Tutti sanno cos’è Diablo: attraversa una serie di sotterranei, uccidi mostri, ottieni bottino, diventa più forte. A questo punto è una formula che è stata ripetuta più e più volte, di solito migliorata e ampliata in modi diversi. Eppure la prima iterazione è sempre quella che mi colpisce. C’è qualcosa di così… pulito in tutto questo. Non ci sono campane e falò, pagine ed elenchi di statistiche di cui tenere traccia; è essenziale e semplice nel modo più comprensibile e accessibile possibile.
È l’equivalente di tuo nonno che ti legge una storia che hai già sentito un milione di volte: conosci la narrazione battito per battito, ma il modo in cui tuo nonno la racconta, le voci, le piccole divagazioni per i dettagli, creano una storia diversa da qualsiasi altra. C’è una ragione per cui “Diablo-clone” esiste come mezzo per definire un genere di giochi, e poiché quel genere è cresciuto e si è espanso sempre di più rispetto a quel concetto fondamentale, tornare alle sue radici mi dà un senso di nostalgia per qualcosa che non ti sei mai perso. Il che è super strano, ma anche incredibile.
Diablo 1 e la desolazione del gameplay
La sensazione di avventurarsi sempre più sotto terra, solo cercando di arrivare a un altro incontro o scoprire un raro pezzo di bottino rappresenta un’esperienza avvincente racchiusa in un mondo cupo e oscuro che è estasiante fino in fondo. L’isolamento è un tema ricorrente in Diablo, con il tuo personaggio che scende sempre più nel terreno fino a incontrare lo stesso Diablo.
Sei alla ricerca di te stesso e ricevi un aiuto minimo dagli altri. La città di Tristram è rada e sparsa, nettamente separata dalle civiltà più grandiose. I personaggi ti parlano, ma non lasciano mai le loro case, né interagiscono tra loro. Tutto è isolato e diviso, tu sei l’unico fattore che può colmare le lacune di questo villaggio devastato e portare una parvenza di pace, ma anche questo compito è solo tuo. È un mondo costruito attorno a un unico tema, creando un’atmosfera oscura per una ragione, piuttosto che esistere solo per il gusto di essere spigolosi.
Diablo 1 quanto sei anni ’90!
Forse l’altro motivo per cui sono così attratto da Diablo è quanto sia inequivocabilmente anni ’90. Tutto, dal level design isometrico al terribile doppiaggio, Diablo abbraccia le convenzioni del suo tempo. Il gioco ha dei problemi. La velocità di movimento sembra molto lenta e la presenza di villaggi sparsi nel mondo rende i viaggi eccessivamente lunghi e noiosi per l’acquisto di oggetti semplici. Alcuni problemi di bilanciamento nei livelli successivi di gioco rendono l’esperienza quasi impossibile per determinate classi. Eppure, per quanto queste caratteristiche mi infastidiscano, sono contento che ci siano.
Questa è l’esperienza di Diablo che ormai è entrata nel nostro immaginario. Molte di queste cose non le avevo nemmeno notate quando ci giocai. Infatti, avevo 5 anni quando uscì Diablo ed è il primo videogioco a cui ho giocato, grazie a mio fratello maggiore che all’epoca possedeva un Microsoft Compaq e comprò il gioco! Poichè ovviamente non riuscii mai ad arrivare alla parte finale dell’ultimo livello, decisi di riprenderlo molti anni dopo e finirlo.
Rigiocando a questo gioco, quasi mi aspettavo di odiare quanto fosse datata la grafica o quanto fosse invecchiato male il gameplay, ma mentre sto macinando i livelli per il bottino, spostandomi lentamente da un negozio all’altro, non sto nemmeno pensando a queste preoccupazioni. Mi sto divertendo a scoprire un gioco classico che ha avuto un impatto profondo e importante sull’industria dei videogiochi e ne sto amando ogni secondo. A proposito di capisaldi dell’industria videoludica hai avuto modo di provare la versione rimasterizzata di Diablo 2?