spada racconta la storia di una guerra fra tre regni, storia il cui perno sarà proprio il personaggio che abbiamo creato! In ogni capitolo della modalità, l’obiettivo sarà di arrivare allo scontro finale della scacchiera. Al comando del nostro personaggio e di altre unità, si possono muovere più unità o il nostro personaggio verso villaggi o roccaforti e decidere se affrontare la battaglia in modo automatico o viverla in prima persona con un classico scontro da picchiaduro.
Cosa determina la vittoria nella battaglia automatica? È qui che entra in gioco la parte RPG! Infatti ogni nostra unità livellerà in base agli scontri portati a termine, aumento di livello che andrà a conferire statistiche maggiori e anche qualche perk particolare! A rendere ancora più interessanti le cose, alcuni stage hanno anche dei malus come, per esempio, la caratteristica terremoto, che farà continuamente vibrare la telecamera durante tutto il combattimento!
Starà quindi a te decidere se rischiare le tue unità con la battaglia automatica o prendere i loro panni in combattimento, in base alla loro forza e a quella degli avversari!
Non si tratta di nulla di visionario, ma è una modalità piuttosto piacevole in un picchiaduro come Soulcalibur III. Sono usciti tanti altri capitoli, ma dal terzo capitolo in poi per quello che mi riguarda la qualità della saga è sempre andata a calare, nonostante il mio amore per il brand non sia mai scemato. Soulcalibur VI è un gran capitolo, ma in cuor mio continuo a sperare che Namco Bandai possa trovare il coraggio di regalarmi un capitolo che mi rapisca come fece il terzo ben più di quindi anni fa.