In attesa di un possibile remake di Dino Crisis, andiamo a riscoprire questa gloriosa pagina di storia videoludica scritta da Capcom e dal geniale Shinji Mikami. Gli anni ’90 hanno segnato un momento di forte esplosione dei videogiochi survival horror, con Resident Evil, Silent Hill e Alone in the Dark a farla da padrone fino all’inizio del nuovo millennio.
Capcom, in particolar modo, ha saputo valorizzare i propri brand proprio in quegli anni, riuscendo ad ottenere un successo dietro l’altro. Ora parleremo proprio del capolavoro Capcom creato da Mikami dove i dinosauri sono sempre in agguato: Dino Crisis.
Evoluzione dal passato
Dino Crisis sceglie di non utilizzare la telecamera fissa e gli sfondi pre-renderizzati, optando piuttosto su una grafica 3D e telecamere in movimento a differenza del parente Resident Evil.
L’idea di sviluppare un videogioco con in dinosauri permetteva di superare la staticità degli zombie in favore del famelico dinamismo degli animali preistorici. Un cambio di marcia a livello di gameplay che pur rimanendo simile a Resident Evil, offre un tipo di gioco molto differente.
Non è un dettaglio di poco conto se pensiamo che i tempi di sviluppo per questo genere di giochi erano di 1-2 anni. La scelta di variare una formula già apprezzata in Resident Evil, è stata veramente una mossa coraggiosa e, a distanza di anni, lodevole.
Lo stesso Shinki Mikami non era del tutto soddisfatto dell’intelligenza artificiale dei nemici, la voleva più diversificata, tuttavia riconobbe l’eccezionale lavoro svolto dal team nel creare ambientazioni dettagliate per l’epoca, sfruttando tutta la potenza disponibile su PlayStation.
Sci-Fi di qualità
Dal punto di vista narrativo, Dino Crisis ci porta a vestire i panni di Regina, un’agente operativo del team S.O.R.T. (Secret Operation Raid Team), inviata nella remota isola Ibis per indagare sulla sparizione di Tom, agente inviato precedentemente sul posto.
Sull’isola il famoso Dr. Edward Kirk, creduto morto per anni, sta conducendo dei pericolosi esperimenti. Arrivati sul luogo, ci si accorge subito che qualcosa di orribile deve essere successo. Infatti, troviamo i cadaveri degli scienziati dilaniati da artigli e zanne di cui presto scopriremo la provenienza.
Questa è la trama base di Dino Crisis, che ricalca quasi alla lettera quella di Resident Evil, ma che, tramite particolari invenzioni narrative, riesce poi a distanziarsi a sufficienza. Molto del fascino dell’ambientazione è dovuto alla scelta di ambientazione e lo stile fantascientifico.
Tra zanne e proiettili troviamo dei semplici enigmi che ricordano molto lo stile di quelli incontrati a Raccoon City. Le musiche ottimamente scelte creano un senso di pericolo costante, mentre gli ambienti poveri di dettagli concentrano il giocatore sul gameplay e l’ansia da “artiglio”.
Variazioni sul tema
Dal fronte del gameplay, Dino Crisis offre la struttura tipica dei survival horror; armi di diverso tipo in un inventario ridotto si combina alla necessità di avere spazi per gli indispensabili oggetti chiave, obbligandoci spesso a scegliere.
Discorso a parte va fatto per la gestione dei curativi. Qui abbiamo una vera e propria innovazione, con kit medici di varia grandezza (S, M, G) e curativi particolari come lacci emostatici. Il fatto che Regina potesse sanguinare se ferita gravemente regalava una costante apprensione se non si poteva contenere l’emorragia.
I nemici possono esser colpiti con munizioni normali o tranquillanti, sfruttando un sistema di agganciamento bersaglio particolarmente utile con nemici rapidi e potenti come i velociraptor. Dino Crisis offre diversi finali, basati su scelte compiute durante l’avventura, ma con due punti fissi: uno scontro finale con un T-Rex e Regina che sopravvive.
Per quanto riguarda gli enigmi, alcune delle porte bloccate dal sistema DDK (Chiave a Disco Digitale) dovevano essere sbloccate tramite un Code Disk ed un Input Disk che portavano alla risoluzione di alcuni passaggi.
Il sistema di salvataggio del gioco permetteva di ricominciare da un checkpoint in caso di morte. Tuttavia i tentativi non erano infiniti, dopo 5 respawn falliti si doveva ricominciare dall’ultimo punto di salvataggio.
Questo espediente riusciva a creare un’alternativa più user-friendly rispetto ai classici survival, con un buon compromesso tra difficoltà e ripetitività degli eventi; una scelta dovuta forse anche dalla velocità dei nemici, affatto comparabile e quella dei non morti.
In alcuni casi il giocatore era avvisato da un segnale di “pericolo” di un attacco imminente e si dovevano affrontare brevi sezioni QTE, in una sorta di sperimentazione di quello che il buon Mikami avrebbe implementato in Resident Evil 4 e, in parte, in Code Veronica.
Un futuro intramontabile
Alla sua uscita, Dino Crisis ricevette un’accoglienza di pubblico e critica molto positiva, arrivando a vendere ben 2,5 milioni di copie per PlayStation. Due seguiti e svariate ripubblicazioni dopo, ci troviamo di fronte ad un gioco ancora forte per immaginario e complessità.
Basti pensare che per sviluppare l’intelligenza dei dinosauri, il team di sviluppo si è ispirato allo studio dei comportamenti dei predatori nel mondo animale. La scelta di sviluppare una grafica 3d è stata, come già espresso, coraggiosa e proficua.
Pietra miliare di un periodo in cui si sperimentava senza paura di perdere la propria posizione (a questo proposito si veda la carriera di Mikami).Il ricordo di Dino Crisis è ancora vivo nella mente e nel cuore di quei giocatori che alla fine degli anni ’90 combattevano e fuggivano dalle zanne fameliche del Tirannosaurus Rex.