Chi si è mai soffermato a pensare alla psicologia dei i videogiochi? Sicuramente gli sviluppatori, e probabilmente anche qualche giocatore.
Nella storia dell’umanità si sono sempre raccontate storie, tramandate leggende, narrate vicende più o meno realistiche. L’essere umano è da sempre stato abituato a fruire di racconti da parte di terzi, secoli fa attraverso le storie narrate, poi sulla carta stampata, successivamente attraverso il cinema e la tv, fino ad arrivare a oggi, dove anche i videogiochi hanno finalmente le loro storie da raccontare.
Ma com’è possibile che delle “semplici” narrazioni nelle quali spesso siamo noi stessi i protagonisti, ci restino così tanto nella mente e arrivino a colpirci in modo importante? Siamo noi giocatori a essere di parte? Spoiler: la risposta è no.
Secondo la psicologia dei videogiochi, alcuni titoli impattano sulla nostra autostima
Per tanto, troppo tempo, i videogiochi sono stati bollati come dei cattivi esempi per i più giovani che, secondo genitori e figure non sempre propriamente specializzate, avrebbero portato alla violenza. Non a caso, fino a circa 10-15 anni fa, se un fatto di cronaca riportava la notizia di un’azione sconsiderata da parte di un adolescente, scattava il collegamento con i videogiochi, complici di tale violenza o crimine che fosse.
Lentamente questa analogia è riuscita a sgretolarsi, e per quanto ancora oggi qualche voce attribuisca le colpe dei mali del mondo ai videogiochi, dall’altra parte grandi quantità di studi dimostrano come i videogiochi siano utili allo sviluppo di specifiche aree del nostro cervello.
E se esperti psicologi che confermano che sempre più spesso i videogiochi possono contribuire in modo positivo alla crescita, sempre parlando di un giusto equilibrio, evidentemente un loro ruolo c’è e non è indifferente.
Basti pensare al piacere delle piccole vittorie: quante volte ci siamo sentiti gratificati nello sconfiggere finalmente quel boss che ci ha dato filo da torcere per ore? Si tratta di un piccolo rinforzo positivo che ci spingono a continuare, proprio come un premio che va ad appagare il nostro cervello e ad aggiungere un pixel alla nostra personale barra dell’autostima.
Ma il nostro discorso non si concentrerà sull’opinione generale sui videogiochi, bensì sul loro impatto emotivo.
È innegabile il fatto che più passano gli anni più, come ogni altro contenuto volto all’intrattenimento, i videogiochi acquisiscono non solo maggiori prestazioni grafiche e di gameplay, ma anche e soprattutto trame articolate e toccanti.
E la trama giusta, unita al coinvolgimento del gameplay, è in grado di toccare corde emotive che possono lasciare un segno, per diversi motivi.
Il lato psicologico dei videogiochi che ci coinvolge emotivamente
Se parliamo della psicologia dei videogiochi bisogna ammettere che sicuramente ognuno di noi ha ben impressa una scena particolarmente toccante di un videogioco, che ha lasciato nella mente qualcosa in più di un semplice ricordo. Che sia la morta inaspettata di un personaggio, un trauma, o un lieto fine, quel qualcosa ha lasciato un’impronta in noi.
A volte non si tratta solo di una scena, ma della storia nel suo insieme.
Per quanto mi riguarda, la trama che più mi sta a cuore è quella del primo capitolo di The Last of Us, dove le emozioni sono davvero un turbinio e la lotta per la sopravvivenza si accavalla a scelte pesanti come macigni sul cuore. La lacrimuccia alla fine c’è stata, e probabilmente ci sarà sempre.
Ma perché pur vivendo le stesse identiche storie videoludiche, alcuni rimangono più colpita da una piuttosto che da un’altra? Non si tratta solo di gusti e generi, ma di un discorso molto più complesso che, non essendo io una professionista ma una semplice appassionata di psiche umana, ho cercato di comprendere chiedendo in giro e informandomi online, per provare a riportarlo nel modo migliore in questo articolo.
Alla base di un videogioco c’è una trama, una storia che può essere raccontata da mille punti di vista e con mille sfaccettature. Che sia un’opera ispirata a fatti realmente esistiti, di fantasia, distopica o meno, avrà sempre e comunque al suo interno delle componenti e dei sentimenti umani, odio, amore, disprezzo, rancore, gioia, tristezza e via dicendo. Immergendoci nelle avventure dei personaggi finiamo inevitabilmente per empatizzare con loro e a vivere noi stessi la storia.
Ed è qui che iniziamo a parlare di psicologia dietro i videogiochi, con la loro capacità di connettersi al nostro pensiero. Possiamo dire ovviamente che il coinvolgimento è alla base di un videogioco, ma non basta il fatto che ci intrattenga a farci provare delle emozioni.
Questo processo scatta nel momento in cui quel personaggio o quella storia risuonano in noi per avvenimenti o situazioni che fanno parte del nostro vissuto personale. È proprio come una corda di chitarra che viene pizzicata e si amplifica per risonanza.
Quel concetto, quell’avvenimento, il carattere di quel personaggio fanno scattare nel nostro inconscio l’interruttore dell’associazione, e ci troviamo sorpresi a dire “Ehi, proprio come è successo a me” o frasi simili.
Eppure non è indispensabile che il protagonista sia umano per provare delle emozioni. Mi viene da pensare a CopyCat, un titolo che ho personalmente recensito di recente, o al più noto cugino Stray. In entrambi i casi i protagonisti sono gatti, eppure il senso di abbandono o di sconforto lo si percepisce tutto.
Ma non sarà colpa della troppa immersione?
Ok, sicuramente chi non è avvezzo al mondo videoludico, dall’esterno percepisce indubbiamente un eccesso di immersività in un ambito che per molto tempo è stato etichettato come un rifugio dalla realtà. Eppure sempre più persone, avvicinandosi a titoli più noti, stanno iniziando a comprendere che il mondo videoludico è sempre più vicino alle serie TV alle quale siamo tutti ormai abituati.
La trama è una signora trama degna di un film, tanto che molti titoli sono stati trasposti a mo’ di film su Youtube, aggiungendo qualche scena d’azione alle parti di storia in computer grafica e la psicologia dei videogiochi acquisisce sempre più importanza, tanto da arricchire le scene con effetti e musica studiati ad hoc e che riescono davvero a coinvolgerci a 360°. E se è vero che l’immersione è tanta, probabilmente non è solo la passione del videogiocatore che porta a immedesimarsi, ma lo studio approfondito dietro la trama e i personaggi che arriva a umanizzarli e a rendere perfettamente le emozioni provate dai protagonisti.
E in questo caso il ruolo chiave lo gioca proprio l’esperienza personale, la condivisione delle tematiche trattate o magari l’esatto opposto, per scatenare rabbia o rancore. Nel momento in cui il giocatore si trova a essere in perfetto accordo o disaccordo con un personaggio, con la storia o con la trama, il lato psicologico del videogioco esce allo scoperto.
Forti del trasporto emotivo e del successo che inevitabilmente comporta il clamore, sempre più titoli arrivano a trattare tematiche vicine alle esperienze umane, sia per dinamiche che per sentimenti provati. E il fatto di trovarsi, in alcuni titoli, a dover fare delle scelte significative ai fini della storia che potrebbero metterci in difficoltà o davanti a situazioni per noi inaccettabili, è un elemento di trasporto davvero potente.
Immaginiamo di essere amanti degli animali e, ai fini della nostra sopravvivenza in gioco, di trovarci a dover uccidere un cane per poter proseguire nella nostra missione, per poi magari sentire il padrone del cane che ne piange la morte… si è capito a che gioco mi riferisco? Uno dei gameplay di The Last of Us Parte II sconvolse proprio per l’umanizzazione estrema della crudeltà legata alla sopravvivenza. Ci siamo trovati davanti una Ellie in fuga che, braccata dai cani dei nemici, si trova a doverli uccidere.
Subito dopo si sente il padrone del cane piangere disperato la morte del suo amico a quattro zampe, urlandone il nome e giurando vendetta. Stessa cosa per gli esseri umani, uccidere virtualmente qualcuno che ci ucciderebbe e sentire gli amici disperati chiamarlo per nome rende il tutto più umano, ci rende carnefici in prima persona e non sembra più di togliere la vita a un npc ma a una persona con una vita propria, un vissuto, degli amici e una famiglia alle spalle.
Approfondire le dinamiche, le relazioni e le emozioni dei personaggi di un gioco ha contribuito nel tempo a creare un’atmosfera ancora più immersiva della semplice storia che ci ricorda un momento vissuto o dei sentimenti in linea con quelli del protagonista. L’immersione risulta veramente totale, forse più di un film o di una serie TV, perché ci sentiamo noi stessi i responsabili delle azioni che stiamo compiendo, essendo attori e non semplici spettatori, e il proseguire della storia contribuisce a farci sentire felici, tristi, indignati o soddisfatti. E a seconda della storia ci sentiamo impotenti, costretti a compiere quell’azione che va contro i nostri principi, o in colpa, per una scelta che non vorremmo mai dover fare.
Le emozioni dei personaggi diventano le nostre emozioni, e per quanto possa sembrare una banalità scontata, giocare un videogioco può davvero portare a un trasporto emotivo maggiore di un film o di una serie TV. Probabilmente quella della psicologia dietro ai videogiochi è una tematica troppo ampia per essere trattata in un articolo e da non addetti al settore, ma cercando online è possibile trovare qualche libro che tratta la tematica in modo più approfondito, spaziando dalla psicologia dietro i videogiochi divisi per genere dalle dipendenze, con alcuni titoli davvero interessanti, come dimostra questa rapida ricerca su Amazon.