L’uscita su PC di Pathfinder: Kingmaker e l’accoglienza entusiasta che ne derivò due anni fa, ribadirono senza mezzi termini quel che noi appassionati del genere non vedevamo l’ora di poter constatare: il gioco di ruolo occidentale inteso nella sua formula più classica, fatto di meccaniche complesse e basato su regole ben precise, poteva ancora meritarsi un proprio posto all’interno del moderno mercato videoludico.
Oggi, a distanza di tutto questo tempo e dopo una serie non trascurabile di miglioramenti e DLC, il team di Owlcat Games in collaborazione con Deep Silver è sembrato essere decisamente pronto al prossimo grande passo. Quale? Raggruppare tutto ciò che ha da offrire il proprio titolo in un’unica esperienza da poter vivere anche su console. Questa, è la mia recensione di Pathfinder: Kingmaker – Definitive Edition per PlayStation 4.
La narrativa come sfondo in un’opera monumentale
Quando ho saputo che avrei giocato un’opera alla quale ha contribuito il rinomato sceneggiatore Chris Avellone, autore di alcuni tra i videogiochi di ruolo meglio scritti di sempre (Planescape: Torment, Baldur’s Gate: Dark Alliance, Fallout 2 e molti altri), non ho potuto fare a meno di aspettarmi grandi cose da quello che sarebbe stato il comparto narrativo di Kingmaker.
Il nostro viaggio si apre mostrandoci a fianco di molti altri avventurieri in cerca di gloria, che dopo aver come noi risposto a un appello si trovano al cospetto di Jamandi Aldori. Questa leggendaria guerriera rispettata da tutti ci ha convocato qui per una ragione ben precisa: partire in spedizione verso le Terre Rubate e sottrarle con la forza ai briganti che le stanno occupando.
Per quanto, agli occhi dei più esigenti, la narrativa del gioco possa mancare di guizzi particolarmente originali, la sensazione che si ha una volta immersi al suo interno è quella di sentirsi decisamente piccoli. A fare la differenza ancor prima di quanto accade, è infatti il modo in cui ciò viene raccontato e grazie alla licenza ufficiale di Pathfinder, dialoghi e ambientazione si ergono statuari. Entrambi fondamentali nell’esperienza di gioco, i primi vantano una profondità talmente marcata da fornire alla seconda tutto ciò di cui ha bisogno.
Chi conosce e apprezza l’universo di Pathfinder, ricco di tutto ciò che ha reso celebre il genere fantasy, non potrà che gioire di fronte all’arrivo su console di un’opera così fedele all’esperienza originale. Per tutti quelli che invece non hanno mai avuto modo di immergersi in Golarion, l’ambientazione che fa da sfondo a questo fantastico mondo, non mancheranno glossari ed enciclopedie in game, consultabili al fine di non sentirsi tagliati fuori; una scelta tanto apprezzabile quanto doverosa che ovvia almeno in parte a un problema di cui ti parlerò più avanti.
La profondità di Pathfinder anche su console
Ancor prima dell’approccio alla narrativa del titolo, come in ogni classico GDR che si rispetti, il giocatore è chiamato a creare il proprio alter ego virtuale o nel caso preferisse impersonarne uno predefinito, a sceglierne uno tra quelli offerti dal titolo. A ogni modo, il fatto che io abbia deciso di aspettare il secondo paragrafo prima di introdurti alla creazione del personaggio, non è assolutamente frutto del caso. Sin dai primi istanti, al giocatore risulta infatti chiaro quanto la sola distribuzione dei punti Attributo potrebbe influire enormemente sullo sviluppo della sua avventura.
La libertà data al giocatore in termini di caratterizzazione del protagonista (che si riflette di continuo nelle opzioni di dialogo e non solo), malgrado gli evidenti limiti legati al suo aspetto puramente estetico, rende questo gioco una manna dal cielo per chiunque ami dare vita ai propri soggetti. Grazie all’intento degli sviluppatori di trasporre la profondità di Pathfinder in questo titolo, infatti, ogni personaggio risulta ben definito che si tratti del nostro o di chi s’incontra giocando. Un dettaglio tutt’altro che trascurabile, specie in un titolo che offre 12 compagni ognuno dei quali si distingue dagli altri.
La grandezza di questa Definitive Edition, che a oggi rappresenta senz’altro il modo migliore di vivere Pathfinder: Kingmaker, sta proprio nella sua voglia di farsi conoscere da più persone. Far arrivare al pubblico su console un GDR isometrico e improntato alla strategia, che si presta quindi particolarmente bene alla precisione e immediatezza di mouse e tastiera, non è mai una cosa facile. Per riuscirci, il team di Owlcat Games ha pensato bene di implementare una nuova modalità a turni, intercambiabile in tempo reale con quella regolata dalla classica pausa tattica. Il risultato? Un’esperienza tanto più comoda quanto fedele alle regole effettive del gioco da tavolo.
Il rovescio della medaglia
Abbiamo quindi 9 razze principali e un totale di 16 classi diverse, ognuna delle quali vanta addirittura 3 archetipi differenti; un totale di 12 compagni arruolabili con una propria personalità e una storia da raccontare; una mappa esplorabile attraverso una pedina al fine di scoprire i molti luoghi d’interesse e un Regno da dover gestire come meglio crediamo conquistando regioni, edificando strutture, affrontando eventi ed evitando rivolte. Ogni singolo aspetto di Pathfinder: Kingmaker – Definitive Edition, rimanda a una profondità che raramente ho visto nei titoli recenti.
Per quanto un gameplay così ben strutturato risulti innegabilmente degno di lodi, va detto che una tale complessità potrebbe anche essere recepita come un muro invalicabile. Nonostante la buona volontà degli sviluppatori nel fornire al giocatore tutto ciò di cui ha bisogno, attraverso l’aggiunta di un’enciclopedia ricchissima e l’impiego di opzioni altamente personalizzabili, Pathfinder: Kingmaker fatica comunque a risultare davvero alla portata di tutti. Se dovessimo infatti fare un confronto con altri titoli di questo stesso genere, ci renderemmo conto che una maggiore intuibilità non sarebbe necessariamente dovuta sfociare in compromessi.
Mi rendo conto che in casi come questo è davvero difficile parlare di difetti oggettivi, e ci tengo a sottolineare ancora una volta quanto la profondità di questo titolo risulti affascinante. Tuttavia, dettagli come una gestione dell’inventario scomoda e limitata in un gioco dove essa ha un’importanza focale, non possono che lasciare l’amaro in bocca pensando ai buoni esempi che il mercato ha già offerto.
Pathfinder: Kingmaker su PlayStation 4 è l’esperienza definitiva per gli affezionati all’universo di Paizo, e risulta sicuramente apprezzabile da chiunque ami alla follia il classico GDR nudo e crudo. Per tutti gli altri, però, compresi coloro i quali vorrebbero approcciarsi al genere per la prima volta, sarebbe decisamente il caso di volgere il proprio sguardo in un’altra direzione.
Limiti e prodezze del comparto tecnico
Eccoci arrivati all’ultima parte di questa mia recensione dedicata a Pathfinder: Kingmaker – Definitive Edition. Dopo averti descritto la sua possanza in termini di meccaniche e profondità, sottolineando come per certi versi si possa parlare di un’arma a doppio taglio, non resta che introdurti al suo comparto tecnico caratterizzato da alti e fin troppi bassi. Al di là di quello che poteva infatti essere l’esperienza originale giocata su PC, devo ammettere che la mia PlayStation 4 non ricorderà con gioia questo gran titolo.
Difetti trascurabili quali la legnosità di alcune animazioni a parte, purtroppo il gioco presenta problematiche più gravi come dei clamorosi cali di frame rate, che spesso e volentieri finiscono con il risolversi attraverso un immediato crash dell’applicazione. Inutile dire che fattori come questo, capaci di minare la godibilità del prodotto, andrebbero assolutamente risolti ancor prima che esso venga proposto al grande pubblico. Fortunatamente però, dopo aver ricevuto un resoconto dei vari fix già predisposti dagli sviluppatori, posso confermare che il loro impegno in tal senso sembra essere encomiabile.
A risollevare il morale di fronte a queste brutte grane ci pensano degli effetti visivi davvero magnifici, che insieme a una colonna sonora estremamente azzeccata accompagnano il giocatore nel corso della sua avventura. Pathfinder: Kingmaker riesce a essere talmente immersivo da farti sentire parte integrante del suo mondo fantasy, tanto che i problemi tecnici di cui ti ho parlato qui sopra, risultano essere l’unica cosa in grado di spezzare la magia. Il gioco non è perfetto, ma ciò non toglie che può darti qualcosa di unico.