Grim Fandango appartiene a un genere di giochi che ha avuto la sua epoca d’oro a cavallo tra gli anni ’90 e gli inizi degli anni 2000. I giocatori più anziani non possono che ricordare le avventure grafiche firmate LucasArts, con capolavori del calibro di Monkey Island, Maniac Mansion, Indiana Jones, Day of the Tentacle e Full Throttle. Tutte splendidamente disegnate in 2D, con un sistema di gioco praticamente identico (il famoso SCUMM e l’interfaccia “punta e clicca”), hanno letteralmente rappresentato una generazione di giocatori, che ricordano ancora oggi con molto affetto quel periodo, tra cui il sottoscritto!
Grim Fandango arrivò come una piccola rivoluzione: fu la prima avventura grafica che mischiava personaggi tridimensionali ad ambienti che comunque rimanevano in 2D. Venne stravolto anche il gameplay, con l’utilizzo di un formato che doveva giocoforza sfruttare la nuova filosofia 3D: sebbene non fosse esattamente intuitivo e semplice da padroneggiare come la vecchia interfaccia, il gioco riusciva a farsi giocare e compensava queste mancanze con un humour e una storia che ancora oggi non farebbero fatica a conquistare nuovi appassionati.
Grim Fandango: l’aldilà, il Noir e i vizi dei personaggi morti
Indiana Jones, aspiranti pirati e corsari maledetti, misteriose creature aliene e tipici motociclisti americani erano stati finora i protagonisti delle avventure grafiche di casa LucasArts, che con Grim Fandango decise però di cambiare registro guardando all’affascinante mondo della cultura azteca, specialmente per quel che concerne l’aldilà. Ovviamente tutto questo è stato ben presto miscelato con l’ironia tipica dei prodotti firmati Tim Schafer, ed ecco che avevamo il nostro protagonista, il mietitore Manuel “Manny” Calavera, sull’orlo di una crisi perché incapace di ricevere anime che gli permettessero di saldare i suoi debiti.
Facciamo un passo indietro: nel mondo di Grim Fandango, le anime vengono prelevate dagli agenti del Dipartimento della Morte, che agiscono tramite la più classica raffigurazione della morte, armati di falce e vestiti con una tunica nera. Le anime sono inserite all’interno di involucri nel momento della loro morte e, a seconda di come si sono comportate in vita, possono ambire al miglior pacchetto viaggio possibile per il mondo dell’aldilà, che viene venduto direttamente dal funzionario.
Ora, per arrivare alla Terra dei Morti normalmente ci si impiega quattro anni, ma i più meritevoli possono farlo persino in 4 minuti. La sfortuna del nostro protagonista, Manny, è quella di beccare gli involucri meno preziosi. I suoi clienti sono principalmente anime incapaci di essersi distinte in vita: questo non gli permette di vendere i migliori pacchetti viaggio e dunque di saldare i suoi debiti contratti in vita.
Questa allegoria della morte è uno degli aspetti più divertenti di Grim Fandango, che non rinuncia affatto all’ironia e all’humour delle tipiche avventure grafiche di LucasArts. Tuttavia, si percepiva in generale un’atmosfera più cupa e oscura rispetto gli altri giochi, un vero e proprio noir videoludico che sembrava attingere a piene mani dall’America del Secondo Dopoguerra. Dialoghi, atmosfera e sviluppo dei personaggi erano del resto la parte migliore della produzione, un po’ claudicante dal punto di vista del gameplay, ma indimenticabile se penso alla sua storia e ai suoi protagonisti.
Mi viene in mente un particolare divertente, che si ricollega al discorso relativo agli elementi noir inseriti nel gioco. Molte delle scene si svolgono all’interno di bar e tavole calde particolarmente buie, in cui spiccano i fumi delle sigarette accese dai personaggi della storia. Ecco, sappi che a ben pensarci tutti i protagonisti di Grim Fandango sono morti, quindi non avevano organi per assimilare fumo e alcool di cui facevano gran uso.
È un dettaglio che poi viene fatto notare dallo stesso sviluppatore nel corposo manuale di gioco, come si facevano una volta. Un disclaimer che si allinea alla filosofia ironica e divertente della produzione: “Tutti i personaggi che fumano all’interno del gioco sono morti. Pensaci!”. Che altro aggiungere?
Insomma, ripensare oggi a Grim Fandango riporta alla mente tanti ricordi. I pomeriggi dopo la scuola passati a cercare di risolvere enigmi tentando di resistere alla tentazione di andare alla ricerca di soluzioni online (internet non era così diffuso, ma per fortuna ne avevo già accesso); le difficoltà legate ad un gameplay per un sistema che si era dovuto necessariamente stravolgere rispetto gli altri giochi e che faticava ad essere altrettanto comodo (difetto accentuato poi nel quarto capitolo di Monkey Island); la sorpresa talvolta di vedere certe tematiche in un’avventura grafica Lucasarts, ma affrontate sempre con quell’ironia tagliente unica nel suo genere; le musiche di una colonna sonora straordinaria.
È per questi tanti motivi che quando Double Fine Productions annunciò la remastered nel 2014 esultai come un bambino felice. Considera che non sono un grande cacciatore di trofei, ma conosco e amo Grim Fandango così tanto che è uno dei due giochi PlayStation che sono riuscito a platinare. L’altro, neanche a dirlo, è la remastered di Day of The Tentacle, avventura grafica firmata sempre Lucasarts e Tim Schafer.
Grim Fandango è un classico del genere che se sei un appassionato di avventure grafiche vecchio stile non può mancare nella tua collezione. Partorito da un’epoca di videogiochi ben diversa da questa, è un trionfo di ironia e humour nero, condito da una buona dose di noir che lo ha reso, sin da subito, uno dei titoli della sua tipologia più originali di sempre.
E volendoci aggiungere un po’ di tristezza, che combacia alla perfezione con alcuni dei temi trattati nel gioco, è stata la penultima avventura grafica di LucasArts. Poi, la falce di un mondo in rapido cambiamento ci portò via un modo di intendere il videogioco che solo negli ultimi tempi, grazie al panorama indipendente, sta finalmente ritornando alla luce.