Quello della città dominata dal crimine è un tema ricorrente in numerose opere di fantascienza e cyberpunk. A essere ancora più comune è che questa specifica città sia Detroit. L’esempio più famoso è rappresentato da RoboCop: il film del 1987, diretto da Paul Verhoeven a cui è stato recentemente dedicato un nuovo videogioco, è un classico del genere, e vede protagonista un agente di polizia che viene trasformato in un cyborg per combattere la criminalità proprio in una futuristica e criminale Detroit.
Prison City si inserisce proprio in questo filone. Il titolo di Retroware è profondamente ispirato ai film e videogiochi d’azione degli anni ’80 e ’90: dal già citato RoboCop a Megaman e Mad Max. Molte cose, però, non sono andate nel verso giusto nella realizzazione del gioco. Vediamo pregi e difetti di questo sparatutto a scorrimento che abbiamo provato su Xbox Serie X/S.
Una città in mano al crimine
Detroit, una volta fiorente e prospera, è stata trasformata in un’ombrosa prigione urbana in preda al caos. L’anno è il 1995, e la città è stata evacuata, abbandonata a sé stessa mentre il crimine prendeva il sopravvento. Il governo, incapace di contenere la violenza e la corruzione dilaganti, ha preso la decisione drastica di trasformare l’intera Detroit in un’intricata rete di mura e dispositivi di sicurezza per imprigionare i criminali.
Nel buio di questa desolazione urbana, un sinistro gruppo criminale, noto per la loro spietata brutalità e ambizione sfrenata, è riuscito a infiltrarsi nelle mura della città-prigione. Nel 1997 la loro presa salda su Detroit è completa, trasformando la metropoli in un rifugio per fuorilegge e criminali di ogni genere.
Hal Bruzer, un ex agente coraggioso e valoroso, è richiamato dal suo congedo tranquillo dal suo mentore, il misterioso “capo”, proprio per risolvere la situazione. Quest’ultimo è consapevole che solo Bruzer ha la forza e la determinazione necessarie per affrontare il caos che ha invaso le strade di Detroit. La sua missione: sconfiggere i tecno-terroristi per riconquistare il controllo della città.
Armato solo della sua abilità tattica, delle sue conoscenze investigative e della ferma volontà di riportare l’ordine, Bruzer si addentra nelle strade decadenti di una Detroit che sembra dimenticata dal mondo. Lungo il percorso, dovrà affrontare una vasta gamma di nemici spietati e determinati a mantenere il loro dominio sulla metropoli.
La città, una volta emblema di prosperità, ora attende il ritorno di Hal Bruzer per essere liberata dalla morsa della criminalità. La sua missione non è solo quella di riportare la sicurezza, ma anche di risvegliare la speranza e lo spirito che rendevano Detroit un luogo vibrante e pieno di vita. L’ex agente è l’ultima speranza per una metropoli sull’orlo dell’oblio.
Prison City: un metroidvania in miniatura
Prison City è uno sparatutto d’azione a scorrimento orizzontale. Per superare un livello, il giocatore dovrà esplorare lo scenario, sconfiggendo i nemici che incontrerà sulla propria strada. All’interno di ogni scenario è presente un alleato, che una volta trovato donerà a Hal Bruzer una chiave di accesso necessaria per aprire la porta che conduce al boss di fine livello. Per sconfiggere il nemico finale, il giocatore troverà all’interno del livello anche alcuni potenziamenti per le proprie armi, i chakram, nonché strumenti di assistenza come le granate od oggetti capaci di ripristinare la propria salute, come gli hot dog.
I comandi sono semplici e possono essere appresi in fretta svolgendo la modalità Addestramento. Con il pulsante X si utilizza l’arma da fuoco, i chakram, mentre con Y si utilizza l’equipaggiamento secondario, le granate. Utilizzando i pulsanti dorsali è possibile rivolgere la mira in diagonale verso l’alto o verso il basso. Il pulsante “Su”, che può essere attivato sia spingendo la leva analogica sinistra verso l’alta che premendo la freccia direzionale rivolta verso l’alto, serve invece per aggrapparsi alle sporgenze ma, come spiegato in precedenza, il comando non risulta affatto preciso.
A risultare problematico riguardo al controllo del personaggio è anche il modo in cui esso si muove. Mentre i giochi a 8-bit erano caratterizzati da una precisione sensazionale nei comandi, lo stesso non si può dire per Prison City. Quando il giocatore muove Hal Bruzer, infatti, si renderà conto immediatamente che i suoi movimenti non rispondono con la stessa precisione con cui vengono impartiti, sentendo il protagonista “scivolare” leggermente durante i suoi movimenti. Ciò comporta problemi soprattutto nello schivare in maniera adeguata i colpi dei nemici, e si aggrava ulteriormente durante i combattimenti contro i boss.
Gli scenari disponibili sono otto. La loro struttura è basata sull’esplorazione. Come anticipato in precedenza, infatti, è necessario per il giocatore trovare prima l’alleato che si trova all’interno del livello e, successivamente, la porta che conduce al boss. In questo senso, il titolo si basa su un modello che potrebbe essere definito “metroidvania in miniatura”. L’ambientazione degli otto livelli spazia dalle fogne alle fabbriche, dalle riserve naturali a uno stadio e altro ancora. Le zone presentano ambientazioni uniche che si coniugano anche con caratteristiche peculiari dei luoghi: dai pericoli ambientali ai nemici presenti, ogni livello è infatti differente da quello precedente.
Il problema del level design è però legato al fatto che gli sviluppatori sembrano essersi focalizzati più sul creare mappe intricate, che funzionali e divertenti. A volte, infatti, riuscire a capire quale sia la strada da intraprendere risulta davvero difficoltoso. I nemici sconfitti, inoltre, ritornano immediatamente in vita se il giocatore si allontana anche di pochi passi e poi torna indietro. Questo aspetto rende ancora più frustrante una fase di esplorazione che può già risultare ostica a cose normali.
Prison City include difficoltà personalizzabili, che aiutano a mitigare una difficoltà altrimenti tarata verso l’alto in maniera decisamente eccessiva. I sei punti salute del giocatore, infatti, in molti casi possono essere esauriti fin troppo velocemente, in particolare in alcuni livelli, come quello dell’Autostrada, in cui il giocatore viene accerchiato da nemici senza avere una possibilità di fuga.
Ad appesantire questa situazione di difficoltà sono anche alcuni elementi legati al gameplay e al versante grafico. La problematica più grande è relativa alla funzione per potersi aggrappare alle sporgenze dei muri e degli oggetti. Premendo il pulsante direzionale rivolto verso l’alto, infatti, il personaggio può afferrare degli elementi dello scenario e rimanerci appeso. Non sempre, però, il comando viene recepito correttamente dal gioco, creando spesso situazioni nelle quali il giocatore salta per afferrare una sporgenza ma finisce col precipitare verso il basso, perdendo così energia o trovandosi costretto a ripetere una parte del livello. I problemi relativi alla realizzazione grafica, invece, saranno approfonditi nel paragrafo successivo.
Oltre alla modalità storia, il gioco presenta anche una modalità “Maratona dei boss”, in cui il giocatore dovrà affrontare tutti i nemici finali degli scenari e sconfiggerli nel minor tempo possibile.
Un’avventura in 8-bit su Xbox Serie X/S
L’ispirazione nei confronti degli anni ’80 non si limita all’ambientazione del gioco, ma investe in pieno anche il lato grafico. Prison City, infatti, presenta uno stile grafico in stile 8-bit che ricorda i titoli usciti per il NES. Sotto questo punto di vista il gioco sviluppato da Retroware, però, presenta serie criticità.
Il difetto maggiore riguardo alla realizzazione tecnica ha a che fare con l’estetica dei livelli. In diversi casi, infatti, è molto difficoltoso riuscire a vedere in tempo i nemici e a distinguere gli sfondi dall’ambiente di gioco in cui si muove il personaggio. Questo è dovuto prevalentemente al fatto che la palette di colori adottata sia troppo striminzita, non creando quel contrasto visivo necessario per distinguere correttamente tutti gli elementi presenti sullo schermo.
Nelle opzioni è presente anche un’impostazione che simula l’effetto del tubo catodico: un’alternativa che verrà sicuramente apprezzata da tutti i giocatori che vogliano immergersi a pieno nello stile grafico retrò adottato da Retroware.
Anche la colonna sonora di Prison City è composta da tracce a 8-bit. La musica è energica e si adatta bene al contesto narrativo del gioco, ma ha il difetto di diventare ben presto eccessivamente ripetitiva. Inoltre, non è nemmeno presente un tema musicale nel menù iniziale del gioco. Gli effetti sonori, invece, sono ben realizzati, ma troppo minimali.