Quella di Devil May Cry è una delle saghe capostipite del genere action e tra le prime a siglare i successi iniziali della mistica PlayStation 2: dopo una settima generazione non proprio brillante per questa IP storica, complici un quarto capitolo numerato che non ha convinto pienamente gli appassionati e il soft reboot che è quasi stato la pietra tombale per il franchise, Capcom è rinsavita con nuove idee e spirito d’iniziativa i quali hanno portato alla realizzazione di Devil May Cry 5, uno dei giochi più apprezzati della saga (e il più venduto).
Sebbene la formula della nuova avventura di Dante, Nero e V possa risultare certamente un’esperienza ben confezionata grazie a una solida evoluzione del gameplay della saga, è bene ricordare quanto le scelte di game design del primo capitolo siano ancora forti e presenti non solo all’interno della serie, ma soprattutto nel genere hack ‘n’ slash moderno.
Il primo DMC è infatti una sorta di vademecum per ogni titolo action che si rispetti: è giusto che la prima avventura del figlio di Sparda goda di uno spazio tutto suo all’interno della nostra rubrica Old But Gold. Ecco a te, caro lettore, un approfondimento dedicato a Devil May Cry.
Dalle ceneri di Resident Evil 4
In principio, il primo Devil May Cry è stato inizialmente concepito come Resident Evil 4: Shinji Mikami, director della celebre saga horror che ha fatto la fortuna di Capcom, affidò le redini del progetto a Hideki Kamiya poiché il progetto next-gen avrebbe dovuto portare una ventata di freschezza al franchise anche dal punto di vista delle meccaniche di gioco, le quali stavano iniziando a soffrire di stagnamento dopo Resident Evil 3: Nemesis.
Il modus operandi e le ispirazioni di quel giovane Kamiya per quel Resident Evil 4 sono le stesse che successivamente condizioneranno anche i successivi lavori di questo autore storico dell’industria: per il suo primo progetto da director infatti, Kamiya si ispira a proprietà intellettuali che hanno fatto la storia del medium come The Legend of Zelda e Castlevania.
Da questi due pilastri del medium l’autore prende lo spunto di basare il combat system principalmente sull’utilizzo dell’arma bianca per creare un prodotto prettamente action. Inoltre, lo scenario di gioco si innalza certamente su di una struttura “a binari” con delle missioni a scandire i ritmi di gioco, tuttavia è possibile fare backtracking e anzi molto spesso è il completamento stesso della missione a richiedere di tornare indietro per aprire “quella porta che abbiamo visto all’inizio” con l’oggetto che abbiamo ottenuto nelle fasi più avanzate del gioco.
Per quanto concerne il concept dell’ambientazione, Kamiya si è ispirato ancora una volta alla serie di successo di Konami, proiettando il protagonista della saga in castelli medievali dall’atmosfera cupa: per il level design l’autore ha fatto tesoro dei luoghi visitati negli Stati Uniti e in Spagna, inserendo nell’embrione del progetto delle ambientazioni maggiormente gotiche.
La trama si sarebbe dovuta distaccare dai zombie tanto apprezzati dalla massa nei primi Resident Evil: questo capitolo avrebbe parlato del regno dei demoni in conflitto con quello degli umani. In questo caso, le ispirazioni per la narrativa sono radicate principalmente dalla Divina Commedia, quasi come se l’inferno dantesco potesse approdare in Terra a disturbare la pace degli uomini.
Quando Hideki Kamiya presentò la sua visione a Mikami, quest’ultimo decise di bocciare la direzione del progetto per Resident Evil 4. Ciononostante, lo stesso Mikami consiglia al suo collega di non abbandonare il concept di gioco, ma anzi lo sprona a creare qualcosa di completamente distaccato, inedito. Hideki Kamiya, a sua insaputa, aveva gettato le basi per una pietra miliare, incastonata nel cuore dei videogiocatori ancora oggi.
Devil May Cry, le origini del mondo di gioco
Il leggendario Cavaliere Nero Sparda, un potente spadaccino demoniaco che per anni ha servito Mundus, il Signore delle Tenebre che governava il mondo demoniaco, tradì la sua razza riversandosi contro il regnante e le sue truppe quando questo tentò di conquistare il mondo umano.
Sparda riuscì a sconfiggere Mundus e i suoi eserciti ma, una volta resosi conto della sua incredibile potenza, decise di sigillare anche se stesso e il suo potere demoniaco. Prima della sua scomparsa però, sposò una donna umana di nome Eva: da lei ebbe anche due figli gemelli.
Quando Mundus ritornò dall’oblio trovò la famiglia di Sparda e uccise Eva davanti ai suoi occhi: Sparda è ancora oggi tenuto in prigionia tra le trafila di soldati demoniaci, ma prima di sparire per sempre dalla vita dei gemelli donò ai suoi figli degli amuleti che fungono da sigillo per il portale che collega il mondo umano a quello demoniaco.
Infine, tutti e due ottennero una spada: la Rebellion, un grosso spadone con un enorme teschio inciso sull’elsa per Dante, e la katana Yamato per Vergil, utilizzata da Sparda stesso per sigillare la Porta Infernale.
Uno dei due figli di Sparda è la star del gioco: il protagonista della serie è Dante, l’ibrido tra umano e demone dalla conformazione albina, con la sua pelle candida, gli occhi azzurri e i capelli bianchi.
Esattamente come suo padre, Dante decide di mettere le sue abilità demoniache al servizio degli umani che vengono invasati dalle entità sinistre, facendo del cacciatore di demoni la propria attività e aprendo la sua agenzia, la Devil May Cry. Nel caso volessi approfondire nel dettaglio la storia del nostro protagonista, in separata sede puoi trovare un nostro articolo dedicato proprio alla prole di Sparda.
Demon Slayer
Proprio l’inizio della trama di gioco si svolge nell’impresa di ammazza demoni messa su dal nostro protagonista. Una misteriosa donna scende in picchiata dal cielo ed entra nella Devil May Cry sfondando la porta con la sua moto, il tutto per parlare con Dante: questa donna si rivela essere a conoscenza della natura del nostro eroe vestito di rosso, e decide di metterlo alla prova in un breve combattimento all’interno dell’edificio per verificare che fosse davvero il figlio del leggendario Cavaliere Sparda.
La battaglia particolarmente enfatizzata si volge al favore di Dante. Nonostante questo fosse stato addirittura trafitto dalla sua stessa spada, il mezzo demone non sembra riportare alcuna ferita dallo scontro: mentre si appresta a terminare la vita della donna, questa rivela le sue vere intenzioni.
Quel combattimento non era altro che una prova per confutare le abilità di Dante: la ragazza si toglie gli occhiali e afferma di chiamarsi Trish. La donna spiega di aver bisogno del suo aiuto per poter fermare Mundus, il quale è tornato più forte di prima intento a conquistare il mondo degli umani con il suo esercito demoniaco.
Dante accetta l’incarico: è in mezzo una questione di vendetta e di protezione dell’umanità, ma c’è un altro motivo per cui il nostro eroe decide di aiutare Trish: la donna somiglia dannatamente a sua madre Eva. Dopo i dovuti preparativi, Trish e Dante si incamminano a Mallet Island, isola su cui si erge un castello con forti connessioni demoniache.
La narrazione di gioco sarà incalzante per tutto il proseguo dell’avventura: nonostante la brevità del titolo, non mancheranno degli spiazzanti colpi di scena che bilanciano la qualità della trama, nonostante sia comunque a volte un po’ troppo sopra le righe (caratteristica che poi diventerà lo stendardo dei titoli successivi della serie).
Nonostante la sinossi di trama possa lasciar intendere che i toni dark dell’avventura possano essere soverchianti, ci penserà il nostro Dante ad alleggerire il tutto: il cacciatore di demoni è infatti molto spiritoso e sbruffone, e non mancherà di sminuire gli avversari grotteschi che gli si pareranno davanti.
Questo aspetto del suo carattere ha fatto sì che Dante diventasse uno dei personaggi più apprezzati dell’intera industria dei videogiochi. La sua maturità nei momenti più concitati, unità alla sua chiacchiera da fanfarone quando c’è da sbeffeggiare un nemico (che quasi sempre ridurrà a fette) lo hanno reso un protagonista estremamente stimato dalla community.
Era un oggetto troppo grande per chiamarlo spada
Per quanto concerne il gameplay, Devil May Cry è stato un vero e proprio apripista del suo genere. Sebbene il primo titolo considerabile hack ‘n’ slash fosse Diablo, l’avventura di Dante ha dettato degli stilemi nel sottobosco action che con il passare del tempo sono diventati dei normativi costanti e autorevoli per ogni hack ‘n’ slash che si rispetti.
Per avere salva la pelle in questo titolo, bisogna imparare le combo disponibili: queste cambieranno a seconda del tempismo in cui si terrà premuto il tasto di attacco da mischia, quindi affrontare il combattimento con lo spamming dei tasti non è la soluzione. Al contrario, avere una propria tattica di gioco che consenta di usare alla perfezione tutte le mosse e le armi disponibili (sia melee che da fuoco) è la vera chiave di lettura.
Ogni qualvolta colpiremmo dei demoni con la nostra spada vedremo l’indicatore dello stile salire di livello: i voti sono indicati come le prime quattro lettere dell’alfabeto, una volta superata anche la lettera A si ottiene la votazione massima indicata con la S. Questa meccanica è decisiva, poiché influenza il voto ottenuto alla fine di ogni missione assieme al tempo impiegato per completarla e alle sfere rosse raccolte.
Queste sfere rosse rappresentano la valuta in game: è possibile scambiarle presso la Statua della Divinità per ottenere degli oggetti indispensabili per la buona sortita della partita, come i frammenti di globo blu che aumenteranno i punti salute ogni quattro ritrovamenti.
Inoltre, le sfere rosse vanno spese anche in mosse: Devil May Cry è un hack ‘n’ slash clamorosamente tecnico e veloce per i canoni dell’epoca, quindi acquisire nuove abilità con le diverse armi che troveremo nell’avventura sarà cruciale per combattere nel modo più stiloso possibile.
Ad arricchire il combat system del gioco ci penserà il Devil Trigger, sbloccabile nelle prime missioni della campagna: per un periodo limitato di tempo infatti, Dante può assumere la sua forma demoniaca e aumentare il danno e la velocità dei suoi fendenti. Questo sarà possibile soltanto con il riempimento della barra DT, quindi sta al giocatore scegliere quale sia il momento giusto per scatenare il potere infernale del nostro cacciatore di demoni.
Possiamo affermare fermamente che con questo titolo Hideki Kamiya ha ridefinito il genere degli hack ‘n’ slash. Dopo il rilascio di Devil May Cry l’approccio degli sviluppatori di tutto il mondo a questo sottogenere dell’action è diventato più tecnico, realizzando prodotti destinati principalmente a una fetta di community hardcore.
Ancora oggi, titoli come Ninja Gaiden e Bayonetta (IP progettata dallo stesso Kamiya dopo aver lasciato Capcom) possiedono una valutazione per lo stile di combattimento che si diversifica dal classico contatore di combo. Questo lascia intendere l’importanza del primo DMC nel medium.
Come da prassi nella serie, il primo Devil May Cry è un titolo estremamente breve in termini di longevità. Per completare il gioco basterà giocare per meno di cinque ore: questa decisione dell’autore è frutto di una briosa scelta di game design.
Devil May Cry è un titolo che punta fortemente sulla rigiocabilità. Una volta terminato il gioco a normale, sbloccheremo delle nuove difficoltà che aumenteranno vorticosamente il livello di sfida. Chiaramente, nessuno avrebbe rigiocato il titolo se questo fosse stato eccessivamente longevo.
Finire DMC alle difficoltà maggiori è un’impresa per pochi: basti pensare alla modalità Dante Deve Morire, dove i nemici sono ancora più pericolosi e se restano troppo a lungo in vita possono assumere una sorta di evoluzione demoniaca che li rende molto più forti e coriacei.
Tecnicamente avanguardistico
Il comparto grafico di Devil May Cry, se contestualizzato con l’anno di uscita del prodotto, è semplicemente spaccamascella: dal colpo d’occhio della paesaggistica fino alle architetture coerenti degli interni passando per il design estremamente cupo e caratteristico, DMC fissò degli standard tecnici per il primo anno di PlayStation 2.
L’atmosfera di gioco è unica: giocare in una ricostruzione così fedele di un castello gotico era un qualcosa di segnante nei tempi che furono: Capcom ha dimostrato sin dai tempi della villa Spencer di Resident Evil 1 di saper progettare fedelmente un ambiente chiuso in modellazione 3D, primizia che si amplifica con il primo Devil May Cry e l’avvento della sesta generazione di console.
La soundtrack di gioco mischia in una maniera unica le influenze elettroniche al rock puro: un lavoro sicuramente magistrale quello dei produttori Masami Ueda, Masato Koda e Misao Senbongi che hanno dato vita ad alcune delle tracce più iconiche della serie. Alcune di queste sono state addirittura riproposte nel recentissimo Devil May Cry 5: è il caso di Mental Machine e Psycho Siren, che sono rispettivamente le boss theme di Nightmare e Shadow.
In conclusione
Devil May Cry rappresenta l’inizio di una IP storica per il medium videoludico che, nonostante totalizzi dei buoni numeri di vendita a ogni capitolo rilasciato, forse non ha mai riscosso il successo che merita davvero.
Questo primo capitolo della saga è stato una killer application per PlayStation 2, e ancora oggi la sua effigie resta eterna nei cuori degli appassionati degli hack ‘n’ slash più tecnici sul mercato.
Capcom ha donato nuova luce ai vecchi titoli di Resident Evil grazie ai remake, che si sono rivelati essere dei veri e propri blockbuster videoludico: chissà, magari dopo la saga horror potrebbe toccare a Devil May Cry 1: la realizzazione di un rifacimento di questo capitolo della serie, magari svecchiando alcune meccaniche di gameplay e migliorandone la quality of life, è ciò che i fan della saga sperano di più. Un diamante grezzo che potrebbe tornare a splendere ancora ai giorni nostri, se solo gli sviluppatori lo desiderassero.
Nel caso fossi un neofita del franchise e dopo aver letto questa Old But Gold avessi intenzione di acquistare il gioco, puoi trovare Devil May Cry HD Collection su Instant Gaming.