Correva l’anno 2000: l’accordo di esclusività tra Universal Interactive Studios, ramo videoludico del colosso mediatico poi venduto a Sierra e in seguito ad Activision, e Sony era agli sgoccioli. Con Crash Team Racing, Naughty Dog ha salutato il bandicoot con tanto di foto di gruppo dei suoi membri nel “taccuino” extra nascosto nel gioco; e mentre Eurocom ne prendeva – goffamente – le redini con Crash Bash, un anno dopo è toccato ad Insomniac chiudere baracca e burattini. Potremmo dire “finire col botto”, ma “chiudere baracca e burattini” si addice di più ai toni sobri, a tratti quasi mesti, di Spyro: Year Of The Dragon.
In occasione della recensione di Spyro: Reignited Trilogy, questa volta noi di ICrewPlay abbiamo pensato bene di rivolgere il nostro sguardo a come il drago purpureo – nel 2000, letterale Anno del Drago nello zodiaco cinese – ha spiccato il volo dalla console dalle tinte di marmo per poi atterrare altrove (con grazia su Game Boy Advance, schiantandosi su console fisse). Year Of The Dragon è un finale di trilogia molto divisivo: c’è chi lo esalta definendolo uno dei punti più alti raggiunti dal genere platforming (come il canale YouTube del britannico Caddicarus), mentre altri lo definiscono un sequel dozzinale e poco ispirato (come il collega americano Jirard “The Completionist” Khalil). E se fosse entrambe le cose?
“This is the end, my only friend”
Il gioco si apre con i draghi intenti a sonnecchiare a Collina Pietrosa, l’iconico e verdissimo primo livello del titolo con cui Spyro fece il suo ingresso sulle scene, attorniati dalle uova di drago provenienti dallo stesso gioco. Una coniglietta, Bianca di nome e di fatto, accompagnata dai rinoceronti antropomorfi Rinoc che faranno da nemici nell’arco dell’intero gioco, sbuca dal sottosuolo per prendere le uova e portarle con sé.
Il giaguaro Hunter, rimasto per qualche motivo con Spyro nonostante fosse un nativo del mondo visto nel gioco precedente, si sveglia di soprassalto quando la sua coda viene calpestata maldestramente dai ladri di uova, allertando gli altri draghi, ma la frittata è ormai fatta: il “bianconiglio” è finito giù per il buco. Solo Spyro, e Hunter grazie all’aiuto delle possenti zampe dei draghi adulti, può intrufolarsi per questa stretta tana: dopo uno “SPYYYYYYRO” urlato a pieni polmoni dal doppiatore che non avrà più modo di recitare così sopra le righe, l’avventura ha finalmente inizio.
Il tunnel sotterraneo conduce “all’altro capo dei mondi dei draghi”, ovvero i “Mondi dimenticati” che i draghi abbandonarono secoli fa, e con essi, come viene spiegato presto da uno dei tanti personaggi giocabili aggiuntivi, così fece anche la magia. Non che essa sia sparita in toto dal regno: è semplicemente monopolizzata dalla despota che ha preso le redini dei mondi, la Maga, e da Bianca, la sua assistente. Quest’ultima, senza nemmeno darci il tempo di entrare nel primo livello, ci accoglie con una minaccia non tanto velata e con un ancor più palese invito a tornare sui nostri passi; l’assenza della buca che ci ha condotto qui, però, a livello di gameplay non ci lascia molte alternative.
Affrettatevi, il luna park chiude domani
Il gameplay “di base”, un’entità in minoranza ben separata dal resto, consiste nella consueta insalata a base di corna con cui rincorrere i nemici, fiammate con cui arrostirli e planate a palate con cui attraversare gli scenari, una ricetta vincente che non serviva cambiare. Al termine del primo livello “normale”, Villa Solare, è però subito chiara una cosa: un corridoio ci mostra un mini-portale con cui accedere alle aree secondarie, ora considerate mappe separate dal resto dei livelli. L’area secondaria accessibile dal corridoio ci mostra un’arena per gladiatori dove Hunter, con il suo solito fare da surfista californiano, ci informa che possiamo emulare Tony Hawk a bordo di uno skateboard. Aspetta, cosa?
Il gioco mette il turbo sin da subito in tal senso: le novità sono tante e vengono introdotte molto rapidamente, quasi senza darci respiro (infuocato). I completisti che spazzolano ogni anfratto dei singoli mondi prima di andare nel successivo ne sono al corrente, ma il fatto che una delle aree secondarie di Villa Solare consista in una porta chiusa si rivela una doccia fredda per tutti quelli che hanno saltato a piè pari la scarcerazione di Sheila il canguro nella hub principale. In ciascuno dei quattro mondi presenti nel gioco, infatti, le gemme raccolte da Spyro possono essere usate per pagare l’orso Riccone (chi altri?) già visto in Spyro 2: Ripto’s Rage/Gateway To Glimmer, a cui è stato affidato il compito di tenere imprigionato un personaggio giocabile diverso.
Ognuno di loro presenta variazioni sul tema notevoli in fatto di gameplay: Sheila riporta il tutto “coi piedi per terra” basando il proprio moveset su doppi salti e calcioni, il sergente James Byrd permette un volo in stile Kirby e combattimenti a base di lanciarazzi, Bentley lo yeti si limita a menare tutti con la sua enorme clava di ghiaccio e la scimmia Agente 9 è praticamente un prototipo di Ratchet & Clank, il secondogenito di Insomniac (o quasi: il team ha debuttato su PlayStation con Disruptor, prima ancora di Spyro). Tutti questi elementi si traducono in aree secondarie incentrate su di loro anche in altri livelli, ma a meno che la loro cauzione non sia stata pagata e il loro livello non sia stato completato, il tutto si traduce in un backtracking che a volte può essere eccessivo.
Non che i già citati completisti siano più di tanto al sicuro: ognuno dei primi tre mondi presenta un’area secondaria dove si usa il personaggio sbloccabile del mondo successivo, per cui centopercentare le aree senza mai guardarsi indietro è, a tutti gli effetti, impossibile. Anche il gioco precedente presentava questa problematica da un certo punto di vista (Barlume, il primo livello di Spyro 2, richiede l’arrampicata introdotta nel secondo mondo per l’ultimo oggetto da collezionare), ma in maniera un po’ più ridotta rispetto a questo capitolo conclusivo.
In tutto questo, ben presto i portali di accesso ai vari livelli iniziano a richiedere un certo quantitativo di uova di drago, passate dall’essere oggetti aggiuntivi nel primo Spyro ai principali “MacGuffin” del terzo, per garantire l’accesso: se non è obbligatorio, il completamento minuzioso di ogni livello è, nei limiti del possibile, quantomeno caldamente consigliato. Se non altro, con tutte le svariate idee di gameplay implementate in pressoché ogni area secondaria del gioco (lo skate non è l’unico veicolo), la curiosità non mancava mai.
Pirateria portami via: una vittoria di Pirro
Uno dei fattori per cui questo gioco è tuttora noto è la sua protezione antipirateria. Ai tempi d’oro della prima PlayStation, e con essa (ammettiamolo) della pirateria, il “pezzotto” di Spyro 3 più noto era quello curato dal gruppo Paradox, che riuscì a trasformare il gioco in una simpatica versione di prova. Progredire, infatti, era pressoché impossibile, grazie alla risposta aggressiva di Insomniac ai pirati che riuscirono a craccare il precedente Spyro a una settimana dall’uscita, senza quasi battere ciglio. Il risultato è stato una protezione che è stata superata solo dopo anni, tra i brindisi degli sviluppatori che ormai, avendo ben altro tra le mani, erano riusciti a rendere di nuovo obbligatorio l’acquisto della versione originale nel periodo in cui contava ancora qualcosa (a chi sarebbe importato qualcosa della versione PS1 craccata di Year Of The Dragon anni dopo l’uscita?) a livello di vendite.
I “bug” programmati di proposito, in Spyro 3, sono ormai noti: dopo l’avviso in-game con cui la fata Zoe allude vagamente al fatto che, minimizzando, “potresti incontrare problemi non presenti in una copia originale”, nel gioco si presentano uova inesistenti, crash “casuali” del gioco o, nel caso della versione europea, repentini cambi di lingua. Il culmine lo si vede nello scontro finale contro la Maga, che nel caso delle copie pirata non arriva a durare un minuto: dopo un apparente crash, la protezione del gioco, in una sorta di citazione a quella di EarthBound, ci porta a una schermata di caricamento/autosalvataggio del primo mondo, nel quale torneremo con zero gemme e zero uova. Di certo, se ci sono voluti due mesi per una crack funzionante a metà e anni per avere una versione pirata decente, dev’esserne valsa la pena, giusto?
Stando a un’intervista a Gavin Dodd di Insomniac redatta da Gamasutra un anno dopo, non esattamente. L’enfasi sulla lotta alla pirateria è stata tale da avere un influsso negativo sullo sviluppo del gioco. Tempo e risorse altrimenti dedicate ad altri aspetti del titolo sono infatti finiti nello sviluppo di una protezione efficace, creando un effetto domino: “appena meno del due per cento” del tempo di sviluppo dedicato al gioco vero e proprio (!!!), tempi di masterizzazione più lunghi per ogni disco, prevedibili problemi di debug a causa dell’alta sensibilità della protezione e una fase di testing anche peggiore. Un “crunch” questo, insomma, come se ne sono sempre visti nell’industria videoludica (The Legend Of Zelda: Majora’s Mask è stato sviluppato in un solo anno riutilizzando buona parte del materiale di Ocarina of Time), generando un po’ di malcontento di cui le tracce sono visibili anche nel resto del gioco.
Ci mancherai anche tu, Insomniac
La parentesi aperta sulla pirateria mette sotto una luce diversa tutto il resto del gioco: le idee sono tante, sono fantasiose, sono divertenti e geniali, ma sono anche gettate un po’ alla rinfusa. I pareri degli sviluppatori stessi sono contrastanti in tal senso: da un lato, dopo aver perso la licenza di Universal, di Spyro hanno detto che “non poteva fare niente, nemmeno tenere in mano una pistola”, mentre dall’altro il cosiddetto “epilogo” del gioco (presente nell’elenco dei tesori ritrovati come per Spyro 2, ma senza musica di sottofondo a differenza dell’epilogo del predecessore) fa capolino il messaggio “Grazie per aver giocato, ci mancherai.”, mentre una foto ritrae tutti i personaggi intenti a salutare il giocatore.
Non c’è alcuna casualità se dopo quel personaggio che non poteva “nemmeno impugnare un’arma” Insomniac ha evoluto il concetto dell’Agente 9 trasformandolo in Ratchet & Clank per PlayStation 2, ma è anche vero che in quel messaggio il team sapeva che il pubblico del gioco si sarebbe diviso: da un lato, i fan delle idee di game design di Insomniac stessa, dall’altro i fan di Spyro che l’avrebbero seguito su altri lidi. Tra “mondi dimenticati”, l’indole decostruttiva con cui la principessa di Villa Solare in realtà non vuole essere salvata ma vuole semplicemente che il “principe azzurro” rispetti la sua ordinanza restrittiva (“Braid chi?”) e i toni più cupi del gioco, l’amarezza con cui il drago si appresta a lasciare il nido di Insomniac Games è palpabile a più riprese.
Nonostante la mancanza di coesione, però, c’è anche tanta, tanta voglia di farlo, questo “finale col botto”: Stewart Copeland, per quanto non più il solo compositore, torna in grande spolvero per deliziare le nostre orecchie ancora una volta (per poi portare al disastroso Spyro: Enter The Dragonfly uno dei suoi unici meriti in seguito), certi livelli rimangono tra i momenti più memorabili del platforming in toto, e altri omaggiano i titoli passati. Quest’ultimo punto merita una parentesi più approfondita: quasi tutti i volti che abbiamo imparato ad amare nel corso della serie fanno, bene o male, capolino qui, e con essi anche i ricordi a loro legati.
Al di fuori di Hunter, eletto portavoce di ogni variazione del gameplay che desse l’idea di ciò che è (era) “figo”, quasi tutto torna dai giochi precedenti. Partendo dai draghi anziani del primo Spyro nella scena iniziale, alla nostalgia per la componente fantasy del primo gioco mostrata nel livello Catena Incantata del terzo mondo, passando poi per Riccone, i fratellini Handel e Greta, i cavernicoli, il Professore ed altri comprimari di Spyro 2: tutti fanno ritorno nel terzo gioco per unirsi al saluto rivolto al giocatore.
Non faremo alcuno spoiler sulla (ormai comunque nota, dopo diciannove anni) rivelazione sulla Maga, ma possiamo dire praticamente tutto sulla scena con cui il gioco “ricompensa” chi lo completa al 100%. Una scena completamente priva di dialogo, ad eccezione dei rutti con cui uno dei draghi neonati saluta il mondo in cui è venuto alla luce. Senza troppe cerimonie, il draghetto viene affiancato a Spyro, per poi ruttare in faccia pure a lui; il protagonista si limita a scuotere il capo e guardare in basso, prima di una rapida dissolvenza in nero.
Questa mancanza di pathos, simbolica di un po’ tutto il gioco, viene sostituita in Spyro Reignited Trilogy da un momento tenero nel quale il cucciolo, in tutto il suo bruciore di stomaco, viene accolto a zampe aperte da uno Spyro sorridente, che a sua volta simboleggia i toni del ritorno di Spyro: così come si è concluso il precedente Old But Gold in merito a Crash Team Racing, anche qui possiamo parlare di un ritorno di fiamma. Perché mentre nel 2000 Spyro agitava la testa in vista delle mani in cui sarebbe capitato in futuro, ora invece abbiamo un drago, risorto come Crash dalle sue ceneri, che è tornato per restare.