Pochi mesi fa la decisione di Capcom di introdurre annunci pubblicitari all’interno di Street Fighter V: Arcade Edition ha diviso la fanbase. Sono stati ben pochi i players che hanno accettato la novità, mentre sono state moltissime le reazioni negative nei confronti delle politiche della casa di produzione giapponese, apparentemente interessata più a monetizzare che a fornire contenuti rilevanti.
Questa accoglienza negativa ha portato Capcom a decidere di rimuovere ogni tipo di contenuto sponsorizzato, benché il tutto fosse totalmente opzionale e avesse solamente il vantaggio di donare più fight money (la valuta interna del gioco) al giocatore nel caso in cui avesse deciso di guardarli. Gli annunci pubblicitari erano mostrati principalmente in tre aree: nei costumi, nella schermata di caricamento e in alcune aree di combattimento. Le lamentele ricevute da Capcom riguardavano principalmente l’intrusività delle pubblicità e il fatto che non fossero contestualizzate all’interno del gioco, andando a rendere l’esperienza meno realistica e credibile.
Nel corso della storia videoludica sono stati tantissimi i titoli in cui sono comparsi vari tipi di In-game marketing. Prima di andare a vedere qualche esempio, facciamo un passo indietro e diamo una breve definizione.
Che cos’è quindi l’in-game advertising?
Senza entrare troppo nel tecnico, possiamo definirlo come il piazzamento di un marchio o di prodotti all’interno di un videogioco. Vi sono principalmente due forme di in-game advertising:
- pubblicità statica (o posizionamento estetico): sono annunci messi in posizioni specifiche nel gioco, che però non vanno a influenzare direttamente il gameplay. Sono paragonabili ai cartelloni pubblicitari nel “mondo reale” e se il gioco è connesso ad internet possono cambiare di volta in volta a seconda delle offerte degli inserzionisti.
- Posizionamento integrato: tipo di pubblicità in cui il brand ha un coinvolgimento attivo nel videogioco; il marchio diventa parte integrante dell’azione. Gli esempi in questo caso sono moltissimi: si può dare al videogiocatore una macchina da guidare davvero esistente, mettere nella mappa di gioco del cibo “brandizzato” da raccogliere per curarsi o dare strumenti utili per il superamento di missioni e il proseguimento della storia (ad esempio il cellulare Sony Ericsson in Tom Clancy’s Splinter Cell: Pandora Tomorrow usato per scattare foto).
Nel video un breve esempio di posizionamento integrato in Alan Wake.
In-game Ads: dalla Pepsi a Barack Obama
Al contrario di quello che si può pensare, la pratica dell’in-game advertising non è poi così recente. Uno dei primi esempi infatti risale al lontano 1983, con Pole Position, in cui si comparivano annunci su sigarette (Marlboro), alcool (Martini) e soft drinks (Pepsi).
Con il tempo il rapporto di forza tra pubblicità e industria videoludica ha iniziato a capovolgersi. Prendiamo come esempio il posizionamento di automobili: un tempo erano i produttori di videogame che dovevano “scucire” ingenti somme per poter inserire una determinata vettura nei loro giochi, mentre ora la situazione è diametralmente opposta, e dato lo sviluppo dell’industria videoludica negli ultimi 20 anni è plausibile pensare che i brand intenzionati a investire in queste forme di pubblicità aumenteranno nel prossimo futuro.
Inoltre, con l’aumentare del livello di tecnologia il livello di qualità dell’intera industria è aumentato in maniera spropositata. E la pubblicità si è inevitabilmente evoluta di pari passo, trovando modi sempre più creativi (anche se non sempre positivamente) di “infiltrarsi” in molti dei nostri titoli preferiti. Essendo stata finora una strada non troppo battuta dalle aziende, possiamo tranquillamente dire che il livello qualitativo degli In-game ads non sia ancora eccelso. Nonostante la qualità si stia progressivamente alzando, continuano a esserci numerosissimi esempi di pubblicità così mal realizzate da arrivare a sfiorare la sfera del cringe.
A tal proposito uno degli esempi forse più famosi di pubblicità nei videogames mal riuscita è la partnership tra Metal Gear Solid: Peace Walker e Doritos, che portato all’introduzione in gioco (fortunatamente solo nella versione giapponese) di veri e propri orrori quali pacchetti di patatine Doritos per curarsi, che potevano persino essere trovati perfettamente intatti nel bel mezzo della foresta. Non proprio un aiuto per aiutare la sospensione dell’incredulità.
Ora, invece, immagina: stai giocando a Need for Speed: Carbon e stai sfrecciando ai 300 all’ora sulla tua Lamborghini Murcielago mentre scappi dalla polizia. Tra un drift e l’altro con la coda dell’occhio vedi un cartellone pubblicitario sul bordo della strada. C’è qualcosa di strano, ti sembra proprio di aver intravisto una faccia familiare. Ingrani la retromarcia, torni indietro per guardare meglio e scopri che è Barack Obama che sta facendo campagna elettorale per le prossime elezioni. Tiri il freno a mano, metti la folle. Ti lasci catturare. GAME OVER.
Mi piace pensare che qualcosa sui generis sia successa a migliaia di player americani nel 2008, quando il candidato democratico decise di includere nella sua campagna messaggi pubblicitari in ben 18 titoli della Electronic Arts. La spesa per tutto questo? “Solo” 44 mila dollari che, una volta comparati con le spese per il più classico marketing sulle principali televisioni americane (1 milione di dollari per 90 minuti complessivi in prima serata), fanno capire quanto potenziale inespresso ci sia in questo tipo di pubblicità.
Pubblicita nell’industria videoludica: cosa aspettarsi dal futuro?
Quello che sappiamo per certo per ora è che la mancanza di coerenza con il gioco e il posizionamento del brand/prodotto nei punti meno adeguati sono le principali cause che determinano un’accoglienza negativa da parte dei gamer riguardo alla pubblicità (come successo in Street Fighter V: Arcade Edition). Al contrario, i messaggi non intrusivi, che migliorano l’ambientazione rendendola più realistica sembrano essere ben tollerati.
È auspicabile un aumento di investimenti di marketing nel settore videoludico nei prossimi anni; d’altronde è quasi impossibile sperare che i vari brand decidano di ignorare un settore che da dieci anni è in continua crescita ed è arrivato a essere la forma d’intrattimento più remunerativa al mondo, avendo ricavi persino superiori a Hollywood.
Forse in futuro saremo costretti a cambiare la nostra mentalità da “se pago 70 euro per un gioco non voglio vedere alcun tipo di pubblicità“. Se riusciremo a farlo o meno, però, dipende tutto dai publisher e da come decideranno di implementare i vari annunci pubblicitari all’interno dei loro titoli.
Il troppo stroppia sempre. Anche quando vi seguo in live su Twitch prima che mi connette mi devo “sopportare” 30 secondi di pubblicità. Non è male eh, ma se aumenta poi comincia ad essere un problema. Un messaggio per il redattore Luca: #esciipunti ? ??❤️ Ragazzi siete una forza.
E allora ecco una marchetta subito per te: la noia ti affligge? Vieni stasera in live e divertiti con iCrewPlay su Twitch!
ahaha no mai i punti rimarranno a me :P