Se sei troppo giovane per saperlo, ai “nostri tempi” il concetto oggi ribattezzato product placement veniva chiamato con l’assai meno lusinghiero appellativo di pubblicità occulta. Quelli della mia generazione, al tempo ancora bambini, erano soliti vedere questo fenomeno elevarsi a scandalo mediatico: se ne parlava anche in politica, e persino Striscia La Notizia a suo tempo ebbe modo di farne un tormentone. Ben diverso era il discorso nelle nazioni anglofone, specie nella stessa America dove la pubblicità è una vera e propria istituzione. I risultati di questo, in campo videoludico, possono… variare.
Alcuni videogiochi, ad esempio, hanno trasformato il concetto di pubblicità in qualcosa di effettivamente godibile. Basti pensare al platformer per Super Nintendo Cool Spot, il cui protagonista era il tondino cremisi della 7-Up, o al predecessore spirituale di Temple Run, il ben più delirante Pepsiman per PlayStation. Ma mentre le batterie Duracell nei primi Pikmin o i vari brand reali visti nel film Ralph Spaccatutto e nel discusso seguito servivano a rendere credibile il mondo che vediamo su schermo, con il puzzle game Pushover (o “Push-Over”) per Amiga, MS-DOS e Super Nintendo le cose sono diverse.
Quelli della patatina
Sviluppato da Red Rat Software e pubblicato da Ocean nel 1992, il gioco si apre con una trama a malapena accennata. Eccezion fatta per l’edizione SNES del gioco, infatti, il filmato di apertura consiste in una rivisitazione in pixel art degli spot della mascotte delle patatine britanniche Quavers, il bulldog Colin Curly. L’espediente che guidava ogni singola pubblicità consisteva in un legame tra la curvatura degli snack in questione e nella fisica cartoonesca che curvava, in modo similare, il corpo del cane negli spot. Erano ancora i tempi in cui le pause pubblicitarie vantavano una spiccata direzione artistica.
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La premessa di Pushover è, anche in confronto ad altri titoli dell’epoca, piuttosto minimale a livello narrativo: Colin, in seguito alla frenesia dovuta all’ingestione di una patatina, si ritrova catapultato in aria, e la formica G.I. Ant (duplice gioco di parole su “ant”, formica, G.I. Joe, e “giant”, gigante) gli risparmia un capitombolo. Tuttavia, il pacchetto di patatine finisce in un formicaio, e al grido di “I’ll get them!” (“Vado a prenderle io”, mutato su MS-DOS) l’avventura di G.I. Ant ha dunque inizio. Riportiamo qui sotto, anche per un confronto con gli spot, i primi minuti di gioco, da cui partiremo per parlare di gameplay.
“Questo gioco non è un Pushover”
Così recitavano le pubblicità per il gioco, nonché la sua stessa copertina: un gioco di parole tra il titolo stesso, Pushover, e il termine “pushover”, che indica allo stesso modo una cosa facile, una schiappa o un sempliciotto. La premessa, come puoi vedere anche tu dal video in alto, è in realtà molto semplice: si tratta del domino, ma reinterpretato in salsa platformer (senza salti) con un level design ispirato ai classici arcade come Donkey Kong. Il nostro compito è quello di piazzare le tessere (gialle o gialle e rosse, come se fossero patatine occasionalmente pregne di ketchup) e farle cadere in modo tale da tenerne una per ultima.
I pezzi, introdotti gradualmente nel primo mondo “Toxic City” con livelli mirati a farne capire il funzionamento, si dividono in Standard (si limita a cadere), Stopper (non cade), Splitter (si divide in due se colpito dall’alto da un altro pezzo), Exploder (genera una voragine sotto di sé), Delay (cade in ritardo), Bridger (genera un ponte se cade da un orlo), Vanish (scompare se colpito), Trigger (va colpito per ultimo) e Ascender (vola verso l’alto, per poi cadere a gravità invertita una volta toccato il primo soffitto). Tutti questi elementi fanno di Pushover un rompicapo intrigante già dai primi minuti.
Abbiamo menzionato elementi di platforming, e non mentivamo. Innanzitutto, G.I. Ant è soggetto a una meccanica di danni da caduta che lo portano a morire se cade da altezze superiori ai due “piani”. Non sembra nulla di che, in un gioco in cui bisogna semplicemente muovere una formica in una mappa bidimensionale scarrozzando tessere del domino, ma questa limitazione viene ben presto integrata negli enigmi più intricati. Il limite più gravoso imposto al giocatore, però, è la frase al centro dell’immagine riportata qui sopra: “You have one push”, ovvero “hai una sola spinta”.
Nell’interesse di preservare il fascino del domino, Pushover aderisce religiosamente ad una regola: una volta posizionati i tasselli, dovremo farci bastare una sola spinta e lasciare che la reazione a catena faccia il resto. Ogni minimo errore può mandare in stallo l’intero meccanismo. Se una tessera cade su un’altra che non sia uno Splitter, delle due non resterà che un cumulo di macerie. Se non ci lasciamo cadere da un’altezza sicura prima che il Bridger azionato prima cada, ci ritroveremo intrappolati sulla piattaforma senza possibilità di lanciarci verso il traguardo, che ovviamente si apre solo quando il Trigger cade per ultimo.
Il progresso in questo gioco è gestito in maniera arcaica: una volta superato un livello, si può giocare solo il successivo. Non c’è modo di scegliere quale schema di Pushover giocare senza le care vecchie password. In modo analogo, i livelli non hanno alcun nome a distinguerli dagli altri, né la striminzita nomenclatura che contraddistingue i vari “Mondo numero tratto numero” di Mario. Questo, però, non priva di personalità i mondi: tra città piene di smog, piramidi maya, stazioni spaziali, circuiti del computer, città romane, castelli medievali, costruzioni di Meccano, manieri stregati e pagode, la varietà non manca.
Superare un livello ci darà un “Token”, un gettone con cui annullare la nostra ultima spinta in caso di cilecca. Si tratta comunque di un gioco d’altri tempi: non ricorrere agli aiuti ci premia sempre. Emergendo vincitori da ciascuna delle nove ambientazioni di Pushover senza “barare” ci darà accesso a quello che il gioco definisce “l’ultimo demoniaco schema del gioco”. Dopo averci augurato buona fortuna, dunque, il gioco ci manda allo sbaraglio. Quanto arduo potrebbe essere l’ultimo schema, però, dopo 99 livelli di pura, ininterrotta cefalea? Prova a dare un’occhiata qui sotto.
In teoria, si tratterebbe di un livello segreto, ma in pratica è forse uno dei più iconici tratti distintivi di Pushover per chi a suo tempo ebbe modo di giocarlo. Per non rovinare tutta la sorpresa a chi lo sta scoprendo solo leggendo queste righe, abbiamo optato per una via di mezzo: lo mostriamo, sì, ma con un immagine e non con un video. Qualora non fosse chiaro, il centesimo schema con cui si conclude il gioco non ha solo tasselli standard come l’immagine sembra suggerire: i pezzi in realtà sono di tutti i tipi (non ti insospettisce non vedere il Trigger?), ma come sfida aggiuntiva sono tutti gialli.
Dominio sul domino
In linea di massima, questo era Pushover, un titolo di cui consiglieremmo il recupero per tutti coloro i quali siano incuriositi dai suoi molti rompicapi. Dove trovarlo, però? Prima di indirizzarti agli anfratti del web dove potrai recuperare questa piccola perla, tiriamo le somme valutando la grafica del gioco. Il titolo è indubbiamente curato, non mancando mai di abbellire con i più svariati dettagli un level design che, nella sua semplicità, riusciva a suo tempo a donare al gioco non poca longevità. Alcuni rompicapi sono davvero infami, ma mentiremmo se non riconoscessimo al gioco la cura riposta nell’estetica.
Anche l’aspetto del sonoro non manca certo di fascino. La colonna sonora che accompagna l’azione calza a pennello agli sfondi, ma in generale non è nata con l’idea di sposarsi bene con il gameplay in sé. Piuttosto, la cadenza tipica di alcuni brani – uno su tutti, il primo mondo, Toxic City – vuole solo fare da complemento alla città in sé, senza disturbare i nostri ragionamenti. Ci sono anche altri esempi che potremmo fare, ma preferiamo includere qui sotto la colonna sonora in toto, per preservare il piacevole ricordo che Pushover suscita in noi ancora oggi stesso.
Il gameplay e la longevità, d’altro canto, vanno a braccetto. La premessa di Pushover è talmente basilare, anche a livello di trama (ma non nell’aspetto, capace di riempire di fascino persino l’ottenimento delle password), da prestarsi bene alla sua natura di mera compilation di enigmi. Non ci sono novità di gameplay introdotte tra un mondo e l’altro: i primi dieci livelli ci insegnano tutto ciò che dovremo sapere, e dal secondo mondo in poi starà solo al nostro ingegno dirci cosa dovremo o non dovremo fare. Che rimane da dire, dunque?
Se siamo riusciti ad incuriosirti almeno un po’ sul gioco, ti starai chiedendo dove trovarlo. Pushover è disponibile su Steam a cinque euro, e in questo momento – fino al 9 luglio 2020 – è disponibile in offerta a 1,74€. In alternativa, oltre alla versione online, ci sarebbe un remake non ufficiale curato da Ishisoft, ma al momento della stesura di questo articolo il sito è inaccessibile. Se vuoi un’idea dell’aspetto del gioco, controlla il video qui sopra, e preparati ad armarti di Google se volessi optare per il remake; per quanto riguarda noi, l’appuntamento con i cassetti della memoria è per giovedì prossimo. Non mancare!