31 gennaio 2017: Final Fantasy VII compie la bellezza di 20 anni, costellati di ricordi indimenticabili e indelebili emozioni. Tante cose sono cambiate da quel fatidico anno, sia per SquareSoft (oggi Square Enix), sia per i suoi giocatori. Ma l’amore per il settimo episodio della saga non si è mai affievolito, riuscendo nel non facile compito di trovare un consenso quasi unanime nei giocatori che hanno avuto modo di vivere questa emozionante esperienza.
E certo, c’è tanto da amare in Final Fantasy! A partire dai suoi personaggi, profondi e caratterizzati magistralmente e calati in una storia che racconta di perdita, amore e sacrificio come nessun’altra opera interattiva era mai riuscita prima d’allora. Con Final Fantasy VII, il videogioco entrava ufficialmente nell’era della maturità, e da allora non sarebbe più stato lo stesso.
Pochi giochi hanno avuto un impatto rivoluzionario sulla cultura pop come quello che ebbe Final Fantasy VII. È stato il pinnacolo evolutivo di una delle serie più amate della storia del videogioco, che ha espanso oltre ogni limite le capacità narrative di questo medium, diventando un’ispirazione per migliaia di giocatori in tutto il mondo.
Il gioco è legato indissolubilmente al successo della prima PlayStation. Tuttavia, se guardiamo ancora più indietro alla storia della serie, scopriremo che il ciclo infinito di Hironobu Sakaguchi vede i suoi natali nel 1987, sul caro vecchio NES. La leggenda narra che, in una SquareSoft ormai sull’orlo della bancarotta, il giovane Sakaguchi-san decise di lanciare la sua opera più ambiziosa. In realtà, il nome che scelse, “Fantasia Finale”, deriva dal fatto che il grande autore pensava all’epoca che quella sarebbe stata la sua ultima opera nell’industria dei videogiochi.
Le cose, fortunatamente per noi, non andarono così. La serie ha vissuto diversi momenti di crisi, e uno dei più memorabili è quello che attraversò all’epoca della prima PlayStation.
La misteriosa alchimia del JRPG più bello della storia
Final Fantasy VI vide infatti la luce su Super Nintendo, ma il suo successore, Final Fantasy VII, diventò il simbolo della storica discordia tra Nintendo e SquareSoft, in quella che è stata una faida accesissima per oltre dieci anni.
Il problema nacque, tanto per cambiare, dalla testardaggine di Nintendo, e dalla tendenza tipica dell’allora presidente Hiroshi Yamauchi di perseguire la propria visione, a ogni costo. SquareSoft aveva infatti bisogno di un hardware in grado di contenere una grande mole di filmati, gli oggi mitologici FMV che avrebbero fatto la fortuna della serie negli anni PlayStation.
Quando la Nintendo deve fare i conti con i suoi limiti
E il seppur formidabile Nintendo 64 aveva tanti pregi, ma non quello della memoria. Un videogioco come quello che voleva produrre SquareSoft avrebbe richiesto un supporto ben più ampio delle cartucce. La soluzione, poi, di adottarne di multiple sarebbe stata semplicemente impossibile da sostenere dal punto di vista economico.
Il primo embrione di Final Fantasy VI fu realizzato in partnership con Silicon Graphics. Si trattava di una tech demo, a tutt’oggi disponibile su Internet. Fu presentata per la prima volta al SIGGRAPH di Los Angeles, dove una versione 3D dei personaggi di FFVI combatteva contro un Golem.
Data la partnership tra Silicon Graphics e il Nintendo 64, la conseguenza naturale sarebbe stata portare quella tecnologia sul “Nintendone”, e sviluppare il settimo capitolo sulla nuova piattaforma della casa di Kyoto. L’idea trovò anche la sua concretizzazione in una primissima demo del gioco, realizzata appunto per N64. Inizialmente, SquareSoft pensò di usare come supporto il 64DD, che avrebbe permesso una maggiore capienza delle cartucce. Sfortunatamente, la prematura morte di questa periferica, mai veramente decollata, ebbe anche un effetto deleterio sul rapporto tra Nintendo e Square.
La Demo Scomparsa
In molti credono che la tech demo del SIGGRAPH fosse per N64, sbagliandosi. Oltre a questo, in realtà era più che altro un esperimento di ricerca da parte della compagnia, realizzato in collaborazione con Silicon Graphics. Il prototipo utilizzava una particolare interfaccia guidata dai gesti, dove i giocatori potevano disegnare dei simboli che poi avrebbero attivato un preciso comando all’interno del gioco. I tutto almeno una decina d’anni prima che questo concetto sarebbe stato introdotto con il DS di Nintendo.
Il prototipo rimane a tutt’oggi una simpatica curiosità, e non qualcosa che Square aveva intenzione di commercializzare. E a buon ragione, perché in effetti il pubblico del SIGGRAPH rimase piuttosto disorientato di fronte alla complessa interfaccia.
Michael Jones di Silicon Graphics si prese la briga di mostrare la tecnologia nella sede centrale della compagnia, a Mountain View, in California. Jones, successivamente, avrebbe fondato Keyhole, l’azienda dietro alla creazione di Google Earth.
La storia della frattura fra Nintendo e SquareSoft cambia a seconda della persona che la racconta. E la tipica diplomazia del popolo giapponese non aiuta certo a fare chiarezza.
Il gioco attraversò ovviamente una fase di pre-produzione piuttosto lunga, anche se Hironobu Sakaguchi aveva le idee abbastanza chiare su come sarebbe dovuta essere la storia. Tuttavia, nella prima bozza della sceneggiatura il gioco era ambientato a New York, e aveva per protagonista un detective di nome Joe, e un’organizzazione che tentava di distruggere i reattori Mako (quelli che poi sarebbero diventati la AVALANCHE nel gioco).
Già da questi semplici elementi, è facile immaginare l’atmosfera di rivoluzione che aleggiava in SquareSoft, che con il settimo capitolo aveva deciso di intraprendere una strada completamente diversa rispetto al passato.
Uno dei membri dell’organizzazione immaginata da Sakaguchi sarebbe diventato, nella forma definitiva del gioco, Cloud Strife. Del prototipo non rimane moltissimo, a eccezione di alcuni documenti scritti da Sakaguchi-san. Questi, tuttavia, furono redatti nel momento in cui il team era concentrato su Chrono Trigger, motivo per cui lo sviluppo iniziò soltanto dopo.
Le origini di Final Fantasy VII
Il creatore della serie, Hironobu Sakaguchi, è sorprendentemente pacato quando si tratta di raccontare questa storia. A sua detta, Yamauchi nel meeting decisivo gli offrì persino una birra e un costoso bento, salutando lui e il suo team con un’amichevole pacca sulla schiena.
La versione di Hiroshi Kawai, character programmatore di Square, è un po’ diversa. A sua detta, Nintendo li liquidò con un freddo: “Se ve ne andate, non tornerete mai più”. Rimarrà leggendaria la frase di Yamauchi, che definì le persone che giocano ai GdR: “gamer depressi a cui piace sedersi da soli nelle loro stanzette buie e giocare giochi lenti”. Conoscendo la personalità iraconda di Yamauchi non è difficile credere che la separazione tra Square e Nintendo avvenne in maniera non del tutto pacifica. (un fatto curioso: la stessa frase viene anche attribuita al presidente di Nintendo of America George Harrison).
La genesi di un capolavoro
Dopo l’uscita di Final Fantasy VI, da molti considerato uno dei GdR più belli della storia, Square Enix si ritrovò con la necessità di dare vita a un nuovo episodio della serie. La strada più facile sarebbe stata quella di tentare un titolo con la stessa grafica del sesto episodio. Altrimenti, si sarebbe potuto tentare un motore grafico più avanzato. Alla fine, Square preferì piuttosto puntare all’innovazione totale, affrontando una sfida tecnologica senza precedenti.
I lavori per Final Fantasy iniziarono nei primi mesi del 1996. Trattandosi di un gioco monumentale, anche il budget era faraonico. Si parla infatti di 45 milioni di dollari, una cifra che non era mai stata spesa prima d’allora per un gioco di ruolo. E difatti Final Fantasy VII è una produzione sontuosa, che ebbe il merito di introdurre i poligoni all’interno della serie (seppur facendo ancora uso di sfondi pre-enderizzati per quanto riguarda le ambientazioni).
Buona parte del budget andò nella creazione degli FMV, che donavano al gioco una dimensione cinematografica come prima d’allora nessun gioco era riuscito a offrire.
A livello artistico, Final Fantasy VII rappresenta senza dubbio il picco della produzione di Tetsuya Nomura, character artist di Square e responsabile di aver dato i natali ad alcuni dei personaggi più memorabili della saga.
La scelta ricadde su Nomura per una questione puramente tecnica. I complessi disegni di Yoshitaka Amano, storico artista e designer della saga, non potevano essere riprodotti in un modello 3D. Erano, invece, facilmente sintetizzabili negli sprite dei precedenti episodi.
Il passaggio al 3D non fu quindi indolore. A livello visivo Final Fantasy VII non è invecchiato benissimo, non fosse altro per scelte stilistiche bizzarre. Basti pensare alla differenza tra i personaggi nella mappa di gioco, super-deformed, e alla loro controparte in battaglia che invece presentava proporzioni realistiche. Sakaguchi spiega che la decisione fu puramente estetica, in quanto un personaggio super-deformed con uno spadone avrebbe dato l’impressione di colpirsi da solo. Ma il potpourri di stili grafici del gioco è, probabilmente, anche il motivo per cui ancora oggi è così riconoscibile.
Il ciclo di sviluppo di Final Fantasy fu decisamente problematico, principalmente per quanto riguarda le tempistiche, molto più ridotte rispetto ai precedenti episodi. Il che rende il gioco una vera e propria impresa realizzata da un manipolo di eroi. Non solo: inizialmente furono previsti due dischi, ma la quantità di contenuti alzò questo numero a tre.
La velocità della produzione fece sì che alcune decisioni fondamentali vennero prese in maniera abbastanza repentina, verso la fine del ciclo di sviluppo. Su tutte, l’introduzione del personaggio di Tifa e, sorprendentemente, di Sephiroth. A Nobuo Uematsu è attribuita una famosa frase sulla serie:
“C’è una cosa in comune a tutti i Final Fantasy. È che sono tutti incompleti”.
E il VII non faceva eccezione, tanto che l’edizione occidentale vide l’introduzione di elementi aggiuntivi rispetto a quella giapponese. Alcune scelte di design iniziale vennero inoltre scartate, come la possibilità di aggiungere dei finali alternativi legati ai personaggi di Yuffie e Vincent, che tuttavia avrebbero comportato una mole di lavoro mostruosamente maggiore.
Ma se si parla di Final Fantasy VII anche a distanza di 20 anni è perché fu il risultato di un momento particolarmente creativo per Square
… compagnia che era nata infinitamente piccola, all’interno dell’ufficio del padre di uno dei suoi fondatori. I giochi di ruolo nascono come un genere squisitamente underground. Anche se oggi Square Enix è una multinazionale con uffici in tutto il mondo, all’epoca di Final Fantasy VII la mentalità era molto diversa. Fondamentalmente, il settimo capitolo nasce quando SquareSoft era ancora formata da sognatori visionari e un po’ folli, ma che grazie al successo dei loro precedenti giochi avevano a disposizione un capitale paragonabile a quello di altri colossi come Electronic Arts.
Final Fantasy VII è a tutt’oggi incerto. Weekly Famitsu riporta che gli sviluppatori fossero 200, ma i credits riportano 350 nomi (di cui molti negli uffici di outsourcing).
Si verificò, dunque, una sintesi totale tra estro, genialità e fondi economici. Si può dire che il sogno di ogni sviluppatore sarebbe lavorare in un ufficio come era SquareSoft nel 1996. Un’alchimia che in realtà non si verificò mai più all’interno degli uffici della compagnia.
Square puntò sul talento di tutti i suoi uomini migliori. Su tutti Nobuo Uematsu, che ricorda come lui e i suoi colleghi non vedevano il gioco come un lavoro, ma lo trattavano piuttosto alla stregua di un hobby, nell’accezione migliore del termine.
E certo è difficile immaginare come sarebbe stato Final Fantasy VII senza le melodie di Uematsu-san. Egli è stato capace di spaziare da armonie melodrammatiche come il tema di Aerith a un capolavoro marziale come One Winged Angel, il tema del combattimento finale contro Sephiroth, il cui testo è interamente scritto in latino.
Colpi di genio come questo, e una libertà creativa pressoché sconfinata, permisero a Square di realizzare un gioco assolutamente fuori dagli schemi.
Ma uno dei motivi principali del successo di Final Fantasy VII è la sua capacità di parlare a un pubblico internazionale, e questo non è casuale. Gli sviluppatori infatti si ispirarono a giochi come Alone in the Dark ed Heart of Darkness, sfruttando la capacità di questi titoli di combinare gli elementi poligonali con l’uso della telecamera fissa. Il che permetteva di trovare soluzioni dall’alto dinamismo registico.
Fantasia Ciberpunk
Probabilmente, la frattura tra Square e Nintendo, contribuì a un gioco che sterzava nettamente rispetto alle atmosfere tipiche della saga. Fino ad allora, infatti, Final Fantasy aveva sempre avuto un’impostazione medievaleggiante, tutt’al più steampunk come nel sesto episodio.
A livello stilistico, invece, Final Fantasy VII cambia completamente rotta, essendo ambientato in una distopia cyberpunk. Vi convivono elementi fantasy come la magia e i mostri, ma allo stesso tempo il mondo è attanagliato da forti problematiche sociali. A livello visivo, abbiamo città opprimenti, sporche e decadute, che strizzano l’occhio a Blade Runner.
Gli sviluppatori si ispirarono al loro stesso Paese natale, il Giappone, riproducendo all’interno del gioco i grattacieli di Tokyo, e ispirandosi a quartieri realmente esistenti della città, come la scintillante Ginza, e l’affollatissima Shibuya.
Persino le magie hanno un ruolo profondamente diverso in Final Fantasy. Non ci sono più i maghi, infatti, e ogni personaggio è in grado di usare degli incantesimi equipaggiando degli speciali oggetti chiamati Materia, che conferiscono loro straordinari poteri.
Non a caso, come nel miglior canone cyberpunk, il cattivo del gioco è una corporation, la Shinra. Il gioco affronta tematiche direttamente connesse al mondo reale, raccontando la storia di un Pianeta sofferente, a causa della brama di potere dei malvagi uomini della Shinra.
Final Fantasy VII interpreta bene le inquietudini di quegli anni. Anni in cui la tecnologia si stava affacciando sul mondo in maniera dirompente, la Rete entrava nelle nostre vite e l’uomo cominciava a perdere progressivamente la sua umanità, come raccontato in maniera memorabile dai Radiohead nel loro seminale album OK Computer, non a caso coevo di Final Fantasy VII. E non è per niente una coincidenza che il gioco si apra con la memorabile sequenza di un vero e proprio attentato di eco-terroristi.
Il settimo capitolo costituisce una vera e propria svolta a livello narrativo, esasperando e concentrandosi su un discorso che era già stato iniziato nei precedenti episodi, ossia quello dell’approfondimento emotivo dei personaggi.
Come ricorda il Director Yoshinori Kitase, il sesto episodio era sostanzialmente una storia di dieci personaggi, ciascuno dei quali poteva essere definito con l’appellativo di “protagonista”.
L’universo di Final Fantasy VII è altrettanto pittoresco e affascinante, ma il vero viaggio che affronta il giocatore è quello nella mente di Cloud Strife, il taciturno protagonista del settimo episodio.
SquareSoft riuscì a tessere un intricato mosaico narrativo, una lunghissima storia raccontata attraverso 3 CD, che con il filtro del “fantastico” esponeva in realtà una vicenda profondamente umana. Cloud Strife, il protagonista, non è infatti un prescelto. E del resto la narrativa giapponese è molto diversa da quella occidentale, soprattutto perché rifiuta la concezione “cristologica” di eroe.
Al contrario, Cloud vive di riflesso prima di Sephiroth, il leggendario guerriero dei SOLDIER passato al lato oscuro. Poi di Zack, un suo compagno d’armi molto più forte di lui del quale, dopo la violenta dipartita, assume inconsapevolmente l’identità in seguito a un trauma psicologico.
Cloud fu per i videogiochi quello che Shinji Ikari di Neon Genesis Evangelion è stato per l’animazione giapponese, ossia un protagonista eroico suo malgrado, fragile e, diciamolo, pieno di complessi. È così che Square Enix cercava di parlare al pubblico degli otaku. Dando loro un protagonista assolutamente imperfetto, in cui potessero immedesimarsi.
Uno, nessuno, centomila, Cloud
La storia di Final Fantasy VII è fondamentalmente il percorso umano di un ragazzo che impara ad accettare se stesso, e ad aprirsi agli altri. Come nella migliore tradizione hollywoodiana, assistiamo a un graduale cambiamento di Cloud. Lui non cresce soltanto come combattente, ma soprattutto come uomo, in quello che può essere definito a tutti gli effetti un romanzo di formazione interattivo.
Naturalmente tornano tutte le tematiche tanto care a Final Fantasy, soprattutto l’amore, oggi come allora argomento che gli sviluppatori sono ancora restii a inserire all’interno delle loro opere.
Cloud è infatti diviso tra due donne:
Aerith, ultima discendente dell’antica stirpe dei Cetra, e Tifa, che è invece la sua amica d’infanzia.
Il potenziale di questo triangolo amoroso rimane tuttavia inespresso nella serie, dal momento che Cloud non si dichiara mai a Tifa, né nei giochi principali né negli spin-off. Aerith invece, e non accusateci di spoiler, muore alla fine del primo CD uccisa da Sephiroth, in quello che è uno dei momenti più iconici della storia del videogioco.
In questo modo, i designer di Square giocarono con le aspettative del giocatore, sovvertendole. Mai prima d’allora in un GdR un personaggio così importante veniva tolto di mezzo così improvvisamente, il che fu per i giocatori dell’epoca davvero sconvolgente.
La sequenza è particolarmente potente perché non annunciata. Chi si aspetterebbe mai la morte di un personaggio che potremmo aver usato regolarmente nel party, magari anche dopo averlo potenziato e livellato adeguatamente?
In questo modo, la perdita di Aerith risuonava non soltanto a livello emotivo, ma anche a livello meccanico. L’iconica scena della morte di Aerith nasce dalla volontà degli sviluppatori di ribaltare il cliché dell’eroe che si sacrifica, proponendo piuttosto una riflessione sulla caducità della vita, comunicando con un videogioco il senso di vuoto che si prova quando si perde improvvisamente una persona cara.
Fu una precisa direzione creativa quella di rendere Aerith un personaggio fortemente amabile, in modo che la sua scomparsa avrebbe avuto un impatto ancora più dirompente nella mente del giocatore.
La memorabile scena della morte di Aerith fu scritta da Kazushige Nojima, che al suo primo lavoro in SquareSoft riuscì già a creare uno dei momenti più influenti mai visti in un videogioco. Nojima avrebbe inseguito lavorato come sceneggiatore in altri episodi di Final Fantasy, negli spin-off di Final Fantasy e nella serie crossover Kingdom Hearts.
Il tema della perdita è cruciale in Final Fantasy VII: molti dei personaggi sono costretti a dire addio a qualcosa per loro caro. Si pensi al personaggio opzionale Vincent Valentine, la cui donna Lucrecia è stata ingravidata artificialmente per dare vita al super-soldato Sephiroth.
I personaggi malinconici dal tragico passato, del resto, sarebbero diventati un’inevitabile cifra stilistica per Final Fantasy, plasmando a loro immagine l’intero entertainment giapponese, finanche a influenzare l’estetica degli anime e dei videogiochi prodotti negli anni successivi.
Non abbiamo fatto a caso l’esempio di Neon Genesis Evangelion, dal momento che, come il capolavoro di Hideaki Anno decostruisce gli anime, anche Final Fantasy VII destruttura i canoni del gioco di ruolo, pur aderendo alle sue regole. Abbiamo quindi un’avventura molto incentrata sull’azione, dove i combattimenti con i boss rappresentano un punto focale dell’esperienza.
Allo stesso tempo, è l’approfondimento psicologico il vero protagonista della storia. E una delle sequenze più memorabili è senza dubbio quella in cui Cloud e Tifa finiscono nel Lifestream, il flusso d’energia vitale che alimenta il Pianeta dov’è ambientato il gioco.
Qui, Tifa vive una sequenza onirica dove rivive il passato di Cloud e scopre la verità, in una scena che non stonerebbe nel finale televisivo di Evangelion.
Ma naturalmente un eroe come Cloud aveva bisogno di un antagonista, e Sephiroth sarebbe diventato l’incarnazione stessa del male per tantissimi videogiocatori in tutto il mondo.
La cosa interessante di Sephiroth, è il suo essere un cattivo con delle motivazioni forti e in parte anche condivisibili, che si sovrappongono con quelle dei protagonisti.
Sia Sephiroth, che Cloud e compagnia, vogliono infatti salvare il Pianeta, ma dove differiscono è nella loro visione: Sephiroth pensa infatti che, per salvarlo, sia necessario sacrificare l’umanità. La malvagità di Sephiroth non nasce dal nulla, ma è il frutto della consapevolezza di essere nato da un esperimento per mano della Shinra.
È interessante notare anche come, per molto tempo, l’iconico villain non si veda direttamente. Vive piuttosto di riflesso nelle parole degli altri personaggi, il che contribuisce ad aumentare l’aura di leggenda. Si tratta di una precisa direzione da parte dei creatori del gioco, i quali credevano che mostrare Sephiroth esplicitamente fin dall’inizio l’avrebbe messo sullo stesso piano dei protagonisti, riducendone lo status di carismatica minaccia.
La storia delle storie
Fondamentalmente, la vicenda di Final Fantasy VII è piuttosto semplice, ma tutto si regge sul fascino dei personaggi, e sulle relazioni che riescono a intrecciare.
Alla fine, Cloud e i suoi compagni non sono altro che una banda di amabili disadattati. A tutt’oggi, il cast è il più amato della serie, e anche uno dei più eterogenei. un qualcosa che sarebbe stato replicato solo nel nono capitolo (che in effetti rappresenta un ritorno alle origini).
Al fianco di Cloud troviamo infatti personaggi come Barret. Questi è un gigante afro-americano con una mitragliatrice al posto del braccio, e l’abitudine di imprecare a rotta di collo (le parolacce che pronuncia vengono comicamente censurate con dei simboli nella versione inglese).
Il cast è particolare anche perché non contiene soltanto personaggi umani. Al suo interno troviamo infatti anche una sorta di leone, Red XIII, appartenente a un’antica e fiera tribù. E persino… un gatto che si muove a cavallo di un panciuto Moguri (che in realtà, si scopre essere un robot guidato da un dissidente della Shinra, Reeve). Proprio la tribù di Red XIII è protagonista del finale del gioco, del tutto atipico rispetto a ogni altro videogioco, e molto coerente con le tematiche della sceneggiatura.
L’epilogo di FFVII, infatti, sceglie di non mostrare soltanto i protagonisti. Mostra anche in uno special ending il mondo che hanno contribuito a salvare, dove i discendenti di Red XIII corrono liberamente.
La scena, tuttavia, mostra un Pianeta dove non sembra esserci traccia dei protagonisti, né tanto meno del resto dell’umanità.
Le ultime vestigia di civiltà sono coperte dalla vegetazione. Può sembrare un finale deprimente, ma in realtà è un’immagine potente e ricca di speranza. Nonostante le azioni dei malvagi che hanno tentato di prosciugare il Pianeta, questo continua a vivere. I problemi, reali e psicologici, le fragilità dell’uomo… sono solo un lontano ricordo. Le donne e gli uomini che hanno contribuito alla salvezza del mondo, forse, ora vivono nel Lifestream.