Sviluppato da Slipgate Ironworks e pubblicato da 3D Realms, Phantom Fury è uno sparatutto in prima persona in bilico tra nostalgia e modernità, nonché sequel diretto di Ion Fury e facente parte del mondo del capitolo originario della saga denominato Bombshell. Noi abbiamo rivestito i panni della protagonista Shelly Harrison su PlayStation 5 e questa è la nostra recensione.
Phantom Fury: “mi dispiace per il risveglio brusco ma devi scappare”
Dopo aver recensito la versione per Steam, siamo tornati su Phantom Fury carichi di aspettative confidando nella risoluzione delle innumerevoli criticità riscontrate in passato. Ma prima di affrontare il gameplay, è bene partire dalla storia, tanto dell’IP quanto del titolo stesso. Phantom Fury è il sequel diretto di Ion Fury nato a sua volta da Bombshell la cui protagonista doveva esser parte integrante del gioco Duke Nukem Forever.
Ed eccoci quindi tornare a vestire i panni di Shelly “Bombshell” Harrison che si ritrova nell’incipit di Phantom Fury in coma. Un coma dal quale viene destata bruscamente dal Colonnello, un amico che ci farà da guida in pieno stile Metal Gear (con tanto di radio e anteprima in alto allo schermo). Il brusco risveglio non è l’unica cosa con cui fare i conti: Bombshell ha infatti una cosa nuova, un braccio. Un braccio meccanico.
In effetti, tale braccio è la prima delle novità dell’IP. Anche disarmato, infatti, possiamo sferrare dei ganci poderosi che possono sfrantumare casse e sfracellare nemici (con tanto di budella e teste volanti). Ma non solo, il braccio è integrabile con altri arnesi tra cui un manganello elettrificato che saprà essere utile anche e soprattutto per alcuni enigmi ambientali.
Lo scopo di Shelly, oltre a prendere pieno possesso del suo nuovo corpo, è quello di sopravvivere a un assalto potenzialmente letale. La rocambolesca fuga dal laboratorio in cui era tenuta è solo il principio di un viaggio on the road per le strade di un mondo che la stessa protagonista fatica a riconoscere. In mondo fatto di dune, mutanti fuori controllo, miniere piene di segreti, ub con tanto di miliziani che si dedicano a flipper e vecchi arcade e tanto, tanto altro.
Inutile dire che ben presto la fuga si tramuterà in ben altro obiettivo tra cui l’immancabile necessità di salvare il futuro dell’umanità (un classico). Quello che risalta giocando a Phantom Fury è però una sorta di desiderio di voler essere un duke Nukem al femminile. Desiderio che, lo diciamo subito, fallisce. Nonostante alcuni momenti sopra le righe, infatti, Shelly non è sboccata, volgare ed egocentrica come il buon Duca e, nonostante un mondo imploso e folle, quasi Borderland-esco, Phantom Fury non spicca granché.
Il mondo di gioco è una sorta di “vorrei ma non posso (o non voglio?)” viaggiando in bilico tra il prendersi troppo sul serio a momenti di puro trash o da B-movie caciarone. Una indecisione che viene trascinata a lungo e che danneggia l’identità di un titolo che poteva dare tanto di più anche nel versante narrativo che rimane invece una mera giustificazione per continuare il viaggio e falciare senza pietà alcuna qualsiasi cosa ci appare dinanzi.
Non solo sparatutto (purtroppo)
Phantom Fury è principalmente uno sparatutto vecchio stile in prima persona con oltre venti bocche da fuoco, tutte potenziabili e personalizzabili previa la raccolta e l’utilizzo di particolari oggetti nascosti in giro per il mondo di gioco. E lo diciamo subito: le armi funzionano tutte discretamente bene. Tra le bocche da fuoco più o meno famose, dalla pistola classica al fucile, si aggiungono alcune chicche che sapranno regalare grandi soddisfazioni tra cui le “bombe rotolanti”.
Trattasi di bombe con tanto di teschio dipinto sopra che rotolano autonomamente. Una funzione che, volendo, potrai anche rimuovere, sempre utilizzando il materiale sopra citato, per mutare gli effetti della stessa bomba (ad esempio, può diventare una bomba a grappolo). Insomma, le armi funzionano, il feedback è immediato e ammazzare orde di nemici, seppur non in modo innovativo, diverte e funziona.
Purtroppo, Phantom Fury non si concentra solo su questo. Nel suo goffo tentativo di spezzare una monotonia, comunque presente, il titolo cerca di inserire alcune fasi “alternative” di cui non spicca nessuna. Se la guida di alcuni mezzi regala momenti sciapi e poco credibili con effetti e animazioni di dubbio gusto e poco approfondite, sono le fasi stealth il vero tallone d’Achille della produzione.
Chiedere in un gioco sparatutto a orde di agire nell’ombra e di sgusciare dietro dubbi ripari ambientali, è già di per sé un piccolo controsenso ma purtroppo il gioco stesso non fa molto per adattarsi alle sue stesse regole. Le fasi stealth semplicemente non funzionano. Non solo perché i nemici ti vedono anche dietro ai ripari, che spesso ripari non sono, ma anche perché ti annoierai praticamente subito di sgusciare tra le ombre non ottenendo neanche chissà quale ricompensa.
E parlando di nemici, Phantom Fury dispone dei cecchini più infallibili e potenti mai visti in un videogioco. Parliamo di esseri nascosti in edifici in grado di intercettarti anche oltre le rocce e riuscendo a indirizzare il fucile con angolazioni semplicemente disumane. Come avrai potuto intuire, i bug non mancano e tra compenetrazioni ed elementi che si ricaricano in ritardo, il lavoro da svolgere sul titolo è ancora molto.
Da evidenziare, purtroppo, anche la scarsa IA dei nemici che spesso restano letteralmente imbambolati pronti a essere falcidiati. In effetti, i nemici possono essere un problema solo in gran numero ma noi non abbiamo riscontrato enormi problemi. Anzi, Phantom Fury è un titolo abbastanza semplice anche se presenta una discreta varietà di nemici che ancora una volta fatica a reggere il passo con altre produzioni (sia per sfida che per originalità).
Esplorazione ed enigmi
Phantom Fury può sembrare un semi-open world ma non lo è. I bei scorci e l’orizzonte spesso presente è solo un’illusione. Ogni livello è una serie di aree più o meno ad ampio respiro in cui, oltre a tanti nemici, sono nascosti piccoli enigmi ambientali che si ripetono grossomodo tra loro. Tra questi c’è l’immancabile localizzazione di sequenze numeriche nascoste da usare su (scomodissimi) tastierini per sbloccare porte e passaggi obbligatori.
Non manca anche la classica “caccia all’oggetto”, prevalentemente una scheda magnetica, con cui sbloccare ulteriori passaggi. E l’esplorazione si amplia se vuoi localizzare gli oggetti utili per potenziare la protagonista stessa (il braccio e le sue armi) oltre che per la necessità di curarsi. Per evitare la morte e conseguente game over, infatti, potremo cercare in giro alcune fiale rosse ma anche bere bibite (prendendo anche a pugni le macchinette), mangiare pizza o panini e così via.
Il mondo è pieno di oggetti identificabili e con cui puoi interagire… inutilmente. Questo perché raccogliere e lanciare oggetti (ne sono diversi da bottiglie a sedie, ecc) non regala chissà quale soddisfazione e fa perdere più tempo che ottenere chissà quale vantaggio. Anche perché il metodo di lancio sacrifica la mira e rende il tutto impreciso e, ancora una volta, goffo. Un ulteriore elemento “tecnico” che non funziona granché e di cui, più volte, abbiamo messo in discussione la sua effettiva utilità (ma che ci ha salvato in alcune spedizione esplorative alla ricerca di collezionabili).
Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Phantom Fury ci ha convinto. Il suo essere in bilico tra 3D moderno e vecchio arcade nostalgico regala un’atmosfera riuscita e ludicamente piacevole da vivere ed esplorare, offrendo anche una discreta e piacevole varietà di ambienti. Un po’ borderlands e un po’ vecchio DOOM oltre che naturale evoluzione di Ion Fury, Phantom Fury ritrova nella grafica uno dei suoi punti migliori.
Molto piacevole anche il sonoro, dal doppiaggio (in inglese) ad alcune tracce audio orecchiabili e in linea con l’atmosfera generale del titolo. Tra queste, la migliore è assolutamente quella che potrai già ascoltare sulla home della tua PlayStation (entra letteralmente in testa). Da segnalare, infine, la gradita presenza dei sottotitoli in lingua italiana che, anche se il testo non è chissà quanto corposo, espande il bacino d’utenza senza escluderci come successo invece col predecessore.