In tutta la mia vita ho sempre avuto paura di qualsiasi prodotto di matrice horror, incredibile a dirsi ma tutto nacque dalla visione di Scary Movie 3, ci credereste? Lo vidi al cinema e mi fece ridere come pochi film, ma la versione parodistica di Samara (la ragazzina di The Ring per intenderci) mi spaventò a morte. Se ero spaventato da un film assolutamente non pauroso come avrei mai potuto immergermi in un’esperienza horror a tutti gli effetti?
Ebbene, qualche anno dopo, con la mia fedele PlayStation 3 decisi che era il momento di una catarsi, scendere fino alle porte dell’inferno per poi risalire a suon di pestoni. Se non si fosse capito il mio contrappasso fu Dead Space. A bordo della USG Ishimura sconfissi i miei demoni e le mie paure, letteralmente. Almeno nel mondo dei videogiochi quei mostri che tanto mi tormentavano potevano essere fatti a pezzi, una bella soddisfazione. Da quel momento iniziò il mio backlog dei classici horror, fino a che non arrivò il suo turno: F.E.A.R.
Un semplice sparatutto? Neanche per sogno
Sviluppato da Monolith Productions e pubblicato nel 2005, F.E.A.R è uno sparatutto in prima persona duro e crudo, uno di quelli dove ci sono pochi dialoghi, tanti fucili e innumerevoli uccisioni, per quale motivo mi è rimasto così a cuore? Diciamo che i motivi sono tanti. Il primo di tutti? Alma, una bambina con poteri terribili che, guarda caso, assomigliava in tutto e per tutto a quella Samara che tanto mi spaventò. Era giunto il tempo di prendere la mia vendetta, ma tempo al tempo.
Gli Stati Uniti stanno vivendo una crisi: l’ATC, un’organizzazione legata al Ministero della Difesa, è sotto le mire di Paxton Fettel e del suo esercito, i Replicanti. Per evitare una crisi su scala maggiore, l’esercito statunitense mette in campo la squadra F.E.A.R. (First Encounter Assault Recon) di cui noi, il cosiddetto Apripista, facciamo parte. Dopo essere giunti sul posto il nostro protagonista incomincerà a soffrire di terribili allucinazioni, che ci porteranno a scoprire un cadavere martoriato con la faccia sbranata: una vittima di Fettel. Neanche il tempo di digerire la macabra notizia che finiremo tramortiti per terra.
Fettel ci ha teso un’imboscata e dopo averci confuso con parole prive di senso ci rivelerà che solo lui conosce la nostra vera natura e che durante la nostra nascita, lui era presente. Dopo neanche un’ora di gioco F.E.A.R. scopre le sue carte rivelandosi per ciò che è veramente: un action thriller con risvolti horror e noi giocatori non potevamo chiedere di meglio. Non mi dilungherò sul raccontarvi la trama, perché merita di essere scoperta in gioco, invece approfondiremo l’aspetto che più di tutti ha reso F.E.A.R. un vero e proprio cult degli FPS, il suo gameplay.
Bullet Time? Oh yes.
Ci sono pochi FPS classici come F.E.A.R., abbiamo i medikit (perché la vita ovviamente non si rigenera), abbiamo le scatole di munizioni tirate nei peggio posti, abbiamo tanti fucili e tanta carne da macellare. Cosa rende F.E.A.R. diverso dagli altri sparatutto? Principalmente tre cose. La prima di tutte, il bullet time.
Questo termine, coniato per quel capolavoro di The Matrix, va a indicare un lasso di tempo rallentato, nel quale uno o più personaggi si muovono con estrema velocità, a tal punto da poter schivare dei proiettili. Il nostro Apripista non è secondo a Neo o a Max Payne: con la pressione di un tasto potremo rallentare il tempo e mettere in scena delle sequenze di azione spettacolari, alternando corpo a corpo con colpi precisi da arma da fuoco ripuliremo le stanze come se fossimo in un film di John Woo.
Il secondo fattore, invece, è il level design. Il gioco è diviso a capitoli, ognuno di quali è ambientato in varie location, dal palazzo abbandonato fino ad arrivare al classico laboratorio segreto. Ogni livello è semplice e lineare, senza troppe diramazioni o particolari segreti. Ma, pur essendo spazi contenuti, le mappe sono come delle piccole arene: ogni stanza è collegata alle altre in più modi, attraverso finestre, aperture nei muri o porte. Il risultato è un gunplay dinamico e veloce, mai stazionario, con continui spostamenti da una stanza all’altra e con una componente tattica da non sottovalutare.
Parlando di tattica mi faccio un assist per l’ultimo e più importante fattore, l’intelligenza artificiale. Ad oggi devo sempre trovare un prodotto che abbia degli avversari al pari di quelli di F.E.A.R., recentemente solo The Last of Us Parte 2 si è avvicinato al lavoro svolto da Monolith nel 2005, ma secondo il mio parere, i Replicanti di Fettel sono ancora oggi imbattuti.
Avete presente i nemici in Call of Duty che non vedono l’ora di beccarsi un headshot correndoci allegramente addosso? In F.E.A.R. questo non succederà mai, gli assalti diretti dei Replicanti saranno sempre sotto fuoco di soppressione e nel mentre saremo impegnati ad evitare un attacco frontale, ci sarà qualche soldato che avrà fatto il giro seccandoci da dietro.
Se invece pensiamo di “camperare” dietro un muro verremo presi di mira da un bouquet di granate che ci staneranno facendoci finire in mezzo al fuoco nemico. Gli sviluppatori sono riusciti a creare un sistema nel quale ogni npc nemico comunica con i propri compagni in modo da eseguire la miglior tattica possibile, dando veramente poco respiro al giocatore e creando situazioni che non saranno mai uguali. Adesso, immaginate i tre fattori appena descritti in un’unica sequenza di gameplay e ditemi che non avete voglia di giocarlo, vi sfido.
F.E.A.R. e la sua grafica
Ambienti distruttibili, polvere alzata dai proiettili, luci dinamiche e texture ad alta risoluzione. Tutto questo nel 2005. F.E.A.R. era un vero gioiello da vedere e gli sviluppatori lo sapevano benissimo. Nonostante gli ambienti non fossero particolarmente vari, il sapiente uso delle luci faceva sì che ogni situazione sembrasse unica, complice anche il costante utilizzo della torcia per illuminare gli spazi bui e poco invitanti.
Tipico del tempo era l’utilizzo della tecnologia HAVOC per gestire la fisica all’interno del gioco, anche qua il risultato era pazzesco, con elementi decorativi che saltavano in ogni dove colpiti da fiumi di proiettili. Ogni tanto i corpi dei nemici volavano in modi assurdi, ma c’era una sorta di soddisfazione macabra quando succedeva e ne volevi sempre di più.
Insomma, F.E.A.R. è uno di quei giochi che ancora oggi è totalmente godibile, molti vorrebbero un remake del titolo di Monolith ma io non sono d’accordo. Un po’ come successe per Demon’s Souls, i remake di nuova generazione, per quanto magnifici dal punto di vista tecnico, tolgono quell’alone che rendeva unici suddetti prodotti, come se li spogliasse della loro estetica originale e li rendesse un semplice esercizio di stile pronto a farsi vendere nuovamente a prezzo pieno. Fatevi un piacere, andate su Steam e compratevi F.E.A.R., gira anche su un tostapane e vi godrete 8 ore che vi rimarranno impresse per un bel po’.