Dopo aver giocato per decine di ore e finalmente aver platinato il remake di Resident Evil 4 mi è sembrato giusto scrivere due parole sul titolo che ha cambiato la saga di zombie più famosa del mondo dei videogiochi, rivoluzionandola e dando vita a quello che è considerato da tanti un capolavoro. Uscito originariamente su Nintendo GameCube nel 2005, per poi essere ridistribuito su moltissime altre piattaforme e console nel corso degli anni, Resident Evil 4 porta avanti l’amatissima saga horror, rivoluzionandone la formula.
La rivoluzione di Resident Evil 4
Ma partiamo dall’inizio: fino a quel punto la saga e più in generale il survival horror erano basati sul terrore e sulla vulnerabilità dei protagonisti di quelle storie. Sin dal primo capitolo si veniva rinchiusi, intrappolati senza via di scampo, con solo pochi proiettili e qualche cura ad assisterci. Anche nel secondo ci trovavamo spesso in zone chiuse, come la centrale di polizia o le fogne di Racoon City, mentre nel terzo si iniziava ad aprire leggermente la mappa.
Resident Evil 4 cambia in molti modi la filosofia di game design, che porta a un prodotto molto diverso dai giochi precedenti. Capcom decide di dare al giocatore molto più controllo sia sul personaggio che sul mondo che lo circonda: ecco quindi la telecamera a spalla, una delle caratteristiche che più separa questo dagli altri capitoli della saga, rendendo anche il gameplay più movimentato, dando più libertà al giocatore, ma al contempo costringendolo a guardarsi attorno continuamente per evitare eventuali minacce in agguato.
Viene dato molto più spazio all’azione, ma non snaturando il tutto: nonostante in questo titolo si spari molto di più, quella non è sempre la soluzione più efficace, soprattutto alle difficoltà più elevate. Il giocatore viene buttato, come negli altri giochi, in una grossa mappa esplorabile in lungo e in largo, dall’ambientazione rurale, campagnola. Infatti la caratteristica ambientazione di Resident Evil 4 è memorabile e ormai iconica, in quanto di ispirazione per non solo gli altri capitoli della saga, ma anche altri videogiochi horror e film.
Come rinnovare con intelligenza
Per la prima volta non solo non siamo in un ambiente chiuso e opprimente, ma il primo atto del gioco è quasi completamente ambientato di giorno, alla luce del sole. Ma non per questo gli ambienti sembrano meno spettrali. Se nel secondo capitolo avevamo paura di esplorare i bui corridoi della centrale di polizia, qui ci troveremo a vagare in un villaggio desolato senza sapere che fine abbiano fatto gli abitanti, attirati dal misterioso suono proveniente dal campanile.
Resident Evil 4 si colloca proprio in mezzo al genere che viene chiamato folk horror, che negli ultimi anni sta spopolando non poco, e forse proprio grazie a questo titolo. Questo genere ci butta in un ambiente contadino, quasi familiare, ma pian piano buttandoci dentro qualcosa di sospetto, o fuori posto. La componente perturbante è molto forte in queste opere e nel gioco la tensione, all’inizio almeno, viene costruita proprio in questo modo: Continuando a gettare al giocatore elementi strani o fuori posto, fino ad arrivare all’esplosione, dove inizia l’azione vera e propria.
Perché anche se questo titolo conserva molte delle meccaniche survival che avevano reso famosi e soprattutto spaventosi gli altri titoli, si concentra molto di più sulla componente action: con molti più nemici da uccidere e armi con cui farlo, senza però lasciar fuori i classici enigmi e l’atmosfera generale. Perché nonostante questo titolo sia uscito quasi vent’anni fa, riesce a trasmettere una certa atmosfera con i suoi ambienti spogli e la grafica ruvida, sporca. Un classico di quella generazione di console.
Come appena detto, l’azione la fa da padrone in questo titolo: chi l’ha giocato ricorderà sicuramente la parte all’interno del villaggio in cui si viene assaliti dall’orda di infetti: sicuramente una delle scene più movimentate del titolo. E al contrario dei giochi precedenti qui avremo i mezzi per far fuori tutti i nostri nemici: tra pistole, fucili, mitra, granate, lanciarazzi e chi più ne ha, più ne metta. Sicuramente non a tutti potrebbe piacere questa formula, ma comunque il gioco offre la possibilità di scappare o evitare i nemici, cosa consigliabile alle difficoltà più elevate.
L’eredità del titolo
Resident Evil 4 ha funzionato così bene da diventare d’ispirazione per praticamente tutti i survival horror usciti dopo di lui. Basti pensare a Dead Space o The Last of Us, o anche Days Gone e The Evil Within. Tra l’altro quest’ultimo è stato creato proprio da Shinji Mikami, la stessa mente dietro Resident Evil, ed è un titolo che consiglio caldamente.
Il titolo rivoluziona la saga anche a livello narrativo, partendo dal fatto che non è propriamente un gioco di zombie, visto che qui si sta parlando di infetti. Se negli altri capitoli avevamo i classici morti viventi, ripresi esattamente dai film di Romero, qui abbiamo delle persone infettate da un parassita, che ne controlla le facoltà cognitive. Questi parassiti rendono tutti un’unica mente alveare, creando il concetto della setta, che è centrale all’interno di Resident Evil 4. Ovviamente ciò non vuol dire che la Umbrella non abbia la sua fetta di colpa, come si vedrà nel gioco, ma sicuramente sarà un’entità secondaria e non la causa principale dell’infezione, come succedeva nei primi titoli.
Un titolo narrativamente altalenante
Nonostante la saga grazie a questo titolo si sia rinnovata molto, dal punto di vista narrativo spesso lascia molto a desiderare. Perché nonostante personaggi come Leon e Luis siano molto amabili e simpatici in un certo senso sono anche, dal primo all’ultimo, bidimensionali. Anche il resto del cast si muove quasi per inerzia, dalla giovane Ashley alla benritrovata Ada Wong, che in questo titolo è molto meno incisiva che nel secondo.
Il personaggio che mi è sempre sembrato fuori posto in questo titolo è il Maggiore Krauser, il maestro di Leon che lo ha addestrato rendendolo come lo vediamo. Questo personaggio appare fuori dal nulla a metà del gioco per inserirsi in una specie di sottotrama drammatica mentore-allievo in cui si scontrerà con il nostro eroe solo per il gusto di farlo, senza una vera motivazione alla base. Questo aspetto, come molti altri del gioco, è stato molto migliorato nel remake, che tenta di darci un pochino più di contesto per quanto riguarda questo e molti altri personaggi, sia tramite dialoghi che grazie ai classici appunti in giro per la mappa.
Originale Vs. Remake
E qui arriviamo al confronto tra l’originale e il remake: perché se da una parte, come già detto, il remake sistema alcune cose almeno a livello narrativo, oltre alle varie migliorie e modernizzazioni nel gameplay, è anche vero che quest’ultimo è stato forse semplificato un po’ troppo. Parlo principalmente della valigia, ovvero l’inventario di Resident Evil 4, che potrà contenere gli oggetti in una griglia che il giocatore dovrà organizzare spostando le risorse.
Nel remake questo aspetto del titolo è totalmente annientato dalla presenza di un tasto che ti organizza l’inventario nel migliore dei modi, togliendo ogni parte gestionale. Mi rendo conto che per molti questa potrebbe essere una cosa piccola, ma in un survival horror, genere caratterizzato dal doversi dosare le risorse limitate e stare attenti a non sprecare nulla, era molto divertente e soddisfacente riuscire a inserire nell’inventario una nuova arma senza bisogno di buttare via niente.
Ciò che invece che il remake ha migliorato di più è l’atmosfera trasmessa, non tanto dall’ambientazione, che risultava cupa e raccapricciante già su GameCube, ma per quanto riguarda i personaggi. Mi spiego meglio: un’altra delle cose che Resident Evil 4 ha cambiato è l’atmosfera generale dell’avventura, rendendola molto più “buffa”. Intendo dire che in questo titolo Leon continua a fare battute stupide, così come molti degli altri personaggi. Ovviamente non è una cosa che rovina il gioco, ma almeno il remake ha attenuato queste scene degne di un film d’azione anni ’80 di serie B.
In conclusione, Resident Evil 4 è un titolo che riesce a rinnovare una saga che ormai stava iniziando ad invecchiare, portandola non solo sulla nuova generazione di console, ma anche nelle mani dei nuovi giocatori. Ovviamente non si tratta di un titolo perfetto, ma di un titolo da giocare assolutamente: un pilastro fondamentale senza cui non avremmo avuto molti dei giochi che lo hanno seguito. Un’esperienza che consiglio a tutti, anche considerando la facile reperibilità e il prezzo davvero esiguo al giorno d’oggi.