Per quanto meno “impressionante” rispetto al panorama Nintendo sfoggiato in Super Smash Bros. Ultimate, il mondo Sony racchiude moltissime proprietà intellettuali di rilievo, ben oltre il consueto Kratos di God of War piuttosto che la propria visione dell’arrampicamuri di casa Marvel.
Nell’attuale clima febbricitante per l’uscita di Death Stranding, titolo più che mai determinato a strappare il titolo di gioco dell’anno al già citato picchiaduro della Grande N, è bene ricordare che Sony si è sempre voluta distinguere dai canoni che oggi, ironicamente, conosciamo con il nome di “Nintendo Difference”.
Sony ha da sempre voluto offrire un’alternativa a un’industria videoludica al tempo troppo omogenea, dando libertà creativa ai suoi team di sviluppo. Uno dei primi frutti di questa ventata d’aria fresca, pregno di identità artistica, è nato in Svezia, e mentre in America lo chiamano Roll Away, per noi sarà sempre Kula World.
Il nostro amorevole sguardo al passato questa volta è puntato sul pallone da spiaggia ironicamente nato sulla penisola scandinava, e come il gioco stesso non saremo solo Old but Gold ma anche short and sweet, perché nel caso specifico di Kula World essere prolissi verrebbe meno sia alla sua storia che alla sua essenza. In questo viaggio intriso di ricordi, come per la fase di scrittura dell’articolo, consigliamo l’ascolto del video riportato qui sotto durante la sua lettura.
Le idee semplici…
L’innocenza di Kula World traspare, o traspariva, già dalla sua totale mancanza di trama. Il gioco nacque da un sogno astratto di Johannes Söderqvist, con labirinti celesti e una sfera d’acciaio (parte di un cuscinetto, forse?) intenta ad esplorarli. Era già in lavorazione un titolo simile ad X di Nintendo, ovvero un gioco di corse futuristico ambientato nei tunnel che ricorda SpeedX e il suo port 3D uscito su Nintendo 3DS, prima che il sogno visionario di Söderqvist ebbe la meglio.
Dopo un travaglio che vide come protagonista una creatura dalle fattezze di un roditore e una struttura priva di salti, Söderqvist tornò sull’aspetto sferico attorno al quale ruotava il suo sogno, per poi fare letteralmente roteare intorno a quest’asse l’intero level design, mettendo al centro un pallone da spiaggia multicolore… una cosiddetta Kula.
Purtroppo, la sola presenza di una band musicale chiamata Kula Shaker in America portò il team di sviluppo a bocciare il titolo Kula Quest per il gioco, optando invece per un più generico Roll Away. L’altisonanza del concetto di “quest” (“cimento”, come il primo trailer italiano del film Pixar Onward vorrebbe farci credere) deve averlo reso un flop tra i vertici Sony al tempo, dal momento che tra noi passò alla storia con il nome di Kula World. Gli unici a potersi fregiare di quello che doveva essere il titolo originario sono stati gli eterni fortunelli del gaming, i giapponesi.
… sono le migliori
Il level design di Kula World è fatto principalmente di cubi e parallelepipedi sospesi nel vuoto come terreno percorribile. Il movimento di Kula – perché “pallone da spiaggia” viene meno al termine usato con insistenza da Sony stessa – si svolge in modo similare a quello dell’insetto-attore protagonista di Bug! di Sega, ma con una gestione delle svolte a destra e a sinistra volutamente legnosa come nel primo Tomb Raider.
Per quanto il gioco si voglia mascherare da platformer, in realtà è prima di ogni altra cosa un puzzle game. L’inquadratura vede Kula sempre al centro, a prescindere dalla direzione che prende. Lo scopo del gioco, in ogni livello, è quello di raccogliere le chiavi necessarie a sbloccare l’uscita. Può bastarne una sola, a volte, ma già il secondo stage ci fa capire che in realtà ce ne possono benissimo essere due.
Una volta che ci si accaparra ogni chiave, l’uscita è libera, mentre il singolo frutto di ogni labirinto fa parte di una sorta di “set”. Al di là degli sfondi più disparati, la frutta dà davvero l’idea che ogni gruppo di livelli si possa considerare un “mondo”, dal momento che raccogliendoli tutti l’uscita del quinto livello ci premia ben oltre il laconico “Well done!” che chiude ogni peripezia: tra un mondo e l’altro, infatti, si possono celare dei livelli bonus “a tentativo singolo”, in maniera non dissimile da Boulder Dash, dove in stile Q*Bert dovremo riuscire a toccare ogni singolo cubo del terreno di gioco.
A frapporci tra noi e il nostro obiettivo ci sono i più svariati ostacoli, a partire dalla tirannia del tempo. A differenza della maggioranza dei videogiochi (anche all’interno del contesto odierno!), non possiamo nemmeno usare “il ticchettio delle lancette” come esempio, visto che a misurare il tempo abbiamo una clessidra. Quest’ultima viene trattata come una vera e propria clessidra a tutti gli effetti: gli oggetti che estendono il tempo a nostra disposizione, infatti, anziché aggiungerlo si limitano a capovolgere l’oggetto in questione, risultando tanto vitali se raccolti “in zona Cesarini” quanto fatali se toccati inavvertitamente all’inizio del livello.
In seguito, abbiamo ogni genere di amenità, tra chiodi che emergono dal terreno e raggi laser assortiti, capace di “bucarci il pallone”; l’icona che accompagna il messaggio della nostra morte è molto chiara in tal senso. Ma è l’ultimo di questi pericoli ad essere emblematico del level design per il quale Kula World è noto ancora oggi: il rischio di precipitare nel vuoto.
Dopo il primo livello, infatti, l’esigenza di saltare da un isolotto all’altro diventa una necessità a cui dovremo ovviare, come per ogni gioco PlayStation in cui si può saltare, con il tasto X—pardon, croce. Ma a rendere la tridimensionalità di Kula World davvero aggressiva è la possibilità di roteare gli interi livelli, e con essi la stessa forza di gravità.
Spiegare a parole cosa si intende è pressoché impossibile: come diceva Albert Einstein, “il tempo è quella cosa che so spiegarti finché non mi chiedi effettivamente di farlo”.
Possiamo comunque provarci, dicendo che ogni volta che la strada davanti a noi “finisce” senza svoltare da nessuna parte o quando invece un muro verticale ci ostruisce il passaggio, proseguendo dritti possiamo rispettivamente “girare intorno” al vicolo cieco e fare di ogni muro il nostro nuovo pavimento. Il risultato spiana la strada a parecchi rompicapi sui quali la curva di difficoltà ci obbliga a riflettere fin dai primi livelli.
Il cuore di Kula World, oltre alle “pillole della letargia” che danno al gioco un’illusione di lentezza per tutti i giocatori che le colgono inavvertitamente (e che fanno da chiara analogia per le sostanze stupefacenti, in un’industria videoludica che aveva appena finito di condannarle nelle sale giochi), si basa proprio sulla nostra capacità di roteare il livello nel modo giusto, gestendo nel migliore dei modi possibili il punto ideale dal quale spiccare il salto senza piombare in un baratro senza fondo.
In un gioco dall’anima tanto arcade, l’introduzione della possibilità di salvare la partita tra un mondo e l’altro è resa indispensabile dalla generosità con la quale il team di sviluppo Game Sweden AB l’ha infarcito di livelli: i labirinti tridimensionali sospesi nel vuoto, al di là del riscaldamento del primo mondo e del tutorial extra ricevuto dall’utenza nipponica di Kula Quest, sono ben 170. Una quantità notevole già per noi oggi a fronte della difficoltà del titolo, figurarsi negli anni novanta quando il gioco è uscito.
Un valore artistico tutto europeo
Look grafico e cura dei dettagli nella colonna sonora mostrano quanto ancora oggi il gioco sia godibile nel suo astratto minimalismo. Mentre lo sfondo psichedelico dei livelli bonus e quello tematico dei livelli normali che contribuisce a renderli “mondi” a tutti gli effetti saltano subito all’occhio, a beneficiare maggiormente del valore artistico del titolo è soprattutto l’orecchio.
La colonna sonora, che probabilmente starai ancora ascoltando ora durante la lettura se ci hai dato ascolto all’inizio dell’articolo, è stata infatti composta dal gruppo di musica elettronica svedese Twice A Man. In bilico tra il suo intento di creare una sorta di atmosfera e l’essere orecchiabile, la musica del gioco riesce ad essere apprezzabile sia come colonna sonora videoludica che al di fuori del suo contesto originario, con o senza la fastidiosa osservazione “buona, per essere di un vecchio gioco” di rito.
Tutti lo conosciamo oggi per essere un prezzemolino su alcuni dei dischi demo neri (Euro Demo/Demo One) a noi tanto cari, ma c’è dell’altro nell’eredità lasciata da questo gioco. Il creatore di Super Monkey Ball, gioco pronto a tornare sotto i riflettori con la versione HD di Banana Blitz, ha ammesso candidamente a più riprese di essersi ispirato apertamente proprio a Kula World. Non male, per un antesignano degli indie.
A dare ulteriore carne al fuoco, infine, è la longevità, che per la poca – nel senso buono – ambizione del titolo è pressoché perfetta. Al di fuori dell’estensione del tempo di gioco con la modalità Attacco al Tempo e la possibilità di affrontare questo titolo in due, infatti, Kula World è da gustare in piccole dosi, come un buon vino: punitivo con chi vuole scolarselo tutto d’un fiato con una curva di difficoltà figlia della sua epoca, ma generoso con chi invece vuole amarlo prendendosi il giusto tempo con i preliminari. E quest’analogia enologica ben si confà anche alla sua capacità di invecchiare bene, che forse è anche più di quanto si possa dire di quanto ha da offrire la scena videoludica contemporanea.