Se i non morti di Romero esistono come un ghigno beffardo all’ipnosi collettiva dettata dal consumismo, rappresentando in ultima istanza una vera e propria lotta di classe, quale migliore simbolo di una città disarmata e inerme di una stazione di polizia occupata da zombie? Meglio ancora se la stessa era prima un museo.
All’interno, corpi vaganti rosicchiano pezzi sanguinolenti del lungo braccio della legge e distruggono decadi di storia: l’ordine e la cultura sono consumati, cancellati e riscritti.
Una Polis, in greco città nonchè radice della moderna parola polizia, trasformata in necropoli.
“La gente, che per li sepolcri giace, potrebbesi veder? Già son levati tutti i coperchi, e nessun guardia face” scrive Dante nella sua Commedia. La rappresentazione che Dante fa dei morti viventi, secondo quanto suggerisce il filosofo Eugene Thacker, è esplicitamente politicizzata.
I morti sono eretici, con una propria organizzazione e sottoposti alle torture del potere regnante. Insieme cittadini e minaccia dell’infernale Dite.
Questo uso metaforico degli zombie che incarnano il potere politico o la cittadinanza vengono da Thacker attribuiti a Dante, ma possono essere estesi anche a Romero, Lucio Fulci e più in generale al concetto di zombie nella cultura pop.
Naturalmente Thacker non menziona Resident Evil 2, ma sono abbastanza sicuro che troverebbe molto interessante il dipartimento di polizia di Raccoon City.
La miglior cura per un brutto caso di infezione zombie, è risaputo, consiste nella decapitazione o in un bel proiettile dritto nel cervello. Nel corpo politico, così come nel corpo vero e proprio, la testa simboleggia la ragione e l’ordine, le regole. La stessa ragione che il processo di zombificazione corrompe.
Con la morte autopromossasi al comando del R.P.D. l’ultima linea difensiva di una piccola cittadina, lo scudo sul distintivo, non solo è annullata ma anche assoggettata. Infettata da radici necrotiche e usata per martellare la città, portandola ad una terrificante sottomissione.
Ma, per utilizzare una domanda che immagino abbastanza familiare per i residenti di Raccoon City: perchè devono essere per forza zombie?
Queste aberrazioni claudicanti dell’umanità hanno origine dalle pratiche più inumane della storia. Il mito degli zombie, secondo l’antropologa Amy Wilentz, è “un nuovo fenomeno mondiale originato dalle antiche credenze religiose africane e dalla paura della schiavitù, specie nella schiavitù del regime francese che governava ad Haiti (prima della sua indipendenza) notoriamente poco incline alla pietà e a sangue freddo“.
Ad uno schiavo che si toglie la vita, secondo la leggenda, è vietato l’ingresso in paradiso e sarà invece condannato ad un’eternità di non morte. La Wilentz sottolinea anche come queste credenze potrebbero essere state perpetuate dagli stessi schiavisti che usavano “la paura della zombificazione per mantenere l’ordine tra gli schiavi recalcitranti”.
Questo ultimo aspetto è particolarmente spaventoso: gli schiavi delle piantagioni erano derubati non solo dei propri corpi, ma anche della libertà di togliersi la vita come definitivo atto di ribellione.
Il cadavere ambulante della moderna cultura pop non è quindi soltanto la corruzione della carne, ma anche del suo stesso folklore; il cadavere di un cadavere dissotterrato, ripulito della propria storia e inviato a tormentare i viventi.
Esiste quindi una amara ironia che differenzia gli zombie haitiani e le loro controparti americane. Gli zombie, una volta simbolo degli orrori reali della disumanizzazione, riadattati per potere fantasticare su esseri umani le cui decisioni vengono esaltate. L’apocalisse, del resto, stimola tremendamente l’ego di coloro i quali sono abbastanza fortunati da sopravvivere, fino a farne un elemento molto importante nello schema delle cose.
La popolarità degli zombie in epoca moderna potrebbe essere dovuta quindi ad un desiderio inconscio di ristabilire la padronanza del nostro ambiente; dalla volontà di resettare una postmodernità troppo burocratica e disfunzionale e al tempo stesso flettere i nostri muscoli da cacciatori per cercare provviste in scatola nei luoghi dove una volta li stipavamo per il minimo salariale.
Questo ragionamento si può applicare a qualsiasi riflessione sul post-apocalisse. Quello che è interessante con gli zombie è la minaccia specifica che costituiscono, ovvero il ritorno ad un rapporto animalesco con il nostro ambiente. O perlomeno uno in cui ci mettiamo al primo posto della catena alimentare.
“Gli zombie sono inquietanti perchè una volta erano umani ma sono passati attraverso una terribile rinascita, diventando organismi con una sola funzione: sopravvivere per la sopravvivenza”
Una maggiore lettura de La cospirazione contro la razza umana di Thomas Ligotti, la sardonica tiritera del maestro dell’horror contro la vita stessa, rivela come il sopravvivere per la sopravvivenza stessa è una futilità che lo scrittore attribuisce all’umanità intera.
Ligotti suggerisce che la repulsione che proviamo per gli zombi deriva dal dissiparsi delle illusioni su noi stessi cui ci costringe il confrontarci con la loro consuzione e generazione, del tutto acefala e istintuale. Vale a dire, la cessazione della finzione che la nostra stessa sopravvivenza comporti qualcosa di intrinsecamente nobile e significativo.
Non sono così pessimista come Ligotti ma ritengo che il suo concetto conferisca un significato secondario al termine Survival Horror. Ovvero, l’innato orrore generato dall’istinto di sopravvivenza, quello che Schopenauer chiamava volontà di vivere.
Come ci dimostrano scarafaggi non morti, funghi killer e felini con abilità psichiche, la natura è capace di imprese da incubo a sostegno della sostentazione e della riproduzione. Se l’unica cosa che ci separa dagli zombie è circoscritta alla nostra natura, cosa ci dice la natura stessa?
Se gli zombie invece di saltare al collo degli umani li rinchiudessero nei recinti, ingrassandoli con cibi chimici obbligandoli a produrre latte ed infine li macellassero per la carne, li considereremmo meno spaventosi? Se una specie domina sulle altre, è la natura. Qualcosa arriva per rimpiazzarci, e diventa horror.
In questo senso lo zombie diventa qualcosa di molto simile ad un predatore al vertice della catena alimentare; ciò che diventa importante per il loro essere inquietanti è la totale mancanza della vitalità che normalmente associamo a questo tipo di creature. Niente canini affilati ma denti marci, non muscoli tirati ma carne marcescente. Il loro è un orrore nato dalla contraddizione, il classico “ciò che non dovrebbe esistere”. Un sistema binario, come Thacker li descrive: non solo tra la vita e la morte, ma anche l’essere “uno e i molti, il singolare e il plurale”.
In tal senso è un incubo tutto americano, capitalista; un’orda colletiva che tutto consuma e trasforma le proprie vittime in un turbine rosso, rimanendo al tempo stesso completamente immune alle pubblicità, al body shaming, alle ansie sociali e tutto quello su cui si può contare per rendere tranquilla una massa imprevedibile.
Gli zombie sono un’altra cosa rispetto ai vampiri (altrettanto capaci di creare altri come loro) o ai vendicativi fantasmi, non solo per il loro numero decisamente maggiore ma anche per la loro abilità nell’utilizzare i simboli del nostro progresso contro di noi. Un solo zombie in un campo di grano non costituisce una grande minaccia; in una città affollata invece diventa il caos incarnato.
Ed è qui che torniamo a Resident Evil. A Raccoon City, la necropoli. Le macerie dell’urbanizzazione, abitazioni, zone commerciali, basi militari sono per dirla con Thacker “permeabili alla logica miasmatica dei morti viventi“. Gli zombie ridisegnano lo spazio urbano normalmente isolazionista, in cui ogni ragno o topo è un’aberrazione ed in cui il verde e la terra esistono solo su carta, in un ambiente ostile. Un ambiente selvaggio scavato nella pelle di ciò che era una volta familiare.
Peggio ancora sono gli abitanti di questo ambiente. C’è un passaggio toccante nella demo di Resident Evil 2, in cui Marvin Branagh avverte Leon nel non compiere il suo stesso errore. Se Leon vede uno zombie, che sia in uniforme o meno, non deve esitare prima di premere il grilletto.
Questa frase ci dice tutto quello che ci serve sapere sulla lealtà di Branagh verso la sua professione e i suoi colleghi. Ci fa inoltre comprendere i terribili effetti del mimetismo degli zombie; una sorta di toxoplasmosi necrotica in grado di capitalizzare come armi i legami affettivi.
Questo teatrino rende necessaria una terribile consapevolezza: se “salviamo” Raccoon City piantando un proiettile nella testa di ogni singolo zombi in cui ci imbattiamo, cosa stiamo salvando alla fin fine? Di certo non i suoi abitanti, ormai vittime dell’epidemia. Non le loro memori, i loro usi o la loro storia. Nemmeno la loro burocrazia o i loro affari.
Soltanto gli involucri degli edifici e le strutture decentralizzate, tutto quello che preso insieme prende il nome di città. Potremo spopolare la necropoli dai suoi morti, così come possiamo fare saltare le cervella dei vaganti. Potremo anche reincollarne i teschi se eravamo particolarmente legati al proprietario. Ma è tutto qui, null’altro.
Nel loro cooptare le nostre popolazioni, i nostri cari, la natura, le città e le nostre paure più profonde, sembra che gli apparentemente decerebrati conoscano istintivamente qualcosa che noi raramente realizziamo, almeno senza subire prima qualche perdita ed è la stessa perla di saggezza che voglio lasciarti mentre attendiamo tutti con ansia Resident Evil 2
Mira sempre alla testa!