Ecco una domanda da un milione di dollari. Abbiamo davvero bisogno di un open world in tutti i GDR? Un grande mondo aperto che aspetta soltanto di essere visitato è sempre un fattore positivo e un valore aggiunto, oppure può anche danneggiare l’esperienza finale del gioco? Ormai, dopo lo sviluppo che il settore videoludico ha preso negli ultimi anni, associamo automaticamente i giochi di ruolo all’esplorazione donata da una grandissima mappa di gioco. I giochi AAA costano molto e, di conseguenza, sono molto rischiosi da produrre. Per questo motivo, gli sviluppatori cercano sempre di fornire dei contenuti che possano tenere il giocatore immerso nel titolo più tempo possibile, seguendo ciò che il mercato richiede maggiormente.
In realtà un GDR può comunque essere lineare e al contempo offrire un’esperienza longeva e ricca di segreti, basti pensare a Final Fantasy X. In alternativa, possiamo vedere titoli come Pillars of Eternity o Dragon Age, (i quali vantano una grandissima longevità e innumerevoli cose da scoprire) che presentano tante piccole aree divise da una mappa su cui vanno selezionate. In poche parole, gioco di ruolo non è sinonimo di open world. Al contrario, le strutture di diversi RPG possono variare molto e ognuna di esse ha diversi vantaggi e svantaggi.
Chiaramente, l’open world adesso va per la maggiore e può essere definito una vera e propria tendenza del mercato odierno. Tuttavia, questo non significa che sia la scelta migliore in ogni caso. Di fatto, dei titoli con una struttura più lineare tendono a privilegiare la storia e la crescita psicologica dei personaggi, dato che gli sviluppatori possono plasmare la vicenda in modo oculato, delineando un crescendo meticoloso che mette al centro dell’esperienza i momenti memorabili sapientemente costruiti e posizionati. Vale la pena citare i vecchi Final Fantasy, in particolare il decimo capitolo. La storia è incalzante ed è al centro di tutto, senza mai passare in secondo piano grazie a un susseguirsi di momenti memorabili e rivelazioni. Ci sono attività secondarie, ma non sono mai così numerose da distogliere l’attenzione dalla trama.
L’open world, dall’altra parte, permette al giocatore di avere libertà assoluta sulle attività da svolgere, privilegiandone una a discapito di altre. Questa possibilità di scelta può essere un valore aggiunto se lo scenario è costruito bene e denso di contenuti e di cose da scoprire, siano essi dungeon, missioni secondarie, rovine, enigmi, armi e così via. In pratica, se l’open world è fatto come si deve (quindi in questo discorso escludo mondi vuoti e privi di contenuti), siamo di fronte a un’esperienza che privilegia il gameplay sopra ogni altro aspetto, dando continuamente attività in pasto al giocatore. Basti vedere titoli come The Witcher 3 o Skyrim, che sono una scoperta costante. La “controindicazione” di questa struttura è il potenziale passaggio in secondo piano della storia: un giocatore può spendere centinaia di ore prima di proseguire la trama principale che, di conseguenza, perde la sua importanza diventando una delle tante attività disponibili. Chiaramente ci sono utenti che proseguono imperterriti nelle missioni principali, ma ciò non toglie che ci sia la possibilità concreta di potersene allontanare per tantissime ore.
In sintesi, una struttura lineare permette di costruire e narrare meglio una storia, invece un mondo aperto (ammesso che sia fatto come si deve, chiaramente) privilegia il gameplay e le attività scelte dal giocatore. Qual è meglio, quindi? Dipende da cosa cerchi tu quando acquisti un gioco e da quello che gli sviluppatori vogliono trasmettere.
Facciamo nuovamente l’esempio dei Final Fantasy. La saga è conosciuta soprattutto per la storia emozionante e i personaggi profondi e ricchi di sfaccettature. Tutti i fan della serie Square Enix ricordano le loro avventure soprattutto per le emozioni suscitate dalla storia o da una particolare rivelazione su un determinato protagonista. Soltanto dopo vengono i minigiochi, dopo vengono le missioni secondarie e tutto il resto. Questo è reso possibile dalla tradizionale struttura lineare tipica dei classici JRPG.
Tutti i Final Fantasy danno l’illusione di aree molto ampie e di libertà ma, in realtà, costringono i giocatori verso passaggi ben definiti che hanno poche attività secondarie. Queste ultime sono abbastanza consistenti da essere una distrazione dalla trama e da far ottenere qualche oggetto extra, ma non sono mai così numerose da allontanare del tutto gli utenti dalla narrazione. Le vicissitudini dei protagonisti restano, sempre e comunque, il punto centrale di ogni attività. Persino le world map dei vecchi capitoli seguono questo concetto, mascherando il “corridoio” per andare avanti con un’esplorazione che non è mai completamente libera. In pratica, la trama resta sempre la protagonista assoluta, grazie a una struttura creata appositamente per privilegiarla.
Guardiamo ora ai The Elder Scrolls. L’intera serie viene menzionata principalmente per l’esplorazione di scenari immensi, pieni di attività secondarie da scoprire. Il secondo capitolo, Daggerfall, può vantare ancora oggi una delle mappe di gioco più grandi ed estese di sempre. A differenza dei Final Fantasy, i giocatori di questa saga tendono a ricordare momenti particolarmente esaltanti sperimentati durante l’esplorazione. Questo perché l’open world spinge l’utente a vivere avventure uniche e personali, privilegiando grandemente il gameplay e i momenti memorabili che derivano da questo. Un altro esempio è Final Fantasy XV: il titolo ha così tante attività extra, che è facile perdersi per ore nelle sue missioni secondarie. Quindi, è un brutto gioco? Non necessariamente, ma allontanarsi dalla storia per ore fa perdere a questa il classico “piedistallo” su cui è rimasta nei vecchi capitoli.
Chiaramente, un Open World può avere comunque una trama emozionante, basti vedere The Witcher 3, ma anche in questo caso la gestione della progressione è affidata interamente al giocatore, il quale può benissimo allontanarsene per diverso tempo. Questo, chiaramente, non è possibile con una struttura lineare e guidata.
In ultimo, c’è da dire che è difficile “dare un senso” narrativo all’open world. Le lunghe peregrinazioni e la libertà offerte non sono sempre giustificate dalla trama di gioco, che quindi va in contrasto con il gameplay creando una dissonanza ludo-narrativa. In molti momenti di Final Fantasy XV o di The Witcher 3 i protagonisti si trovano in alcune situazioni che richiedono celerità. Ciononostante tra una missione e l’altra possiamo far passare giorni interi. Questo, chiaramente, rovina il senso di immersione e plausibilità dato da sequenze che non permettono deviazioni. Nessuno vieta di seguire questi momenti con la velocità richiesta in quel contesto ma, come ho detto prima, la scelta è nelle mani dell’utente e non in quella degli sviluppatori. Quando in un momento di Final Fantasy X Yuna è in pericolo il giocatore è obbligato a correre in suo aiuto, senza potersi allontanare troppo.
Tutto ciò non significa che un mondo aperto sia una connotazione negativa, ma solo che per un’esperienza perfetta andrebbe necessariamente dosato e bilanciato. Tornando alle avventure dello strigo, non ha senso (narrativamente parlando) vagare nel Velen accettando contratti quando Ciri è braccata dalla Caccia Selvaggia. Avrebbe senso farlo dopo il suo ritrovamento, dato quel breve momento di relativa tranquillità. Sia chiaro, The Witcher 3 è un capolavoro, ma in alcuni casi la trama risulta meno incalzante rispetto a quella del secondo capitolo che, guarda caso, permette di esplorare aree grandi, ma non un mondo aperto e immenso.
Un titolo che bilancia questi due aspetti è Metro: Exodus (di cui trovi la nostra recensione). Non è un GDR ma è un esempio perfetto. Infatti, il gioco alterna sapientemente momenti lineari e particolarmente coinvolgenti dal punto di vista narrativo, con altri più liberi e tranquilli, in cui si esplorano delle grandi aree con qualche missione secondaria (anche in questo caso, le attività non sono mai così tante da far dimenticare la trama).
Ci sono poi quei giochi di ruolo come Pillars of Eternity, Dragon Age o Mass Effect. Questi propongono aree molto grandi staccate da una mappa di gioco. In questi casi è possibile vagare in queste zone alla ricerca di attività secondarie, ma non raggiungiamo mai il numero di quelle presenti negli open world e, in ogni caso, parliamo di una componente esplorativa fortemente limitata dalle dimensioni dei singoli scenari. Per questo motivo, molto spesso troviamo missioni secondarie che tendono ad approfondire i singoli personaggi (che magari hanno motivi personali per visitare un certo luogo) oppure la storia e la quotidianità di quel determinato luogo. Chiaramente ci sono anche incarichi meno importanti, ma solitamente sono una minor parte.
Tutto questo non significa che gli open world siano sempre narrativamente carenti (The Witcher 3 dimostra il contrario anche con le sue missioni secondarie) o che i titoli lineari siano sempre noiosi (Final Fantasy VI ha un gameplay stupendo), ma solo che siamo di fronte a una differenza sostanziale. Gli open world mettono gran parte della progressione nelle mani del giocatore, che è libero di seguire il suo istinto, giocando come vuole. Questo può essere un male se lo scenario è vuoto o se le missioni sono ripetitive e prive di mordente.
Dall’altra parte i giochi lineari permettono la creazione di una progressione oculata che “costringe” gli utenti a seguire la strada e il ritmo dettato dagli sviluppatori. Questo è un male quando alcune sezioni sono eccessivamente lunghe o noiose. Ad esempio la storia di Final Fantasy XIII sarebbe dovuta scorrere più velocemente in alcuni momenti poco importanti.
In poche parole, ogni struttura ha i suoi pro e i suoi contro e la scelta di cosa sia migliore sta tutta nelle mani del giocatore. Cosa cerco in un gioco di ruolo? La possibilità di scelta su come risolvere situazioni e problemi, oppure una storia incalzante che metta in primo piano i personaggi e la loro crescita? E soprattutto, a un GDR serve sempre l’open world? Dipende da cosa si cerca in un gioco di ruolo e quali siano i fattori che tu, per il tuo personale punto di vista, apprezzi di più in un videogioco.
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