Sviluppato e pubblicato da Baltoro Games, Pixel Cafe è un gestionale arcade fuso a una visual novel. Noi abbiamo vissuto la storia di Pixel, di bar in bar, su Nintendo Switch e questa è la nostra recensione. Pronto a diventare il miglior barman (e non solo) di Karstok?
Pixel Cafe – Una storia di tazzina in tazzina
Pixel Cafe è per metà una visual novel e questo significa che la narrazione ha una parte rilevante all’interno del titolo. Infatti, la storia di Pixel Cafe non è affatto male anche se non brilla per originalità e ritmo. Ma procediamo con ordine: noi siamo Pixel. Una ragazza che vive nella casa che un tempo era di sua nonna. Una bella casa, decisamente spaziosa. Il titolo esordisce con una scena muta dove incontriamo tre generazioni di donne: Pixel, sua madre e sua nonna.
Segue poi un testo, un monologo interiore, dove Pixel si interroga su cosa vorrebbe fare da grande e tra le varie opzioni sbuca anche il “dinosauro”. Sì, Pixel Cafe è un titolo dai toni vari e che non lesina con l’umorismo anche se a regnare è una patina malinconica. L’obiettivo del titolo è quello di accompagnare Pixel nella sua vita che è composta da giornate lavorative sempre più serrate. Che lavoro fa Pixel? Lei serve i clienti dietro al bancone di un bar (un bar estremamente diverso da quello di Slime Girl Smoothies di cui puoi leggere qui la nostra recensione). Almeno all’inizio.
Pixel Cafe, infatti, ci porterà a spostarci di bar in bar, da bancone a bancone, facendo crescere Pixel non solo professionalmente ma anche caratterialmente. La vita dietro al bancone, infatti, porta a intrecciare rapporti con i colleghi, i datori di lavoro e alcuni clienti. Ma non solo. Pixel deve fare i conti anche col proprio passato, con la sua famiglia, la sua storia e allo stesso tempo, rimodulare e plasmare la strada per il proprio futuro.
Pixel Cafe è quindi un percorso formativo, una storia di crescita, che parla di legami, di lavoro, di crescita interiore e personale. Una storia di quotidianità che seppur non originale, intrattiene, in parte coinvolge. La sua semplicità non è un difetto e anzi Pixel stessa si dimostra un personaggio con sfumature intriganti e che meritano di essere approfondite grazie a una crescita coerente e appagante.
Come preparare un caffè
Pixel Cafe è un gestionale arcade e in quanto tale è prigioniero di uno schema ciclico ludico che va a complicarsi man mano che si prosegue nell’avventura. Nel dettaglio, noi siamo dietro a un bancone con visuale in prima persona e una marea di opzioni a nostra disposizione (inizialmente saranno poche ma presto aumenteranno in modo esponenziale).
Per interagire con le varie macchine, bicchieri, cibarie e bevande, l’interfaccia ci regala un sistema di interazione immediato ma che può inizialmente creare una lieve confusione. Banalmente basta premere un tasto (analogici inclusi) per eseguire un’azione che sia il mettere il bicchiere sotto la caffettiera per farla partire in automatico alla selezione di una cannuccia. Ogni oggetto o macchinario ha un suo tasto affidato ed eventuali tempistiche di riempimento e/o preparazione. Alcuni oggetti possono essere invece fusi tra loro come mettere la cannuccia in un bicchiere precedentemente posizionato sul bancone.
Il titolo in sé, in termini ludici, non innova niente. Siamo pieni di titoli così che spopolano soprattutto nel mondo mobile. A conti fatti, di bar in bar, dovremo soddisfare le richieste dei clienti sempre ben visibili in balloon senza far errori e senza farli attendere troppo. Soddisfare le richieste ci porterà a ottenere il rispettivo compenso (che varia in base alla prestazione). Soldi che dovremo sempre recuperare dal bancone e non lasciarli lì.
Inizialmente faremo poche operazioni ma come già detto più volte, con l’avanzare dell’avventura le opzioni si moltiplicano, le richieste si triplicano e perfino le schermate da tenere d’occhio aumentano. Ecco quindi che ci ritroveremo a mettere preventivamente il caffé (senza mai esagerare) per guadagnare tempo mentre prepariamo più piatti alla volta e così via. E più vai veloce, più c’è la possibilità concreta di far casini e sbagliare.
Ma tranquillo, se sbagli, puoi sempre buttare il piatto pagando una penale in termini di soldi. Inoltre, in nostro soccorso arriva anche una particolare barra visibile a schermo che si ricarica con il tempo e che regala gioia ai clienti e un piccolo bonus in velocità a noi. E parlando di bonus, il titolo ha al suo interno un sistema di bonus passivi “pratici” come l’ampliamento permanente degli spazi del bancone dove poter posizionare più piatti contemporaneamente.
Il problema di Pixel Cafe è però legato al suo impianto ludico. Fondamentalmente, anche se cambiano le richieste, i luoghi, i macchinari, ci ritroveremo a fare sempre la stessa cosa, ancora e ancora. E questo, a lungo andare, può portare a stancare. Anche se abbiamo apprezzato l’alternanza con i momenti da visual novel, il ritmo di gioco, soprattutto per sessioni molto lunghe, può creare una certa stanchezza se non proprio noia.
Guarda come mi sistemo casa
Pixel Cafe ha al suo interno anche un altro aspetto da gestionale: la casa di Pixel. Che poi sarebbe la casa della nonna. Pixel Cafe ha una piccola mappa con tutti i bar e luoghi d’interesse in cui potremo spostarci (il gioco è comunque lineare e scandito da un calendario con sfide ben precise) e tra questi c’è la nostra casa. Qui potremo ascoltare la musica, personalizzare gli ambienti, potenziare Pixel stessa e quant’altro. Insomma, possiamo investire i nostri guadagni e rendere la dimora più personale.
Certo, non abbiamo il livello di dettaglio e la vastità di scelta di un Animal Crossing, ma è comunque una gradevole aggiunta che si sposa bene con la coerenza narrativa del titolo che vede appunto Pixel maturare nel tempo, di lavoro in lavoro, e cercare una propria identità.
Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Pixel Cafe si difende molto bene grazie a un utilizzo della pixel art certosino e ben curato. Certo, la scelta dei personaggi Chibi-pixel, ossia coi capoccioni, potrebbe non piacere a tutti, ma dona una certa coerenza visiva. A brillare sono però gli ambienti con una cura del dettaglio molto gradevole. Sì, c’è un certo riciclo di elementi ma il risultato finale è più che positivo.
Il sonoro è abbastanza vasto e ben curato, dietro c’è Arkadiusz Reikowski e il lavoro svolto non è affatto male. Alcune tracce sono particolarmente orecchiabili e risultano positivi anche gli effetti sonori, particolarmente credibili. Da segnalare, purtroppo, la totale assenza della lingua italiana (neanche i sottotitoli) che, in una visual novel, può tener lontano più di un utente. Bisogna però dire che i testi non sono mai eccessivamente complessi o prolissi.
Infine, Pixel Cafe si difende molto bene in entrambe le modalità dell’ibrida Nintendo con quella portatile particolarmente idonea e consigliata considerando la natura del titolo e il suo essere perfetto per partite mordi e fuggi o comunque dalla durata relativamente breve.