Con il mio gruppo di amici abbiamo una tradizione: ad ogni periodo di pausa natalizia ed estiva, almeno una serata è dedicata ad un po’ di sano retrogaming su PlayStation 1. Abbiamo scoperto e riscoperto vari titoli della nostra infanzia in questo modo, e il periodo di vacanze natalizie a cavallo tra il 2016 e il 2017 è toccato proprio a Bloody Roar 2. Un gioco che prima di allora sconoscevo, ma che uno della compagnia aveva disintegrato da piccolo. “Ragazzi ‘sto gioco è pazzesco, è Tekken ma puoi trasformarti in un’animale“. La descrizione mi prese talmente tanto che la sera ci stavamo già giocando, e la notte seguente la passai in bianco ad allenarmi sulle combo.
Questo preambolo personale di dubbio interesse, oltre a farvi capire che Bloody Roar 2 me lo porto nel cuore, mi serviva per darvi la descrizione più veritiera possibile del gioco: “È Tekken ma puoi trasformarti in un’animale“. Ed è davvero tutto qui? Beh, praticamente sì, e credetemi, è maledettamente divertente.
Bloody Roar 2 è stato pubblicato nella prima metà del 1999, in quel periodo che possiamo definire quasi il canto del cigno della prima iconica PlayStation (di lì a poco sarebbe stata infatti lanciata sul mercato la PlayStation 2), anche se la sua prima vera apparizione fu come cabinato arcade in sala giochi l’anno precedente. Il titolo non riuscì ad imporsi come killer application, complice la grande concorrenza e il dominio su PlayStation del già menzionato Tekken, ma riuscì a ritagliarsi una sua fetta di affezionati, tanto da guadagnarsi altri due seguiti.
Il gameplay frenetico di Bloody Roar 2
Passiamo quasi direttamente al gameplay perché sul versante trama in realtà non c’è molto da dire (ma se stai leggendo un articolo su un picchiaduro immagino te lo aspettassi). Il setting prevede la presenza di alcuni zooantropi, ovvero esseri umani che possono trasformarsi in animali, che sono osteggiati da altri esseri umani per questo loro tratto peculiare. Non serve sapere altro per buttarsi nella mischia e cominciare a menare un po’ le mani, unico motivo per cui devi voler avviare il gioco.
Come fatto ai tempi dalle riviste di settore che si occuparono di recensirlo, Bloody Roar 2 è il risultato non solo di un sapiente mix degli elementi di successo del genere, ma anche di cura nello sviluppo e nel design dei personaggi e delle meccaniche di gioco. Gli 11 personaggi giocabili hanno tutti un parco mosse ed uno stile di combattimento unico e variegato, che si impara a distinguere già dopo pochi minuti di gioco. Gli archetipi dei personaggi riprendono i classici del genere: abbiamo all around character come Yugo, personaggi più tecnici come Busuzima e Jenny, o ancora i personaggi che puntano tutte sulle prese come Stun.
La meccanica che rende Bloody Roar 2 così fresco e divertente è ovviamente la possibilità di trasformare ciascuno dei lottatori in un animale corrispondente, una volta caricata la barra apposita. Questa soluzione è gestita in maniera molto interessante, dal momento che la trasformazione porta con sé diverse meccaniche e vari vantaggi. Durante lo scontro infatti la nostra barra della salute diminuirà normalmente come in qualsiasi altro videogioco, ma i nostri HP non scompariranno direttamente: saranno sostituiti da una barra grigia e, se attiviamo in tempo la trasformazione, potremo gradualmente recuperare energia se non veniamo colpiti di nuovo. Al contrario, se da trasformati subiremo troppi danni, perderemo salute, trasformazione e ogni altro tipo di vantaggio.
Questa meccanica rende Bloody Roar 2 molto profondo e aggiunge un elemento strategico in più rispetto ai classici picchiaduro. Per vincere uno scontro è infatti fondamentale calibrare bene i tempi e sfruttare al meglio la nostra trasformazione a seconda della situazione in cui ci troviamo. Oltre a rigenerare la nostra salute infatti trasformarci ci consentirà non solo di potenziare i nostri attacchi e la nostra difesa (infliggendo più danno e ricevendone meno se il nostro avversario non si è ancora trasformato), ma avremo accesso anche a nuove mosse e combo altrimenti non disponibili in versione umana. Se poi ci aggiungiamo che la trasformazione può essere concatenata in varie combo, così da sfruttare il danno inflitto per caricare l’energia per la trasformazione.
Il sistema di combo è divertente da imparare ed ha una curva d’apprendimento abbastanza morbida: le classiche mezzelune e semicerchi si aggiungono a concatenazioni di calci e pugni e danno vita a catene di attacchi davvero spettacolari da vedere. Le mosse speciali sono inoltre semplici da eseguire e sempre accompagnate da belle animazioni, soprattutto quelle eseguite da trasformati. Tramite la pressione del tasto L1 inoltre, al costo della nostra trasformazione, potremo eseguire una mossa finale devastante che causerà un sacco di danno ai nostri nemici. Ovviamente rispetto agli standard odierni di un Tekken 8 siamo distanti anni luce, ma per l’epoca, le carte in regola c’erano e ci sono tutte.
Le modalità di gioco disponibili ricalcano quelle presenti in altri picchiaduro: abbiamo la modalità arcade, story, versus, survival e pratica.
Coniglio vs leone: vince il coniglio
So che ve lo state chiedendo tutti, e se anche non lo avete fatto è il momento di fare una piccola carrellata dei lottatori disponibili in Bloody Roar 2 e delle loro trasformazioni. Prima di leggerli però, immaginatevi che vengano annunciati da una voce inglese cavernosa e profonda, la stessa che accompagna l’incipit di ogni scontro e che vi lasciamo qui sotto.
- Long, la tigre
- Bakuryu, la talpa
- Uriko, il gatto
- Stun, l’insetto
- Shina, il leopardo
- Jenny, il pipistrello
- Yugo, il lupo
- Alice, il coniglio
- Busuzima, il camaleonte
- Shenlong, la tigre (sbloccabile)
- Gado, il leone (sbloccabile)
Ciascun personaggio di Bloody Roar 2 è ben caratterizzato, ha una sua backstory narrata tramite una cinematic in pieno stile Tekken, osservabile completando le modalità arcade e story. C’è forse qualche problema di bilanciamento e qualche personaggio risulta forse un po’ più potente degli altri, ma nulla di esagerato e in ultima analisi ogni lottatore è divertente e soddisfacente da usare. Il gioco è infatti molto skill based e raramente riuscirete a vincere uno scontro se non sapete bene ciò che state facendo…a patto che accanto a voi a sfidarvi ci sia qualcuno altrettanto consapevole. In caso contrario, il gioco risulta divertente e giocabile anche per gli spammer, come ogni buon picchiaduro dovrebbe fare.
Un comparto tecnico che ruggisce?
Dal punto di vista tecnico, il titolo è un piccolo gioiellino. Oltre a presentare una veste grafica di tutto rispetto, con modelli e textures ben curate, anche i design dei personaggi risultano davvero gradevoli e funzionali al loro stile di combattimento. L’unica pecca, se vogliamo essere puntigliosi e dare ragione ad un parare già espresso all’epoca dalla critica specializzata, è che i design della versione umana di alcuni risultano forse fin troppo banali se paragonati alla loro controparte animalesca (vedi Jenny e la sua trasformazione in pipistrello, o Stun, di cui si disse che la versione animalesca assomigliava ad un Eva01 di Evangelion sotto steroidi). E qui ci sarebbe da fare una piccola considerazione, che preferisco però rimandare alla fine della rubrica. Spero mi perdoniate e capiate leggendo il perché di questa scelta.
Ad ogni modo, tornando all’analisi del lato tecnico, un altro aspetto di cui la critica si lamentò ai tempi riguarda il sonoro, non tanto per qualità in sé per sé, essendo perfettamente in linea con gli altri titoli dell’epoca PlayStation, quanto per la scelta della colonna sonora, tipicamente metal e anni ’80, e, a detta dei commentatori dell’epoca, troppo banale. Quanto al voice acting, anche qui le critiche fioccarono, con l’annunciatore di cui abbiamo poco fa condiviso un sample reputato “troppo poco esaltante” e alcuni doppiatori fuori personaggio. Queste ultime osservazioni possono essere più condivisibili, anche se l’annunciatore oggi è diventato iconico a suo modo. A mio modo di vedere, il comparto sonoro fa degnamente il suo dovere pur senza ascendere all’olimpo dei sound effects dei videogiochi, e la colonna sonora sa esaltare e accompagnare bene gli scontri.
Ultimo aspetto ma non per importanza, il gioco in versione NTSC va a 60hz e risulta quindi estremamente fluido e piacevole da giocare, cosa che per un picchiaduro è a dir poco fondamentale, specie con un combat system così dinamico e movimentato come quello di Bloody Roar 2.
Qualche considerazione finale
Ed eccoci giunti al paragrafo in cui tirare le somme. Ho deciso di rimandare a questo punto le considerazioni perché scrivendo mi sono reso conto che quello che scrivo su Bloody Roar 2 è anche l’appuntamento numero 200 con questa rubrica, e l’occorrenza suggestiva mi ha fatto domandare, specie parlando del comparto tecnico del gioco, che tipo di rapporto abbiamo con i giochi che hanno qualche anno sulle spalle come Bloody Roar 2 e che forse troppo spesso liquidiamo velocemente sotto la grande etichetta del retrogaming.
Mi spiego meglio. Tanti aspetti negativi fatti notare dalla critica e dalla stampa specializzata di allora sono oggettivi e difficilmente confutabili, eppure (e credo di non essere l’unico a pensarla così) i nostri ricordi e i legami affettivi che creiamo con un titolo ci rendono più inclini a perdonare difetti e sbavature. Di più, il nostro sguardo è decisamente più benevolo e carico di comprensione davanti a titoli datati e che facilmente mostrano il fianco rispetto a ciò che siamo abituati a giocare oggi, portando il nostro cervello in maniera quasi inconsapevole a concentrarsi sulla funzione “divertiti” più che sulla funzione “analizza” (fattore che scatta anche per il diverso esborso economico che sta dietro all’accesso di questi giochi? Parliamone).
Certo, ciò non significa che possiamo apprezzare oggi la qualsiasi cosa: il pattume digitale è sempre esistito e sempre esisterà, e come tale va trattato. Ma davanti ad un gioco come Bloody Roar 2, che non sarà forse perfetto quanto altri titoli più blasonati ma risulta comunque maledettamente più divertente di molti di questi stessi titoli, viene forse da chiedersi se il modo più genuino e appassionato che abbiamo di guardare al retrogaming non rappresenti in qualche modo l’essenza più pura della nostra passione per il videogiocare.