Ancora non si vedeva l’alba del terzo millennio in un mercato videoludico che stava esplorando il nuovo genere dei titoli open-world, quando Rockstar North (al tempo ancora DMA Design) decise di sviluppare un gioco che provasse a riscrivere le regole di questo genere. La serie di videogiochi targata Rockstar, Grand Theft Auto si era già fatta un nome, ma con il terzo capitolo, la software house ha dimostrato di voler davvero fare sul serio.
Caro lettore nella puntata di oggi della nostra rubrica Old But Gold, andrò a raccontarti di Grand Theft Auto III, un gioco che ha avuto un grandissimo impatto sia sui giocatori e sia sulla critica, che lo ha acclamato all’unanimità quando uscì nei negozi il 22 ottobre del 2001, originariamente per PlayStation 2.
L’ampiezza di Liberty City e la varietà di contenuti scoperti successivamente all’interno del gioco ci invitano a esplorare il mondo circostante
“Sei stato tradito e lasciato a morire. Ora ti vuoi vendicare a meno che non sia la città a prendere prima te. I boss della mafia hanno bisogno di un favore, i poliziotti corrotti hanno bisogno di aiuto e le gang di strada ti vogliono morto. Dovrai rapinare, rubare e uccidere solo per evitare problemi seri. A Liberty City tutto può accadere.”
Final Fantasy o la serie di The Legend of Zelda ci avevano già preparato al genere dei giochi open-world; Driver, Urban Chaos e Body Harvest avevano infuso violenza in questo genere e, con i primi due esempi, un’estetica da film poliziesco. Ma Liberty City, che appariva maestosa nella sua grafica tridimensionale all’inizio di GTA III, era più palpabile dei mondi che avevano gettato le basi del genere. Il suo spettacolo puro è riuscito ad enfatizzare con precisione i dettagli che hanno reso unico il gioco.
La prima missione di Grand Theft Auto III, “Give Me Liberty“, è molto più che una vetrina tecnica. Come suggerisce il titolo, ci comunica, in molti modi, precisamente il luogo, le persone e la politica che avremo modo di conoscere successivamente nel corso del gioco.
Quando la cutscene introduttiva termina, entriamo in un’auto e poi scappiamo dall’esplosione sul ponte, vediamo la polizia e sentiamo le sirene che gemono, passando nella direzione opposta. Se desideriamo vedere gli open-world vivi e popolati e che reagiscano alle nostre azioni, una coppia di poliziotti sembra anticipare le nostre aspettative, rispondendo rapidamente a un’emergenza che abbiamo causato, la polizia di Liberty City si comporta come la polizia nella vita reale reagendo a ciò che facciamo.
Mentre usciamo dal ponte e ci dirigiamo verso un obiettivo sulla minimappa, la nostra autoradio trova un segnale: “Questa è Head Radio, una Love Media Station. Solamente una fra le 900 stazioni radio, le 300 stazioni TV, le quattro reti, i tre satelliti e i dieci senatori” le battute iniziano a uscire, spesso a spese delle multinazionali, ma in realtà a tutti, in maniera analoga a quanto succede in South Park.
Che sia attraverso il suo muto protagonista, il quale rispetto ai suoi coetanei sembra sempre essere stoico e individuale, la sua storia in generale, che prevede la lotta contro una banda che cerca di consolidare il potere assoluto, o le sue missioni che possono essere completate con grande libertà, GTA III celebra la non conformità. Le grandi organizzazioni, dice direttamente, sono corrotte e inaffidabili. Solo l’individuo, scatenando il caos in un gigantesco parco giochi, è celebrato per davvero.
Ma se il realismo, in una certa misura, rende i mondi aperti più coinvolgenti, Liberty City è da lodare invece per la sua semplicità
L’ampiezza di Liberty City e la varietà di contenuti scoperti successivamente all’interno del gioco ci invitano a esplorare il mondo circostante. Possono sembrare gratuite, ma quelle battute di cattivo gusto generano, sin dall’inizio di GTA III, un senso di malizia. Potremmo ridacchiarci su come ragazzini, ma più tardi, quando ci saranno consegnate pistole, macchine sportive e bombe telecomandate, potremmo anche sentirci più inclini verso il particolare gameplay del titolo, facendo sì che fare un po’ di caos risulti essere una cosa naturale.
Mentre guidi per le strade di Liberty City, due cose, in particolare col senno di poi, risultano significative. La prima è l’orologio di gioco. Sarà casuale, ma data la misura in cui oggi GTA III è accreditato per aver cambiato i videogiochi, c’è un innegabile poesia in questo prologo che si svolge tra le 4 e le 6 del mattino. Quando “Give Me Liberty” è finito, e il giocatore inizia GTA III, sei letteralmente in piedi a una nuova alba.
La seconda è quanto appare grigia Liberty City, o almeno la sezione “Portland” in apertura. “Bello” è una parola spesso usata per descrivere gli open-world. Skyrim, le varie città di Assassin’s Creed, Los Santos di Grand Theft Auto V, persino il paesaggio arido di Fallout 4 vanta un suo tipo di lucentezza. Ma Portland è triste. Non è né bella in modo convenzionale, né possiede un fascino tangibile e individuale. Le sue proporzioni sono sbagliate: come tutte le ricreazioni dello spazio urbano in Grand Theft Auto nel corso degli anni, non contiene abbastanza negozi, strade o case.
Ma se la verosimiglianza desiderata, in una certa misura, rende i mondi aperti più coinvolgenti, Liberty City è da lodare invece per la sua semplicità. Il nostro “giro di ricognizione” di Portland rivela alcuni punti di riferimento riconoscibili. Ci muoviamo utilizzando punti di riferimento minori della vita di tutti i giorni: il molo, l’ospedale, il garage con l’auto sportiva. Nella realtà, ci spostiamo nelle nostre città prendendo come riferimento luoghi di significato spesso personale. Ricordandoci dei punti di interesse anche grazie all’opzione di posizionare dei segnalini su una mappa di gioco, Grand Theft Auto III ci incoraggia a formare connessioni soggettive a dettagli banali. Lo impariamo in maniera naturale, come lo facciamo girando per i nostri quartieri o i nostri paesi nella nostra quotidianità.
Insomma grazie ad una combinazione di gameplay basato sulla narrazione non lineare e un environment ampio e aperto, Grand Theft Auto III rappresenta un enorme passo avanti nel mondo dell’intrattenimento videoludico, mettendo i giocatori al centro della loro storia personale da gangster, quasi come fosse un film.