Correva l’anno 1988. La popolarità di Mario era ben avviata: un debutto come l’anonimo carpentiere Jumpman nella versione arcade di Donkey Kong sette anni prima, un’identità ben definita sotto il nome di Mario nel gioco Mario Bros., e una rivisitazione avventurosa di alcuni dei concetti fino ad allora introdotti con Super Mario Bros. nel 1986. Come proseguire, dunque?
Il Giappone stava già imparando a conoscere la risposta con un Super Mario Bros. 2 che però si limitò ad aggiungere una difficoltà demoniaca al primo titolo, mentre in America la Grande N optò per prendere un altro suo platformer, Doki Doki Panic, e riarrangiarlo grossolanamente in quello che tutti noi abbiamo imparato ad accettare come “vero” Super Mario Bros. 2. Successivamente, tra port e remake, il Super Mario Bros. 2 originale sarebbe stato conosciuto come “The Lost Levels” in occidente, mentre allo stesso modo nella terra del Sol Levante la “rom hack” di Doki Doki Panic venne ribattezzata Super Mario USA.
Ma quand’è che Shigeru Miyamoto avrebbe veramente fatto compiere al suo piccolo grande idraulico un vero e proprio passo in avanti? La risposta risiede nell’autentico seguito del primo Super Mario Bros., un titolo veramente degno di sfoggiare un 2 sulla confezione. Essendoci tuttavia già stati ben due “2” di troppo, il secondo vero Mario avrebbe conquistato il mondo con il titolo di Super Mario Bros. 3.
Maghi e magheggi
Le idee da parte di Nintendo di certo non mancavano, ma a fronte dei due passi falsi – se così li vogliamo chiamare – compiuti con il primo seguito, la campagna di marketing fece uno sforzo ben più che titanico: dovremmo dire cinematografico. Già, perché per promuovere un signor gioco come Super Mario Bros. 3, un semplice spot non sarebbe bastato. Ci voleva un film!
The Wizard, o Il piccolo grande mago dei videogames come lo conoscemmo sui nostri lidi, si presentava come una sorta di variante e-sports di Rocky. Discuterne la trama mancherebbe di utilità, non tanto per il fatto di andare fuori tema quanto perché tutti ricordano una sola cosa del film, la fase finale: “vi presento… Super! Mario! Brothers… TRE!”
Era il 1989 quando il film uscì, un anno dopo il debutto nipponico di Super Mario Bros. 3 e uno prima del suo sbarco in America: convenzioni come l’E3 non esistevano ancora. La settima arte, in compenso, era una realtà stabilita e consolidata da decenni, un trampolino di lancio tanto congeniale quanto insospettabile per un trailer di un videogioco. E come una sorta di fiera losangelina ante litteram, ecco che il film, dopo due atti narrativi pregni di autocelebrazione (e di una presunta utilità del Power Glove), anticipava la presenza scenica di Reggie Fils-Aimé di quasi vent’anni.
Non che questo sforzo sia stato interamente immeritato: certo, anche qui Mario saltava e si infilava giù per i tubi, ma laddove nel primo Super Mario Bros. questo avveniva con un perenne bisogno di rincorse e con movimenti grezzi, ecco che ora il nostro baffuto eroe sgattaiolava qua e là per i livelli con rinnovata grazia. Ma non era solo il “flow” del gameplay di base a risultare cresciuto, maturato, rivoluzionato, nossignori. C’era molto di più.
Ad esempio, la semplice schermata nera recante la scritta “World 1-1” del primo gioco veniva sostituita da una mappa, rendendo improvvisamente più palpabili, quasi tangibili i progressi dell’eroe. Insomma, che diamine: c’era un mondo vero da esplorare, ora! E ad ogni mappa corrispondeva un tema portante, un elemento di gameplay nuovo e, alla fine, uno dei sette Bowserotti, al tempo ancora ritenuti da Nintendo essere i sette figli di Bowser (una parte di canone riscritta con l’arrivo di Bowser Junior in Super Mario Sunshine).
La trama consisteva in una vera e propria conquista del Regno dei Funghi da parte di Bowser che, dopo aver rivolto gli scettri magici dei sovrani dei vari regni contro di loro, spartì ai sette scagnozzi le bacchette magiche e, con esse, il dominio dei mondi. La resistenza risiedeva nelle mani di Mario e nella sua capacità di completare i livelli tutto d’un fiato.
Da un seguito arido di idee a un uragano di inventiva
A testimonianza del ritmo serrato con cui il giocatore veniva sommerso dalla miriade di idee contenute in Super Mario Bros. 3, i livelli erano brevi e del tutto privi di checkpoint. Ogni singolo stage era un vero e proprio fiocco di neve, con una sua identità e un’irripetibile idea di level design a costituirne le fondamenta. Quanto irripetibile, però? La risposta è “Mondo 5-3”. Chi l’ha giocato sa di che parlo, ma a chi non coglie il riferimento basti sapere che lo Stivale dei Goomba, uno dei power-up più iconici del gioco, appariva solo in questo livello, e non si sarebbe più rivisto prima di Super Mario Maker nel 2015.
Tutti associano a Super Mario Bros. 3 l’immagine di Mario accompagnato dalla coda di procione e dalle orecchie, ma quel Mario Procione nato da una foglia autunnale era solo uno dei tantissimi power-up che costellano il gioco. Non si trattava più solo di funghi, fiori e stelle: Mario poteva improvvisamente trasformarsi anche in una rana esperta di nuoto, lanciare martelli o trasformarsi in una statua, in base al power-up capitatogli tra le mani. E insieme ai potenziamenti, venivano naturalmente dei livelli capaci di calzar loro a pennello.
Il level design, seppur ostico per i parametri moderni come tutti i giochi dell’epoca, rimaneva comunque di qualità costante, dove ogni ostacolo, ogni piattaforma ed ogni salto venivano studiati alla perfezione. Ogni nuovo mondo raggiunto rappresentava un pretesto per mettere sul tavolo qualche nuova idea: con il deserto veniva introdotto un sole furente da evitare tra un intervallo di tempo e l’altro, il mondo dei nemici giganti poneva di fronte al giocatore ostacoli più grandi del normale, le terre innevate mettevano alla prova i piedi di Mario con il terreno sdrucciolevole, e così via.
Gli scontri con i boss, poi, si estendevano ben oltre il semplice “evita Bowser con un salto e colpisci l’ascia” del primo Super Mario Bros.: ora alla fine di ogni fortezza Mario avrebbe trovato l’agguerrito Boom Boom ad attenderlo, mentre ognuno dei sette Bowserotti aveva una differente strategia di attacco. Non che si tratti di nulla di eclatante, di nuovo, ma al tempo si trattava dell’equivalente dei giochi più ambiziosi dei giorni nostri al momento della loro uscita.
Persino l’assenza della possibilità di salvare poteva tramutarsi in una nuova sfida: ad ogni avvio del gioco si potevano cercare scorciatoie con cui aggirare i livelli senza affrontarli, o addirittura flauti magici che permettevano di evitare mondi interi. Era una sorta di scrematura, certo, ma i giocatori più tenaci erano anche quelli che ebbero modo di trarre di più da quest’esperienza.
L’eredità più grande di tutte
Di tutti i titoli di Mario della vecchia guardia, questo è indubbiamente quello che Nintendo ama omaggiare di più. I due platformer di Mario usciti su Nintendo 3DS, Super Mario 3D Land e New Super Mario Bros. 2, presentano entrambi la stessa foglia. Sarebbe più facile elencare ciò che non è più comparso nei successivi giochi del brand.
Ma non si tratta solo di riverenza interna da parte della Grande N nei confronti del Mario di maggior successo, c’è dell’altro a rendere Super Mario Bros. 3 tanto speciale. Non ha solo plasmato il genere dei platformer: questo è già avvenuto anni prima anche solo con la versione arcade di Donkey Kong. Ma il punto è proprio questo, si tratta sempre e comunque di meriti attribuiti ed attribuibili solo a Mario.
Nel suo non aver reinventato la ruota dei platformer, con Super Mario Bros. 3 l’idraulico ha reinventato sé stesso. Certo, tra la mancanza di checkpoint ed altri “errori di gioventù”, certi sacrifici andavano fatti per una giusta causa: stabilire i dogmi che ancora oggi vengono seguiti con diligenza da parte dei team di sviluppo capitanati da Shigeru Miyamoto.
Ogni Mario a scorrimento laterale di oggi, senza eccezione alcuna, deve quantomeno qualcosa a Super Mario Bros. 3. Naturalmente, anche al Super Mario Bros. originale, ma questo lo si può dire di qualunque platformer lineare, da Crash Bandicoot a Rayman. Qui si parla di un peso molto più grande nella storia del genere.
Basti pensare a quante delle cose aggiunte alla formula nel terzo episodio siano onnipresenti nella saga, al di fuori dei rudimenti stabiliti dal capostipite. Sì, è vero: i fan di vecchia data sono divisi tra chi preferisce Super Mario Bros. 3 e il suo seguito su Super Nintendo, ovvero Super Mario World. Ma mentre il primo dei due ha rivoluzionato la serie, il secondo ha “solo” perfezionato degli elementi già esistenti. E mentre entrambi i giochi sono presenti come stili disponibili nei due Super Mario Maker, più quello per 3DS, usciti finora, non è certo da World che lo stile del primo Super Mario Bros. ha tratto gli elementi aggiuntivi per “stare al passo”: nemmeno Yoshi viene usato in quello stile, venendo invece sostituito dal mitico Stivale dei Goomba.
Alziamo dunque i calici, e brindiamo al più incisivo Mario bidimensionale di sempre, ai suoi segreti, alla sua varietà, alle sue idee, ai suoi mondi e all’ambizione con cui ha reso, mediante i velieri volanti di Bowser anni prima che venisse inventata la Odyssey, una vera e propria odissea quella che prima era una semplice corsa ad ostacoli compiuta da un paffuto e baffuto idraulico del Bel Paese.