Circa otto mesi fa noi di iCrewPlay ti abbiamo proposto l’anteprima di un TBS chiamato Cartel Tycoon che, attraverso una storia originale e politicamente scorretta, raccontava sia il passato che il presente dell’industria sudamericana del narcotraffico senza peli sulla lingua.
Oggi siamo di nuovo qui per presentarti Prison Simulator, un altro titolo che, pur omologandosi nel nome e nei fatti ad un genere totalmente differente, compie la stessa operazione di analisi spietata e diretta, ma questa volta ad essere attenzionato è un altro contesto in un altro areale geografico.
Il luogo sono non dichiaratamente ma evidentemente gli Stati Uniti d’America, e il bersaglio sono le prigioni locali, da sempre oggetto di controversie e polemiche per la violenza e la corruzione che spesso dilagano all’interno dei loro angusti corridoi.
L’opera è stata sviluppata da Baked Games, una software house polacca al suo esordio che per il publishing ha collaborato con la connazionale PlayWay, attiva fin dal 2016.
Prison Simulator, la (s)fortuna dei principianti
Come ogni simulatore che si rispetti, Prison Simulator include due modalità: campagna e gioco libero.
Considerando che il gioco libero si configura più che altro come un modo per personalizzare maggiormente l’esperienza di gioco in termini di ambientazione e di routine (vedremo meglio tra poco cosa si intende con quest’ultimo termine) ci concentreremo sulla modalità campagna, che a conti fatti è quella durante la quale il titolo dà il meglio di sé.
L’inizio è quello di tanti altri titoli, personalizzazione (abbastanza blanda) del personaggio principale e del carcere stesso (si tratta più che altro di dargli un nome considerando che gli interni ed esterni saranno uguali per tutti, non essendo presente nel gioco un editor di mappe tradizionalmente inteso).
Allo stesso modo sono personalizzabili i primi inquilini del carcere, un dozzina di persone che accompagnerà le nostre giornate di lavoro per un tempo più o meno lungo a seconda delle loro pene (tutte generate casualmente e tipologicamente varie, dalla spaccio di droga alla violenza sugli animali).
Contrariamente a quanto ci si può aspettare, in Prison Simulator non si impersona il direttore del carcere, bensì un secondino alle prime armi a cui toccano le più svariate mansioni, dal ripulire i numerosi ambienti dell’intricato penitenziario all’ispezionare le celle dei detenuti, passando per il check-in e il check-out degli stessi.
Il tutto avviene secondo una routine che cambia di giornata in giornata, con i vari compiti intermezzati da momenti liberi in cui potremmo dedicarci ad alcune attività, tra cui vari minigiochi. Laddove una parte di essi (e.g. le partite di freccette con i colleghi oppure la pulizia delle armi del poligono) è puramente ricreativa quasi da risultare un fastidioso filler, altri consentono al nostro anonimo protagonista di migliorare le proprie statistiche (una serie col bilanciere nel cortile della prigione aumenterà la stamina massima mentre una vittoria nel fight club abusivo coinvolgente tanto guardie quanto galeotti migliorerà la difesa).
Tutti questi elementi, insieme alla possibilità di mercanteggiare con i detenuti, accettare compiti al limite della legalità da essi e dai propri colleghi, oltre a personalizzare e migliorare il proprio equipaggiamento e le varie amenità della prigione (sembra un ossimoro ma non è) rendono Prison Simulator, più che un simulatore nudo e crudo, un RPG con visuale in prima persona condito di elementi gestionali e di squisiti momenti FPS.
Di simulativo, infatti, Prison Simulator ha più che altro il taglio documentaristico con cui tratta l’ambientazione, sebbene non manchino i momenti di humour, sia tradizionale che nero.
Un altro elemento ruolistico piuttosto preminente nel gioco è il fattore rispetto: ogni azione che compiremo comporta il guadagno o la perdita di una certa percentuale di rispetto da parte delle due parti (secondini e detenuti).
Le side quest che, come anticipato, possono essere acquisite dall’una e dall’altra parte includono anch’esse compiti piuttosto variegati. Un esempio potrebbe essere il recupero di alcuni beni di contrabbando, i quali potrebbero a loro volta essere tanto legali (dei semplici biscotti) quanto illegali (uno spinello di cannabis), un altro ancora potrebbe essere il malmenare uno dei detenuti per puro gusto del committente.
Il tutto, lo ribadiamo, è presentato e trattato con la maggiore crudezza e realismo possibile, rendendo Prison Simulator un’opera videoludica matura e per certi aspetti di denuncia (senza fare spoiler, potrebbe capitarti di dover giustiziare un detenuto sulla sedia elettrica).
Una trama che c’è ma non si vede
Quando si avvia per la prima volta un titolo che reca nel nome la parola ‘simulator‘ la prima sensazione (soprattutto per chi è in preda al più indomabile scetticismo videoludico) è di solito quella che porta a formulare la frase: ‘Sì, tutto bello, ma dopo un po’ che seccatura!‘.
Ebbene, si dà il caso che Baked Games abbia saputo aggirare ottimamente il problema, dotando la modalità campagna di Prison Simulator di una trama che accompagna la simulazione, procedendo con essa e mai prevaricandola.
Insomma, se ami i titoli che hanno una storia da raccontare a discapito di quelli volti alla pura simulazione, Prison Simulator non ti deluderà neanche sotto l’aspetto narrativo. In più il procedere a ritmo cadenzato della trama fa in modo che chi gioca assolva con la maggiore efficienza possibile alle routine proposte dal titolo, consapevole che le risposte agli eventi misteriosi che pian piano si dipanano nel corso di esso potrebbero palesarglisi da un momento all’altro.
Non un gioiello tecnologico, ma tecnicamente impeccabile
La prigione teatro di Prison Simulator, per quanto intricata, non è eccessivamente vasta. Ciò ha consentito ai developer di mantenere un’ottima cura nei dettagli dal punto di vista tecnico che li ha portati a proporre un’esperienza che procede senza la minima problematica in termini di bug o glitch.
L’unica criticità tecnica del titolo, se vogliamo, è l’interazione con l’ambiente e i vari personaggi, che risulta spesso imprecisa, sebbene non sia preda di input lag di sorta.
La grafica in sé, pur ricercando il fotorealismo, finisce per non trovarlo, riuscendo tuttavia a non trasformare i personaggi in grottesche caricature.
Proprio questa aderenza alla realtà non ha permesso grandi prodezze dal punto di vista estetico, e la personalizzazione ha fatto lo stesso nei confronti della recitazione, totalmente inesistente (i personaggi parlano addirittura un linguaggio simile all’odioso simlish, la lingua dei Sims, che per quanto sia buffa da ascoltare alla lunga diviene fastidiosa).
Concludiamo con una nota di merito alla colonna sonora, flessibile e poliedrica sebbene poco memorabile, e una di demerito all’effettistica, che ha tutta l’aria di essere riciclata da altre opere videoludiche senza il minimo tentativo di camuffarsi.