Negli ultimi anni il genere boomer shooter si è affermato sempre di più, proponendo al pubblico grandi titoli come Cultic, Warhammer 40k: Boltgun, Turbo Overkill e molti altri. Per i figli degli anni ’80 (e ’90), tornare a sparare in questi videogiochi dall’aria retro é un po’ come tornare a casa, una culla rassicurante fatta di pistole, mostri e trame degne di film di serie b. Phantom Fury, sviluppato da Slipgate Ironworks, vuole partecipare alla festa della nostalgia insieme agli altri titoli, ma purtroppo si presenta con della birra analcolica e tutti lo guardano un po’ male.
Phantom Fury: Shelly “Bombshell” Harrison é tornata
Dopo alcuni anni dagli eventi di Ion Fury, Shelly Harrison é costretta a tornare sul campo per sconfiggere, ancora una volta, Jadus Heskel e quella parodia di esercito che è la GDF. L’arrabbiatissima si sveglierà dal coma e non potrà neanche riprendere fiato che si ritroverà in mezzo all’azione: “il solito”, penserà Shelly, se non fosse per la protesi bionica dall’alto potere distruttivo che le é stata impiantata al posto del braccio destro.
Guidati dal Colonnello, ci imbarcheremo in un’adrenalinica avventura per difendere il Demon Core, un potente artefatto che non dovrà finire tra le mani sbagliate. Ma gli Stati Uniti sono cambiati dall’ultima volta, adesso l’intera classe politica é stata sostituita dalle forze della GDF che hanno allungato la loro ombra su tutto il continente. In Phantom Fury Shelly “Bombshell” Harrison dovrà fare i conti con una nuova realtà, conscia del fatto che i sacrifici compiuti in passato non siano serviti per sistemare le cose una volta per tutte, anzi, tutto sembra essere andato in malora e toccherà nuovamente a noi provare a sistemare tutto.
Sparare é bello, il problema é il resto…
Phantom Fury non cerca di essere semplicemente il seguito di Ion Fury, ma piuttosto una sua completa evoluzione, abbandonando la fedele riproposizione del gameplay alla Duke Nukem del prequel e abbracciando un stile che si rifà in maggior modo a Half Life: fisica degli oggetti, enigmi e una resa grafica ispirata al Source Engine. Di conseguenza ogni livello verrà diviso in fasi esplorative e in fasi di combattimento; mentre le seconde mostrano tutto ciò che c’è di bello in Phantom Fury, le prime, al contrario, evidenziano tutti i problemi che il gioco possiede.
Mi dispiace, là non puoi andare
Molte volte capiterà di dover sollevare scatole di legno e posizionarle per superare ostacoli o recinzioni, un espediente che potrebbe aprire varie possibilità in termini di game design, ma che sarà castrato talmente tanto da risultare un vero e proprio problema. La maggior parte delle volte, quando vedremo un percorso alternativo a quello principale, ci troveremo davanti una parete invisibile che non ci permetterà di superare l’ostacolo o addirittura ci impedirà di salire su piattaforme palesemente raggiungibili con un semplice salto. In questo modo l’esplorazione viene appiattita quasi del tutto, escludendo a priori una verticalità che forse avrebbe giovato al titolo e che avrebbe evitato perdite di tempo inutili al giocatore.
Per non parlare dei numerosi bug che affliggono Phantom Fury che mi hanno costretto a riavviare la partita dal checkpoint svariate volte, ovviamente dopo aver perso minuti a capire se stavo sbagliando qualcosa oppure no. Un bug in particolare (una porta che non si apriva) mi ha costretto a rincominciare il gioco da capo, ma fortunatamente avevo solo poche ore di gameplay e tutto si é risolto per il meglio.
Uno sparatutto nudo e crudo
Se c’è una cosa che Phantom Fury fa bene è essere uno sparatutto, inteso nel senso più stretto del termine. Quasi ogni arma ha un buon feeling e l’intero arsenale sarà potenziabile, introducendo modalità di fuoco secondarie che variano il gunplay rendendolo più dinamico. Far saltare le teste nemiche in nuvole di sangue è soddisfacente, il problema, di nuovo, è il come ci arriviamo. Togliamoci il dente più fastidioso: in Phantom Fury l’intelligenza dei nemici è particolare, per non dire altro. I soldati avversari si muoveranno come in preda a scariche di metanfetamina, correndo come dei pazzi in ogni parte della mappa.
Questi continui spostamenti, che molte volte si traducono in cariche frontali, producono due effetti: se da un lato questo dinamismo renderà il combattimento assai più difficile, dall’altro potremo sfruttarlo per “cheesare” a più non posso i poveri soldati del GDF. Molte volte, infatti, basterà aspettare dietro una porta e, uno ad uno, gli avversari arriveranno per farsi sparare in testa.
Un’ altra nota negativa va al bilanciamento delle armi, non inteso come damage output, ma piuttosto come management di risorse. Phantom Fury fornisce al giocatore troppe munizioni, al punto che avremo il caricatore di ogni arma sempre pieno, andando così a disincentivare l’alternanza tra i pezzi del nostro arsenale, che, verso fine gioco, sarà bello corposo. Non solo il gioco non invoglia il giocatore a provare più armi possibili ma fa sì che il melee sia completamente inutile, a partire dal braccio bionico di Shelly, che risulta poco efficace a causa di una mancata spinta in avanti nell’animazione.
Grafica e sonoro
Come accennato, Phantom Fury si rifà agli shooter dei primi anni 2000, in particolare alla saga di Half Life. Gameplay a parte, ciò può essere visto principalmente nell’impostazione grafica, ispirata totalmente ai prodotti che fecero del Source Engine uno dei motori grafici più versatili dell’intero medium. A partire dai modelli facciali, fino ad arrivare alle texture fredde e grigie degli spazi interni, il lavoro svolto è veramente gradevole, sintomo di una approfondita conoscenza dei canoni estetici di quegli FPS che furono da parte di Slipgate Ironworks.
Riguardo al sonoro, invece, andrebbe tutto bene se non fosse per una cosa, che rovina tutto il grande lavoro alla base: il mixaggio. Quando dico “grande lavoro alla base” è perché effettivamente c’è stato, soprattutto in termini di OST, il problema è che per ascoltarla sono dovuto andare a cercare le tracce singolarmente su YouTube. Anche avendo smanettato con i settaggi audio del gioco, la colonna musicale di Phantom Fury risulta sempre piatta e sottotono, rendendo ogni scena quasi del tutto anonima.
Riguardo al doppiaggio, le performance attoriali non brillano particolarmente, ma ciò non è da considerarsi un fattore negativo: diciamocelo, gli FPS ispirati agli anni 2000 devono avere doppiaggi orrendi, sennò perderebbero credibilità. “Sii sveeegli, Miisteer…Freeemannnn..? Si svegli” cit.