Sviluppato da DWANGO e Kemco e pubblicato da quest’ultimo in sinergia con PQube, Raging Loop è una visual novel di stampo fortemente classico dove l’unico elemento interattivo sono una serie di scelte che possono portare a innumerevoli finali differenti. Noi abbiamo vissuto un’avventura all’insegna di mostri e misteri su PlayStation 5 e questa è la nostra recensione.
Raging Loop incontra Lupus in Tabula
Prima di affrontare la narrazione di Raging Loop è bene percorrere la storia di un titolo che ha saputo sorprenderci sotto diversi aspetti. Prima di tutto, è un titolo targato Kemco, famosi principalmente per la produzione e relativa trasposizione console di giochi di ruolo vecchio stampo e fortemente nostalgici per dispositivi mobile. Eppure siamo qui a recensire una visual novel e non è la prima volta.
La prima è stata Horrific Xanatorium (di cui puoi recuperare la nostra recensione) e dopo aver consumato Raging Loop, possiamo affermare che le storie delle visual novel sono nettamente superiori rispetto a quelle che Kemco inserisce all’interno dei giochi di ruolo. Non solo, la trama presente in Raging Loop prendendo ispirazioni da atmosfera e meccaniche di grandi come Danganronpa e la serie Zero Escape, riesce a fare ulteriori passi in avanti catturando l’utente e trascinandolo fino alla fine.
Raging Loop ha anche un altro vanto, quello di essere un titolo nato su mobile nel lontano 2015 (seppur la versione inglese sia arrivata solo nel 2019) senza dimostrare la sua vera età. Questa in analisi è l’ultima versione dedicata alle console current gen e quindi PlayStation 5 e Xbox One Series ma non presenta alcuna miglioria di sorta se non una leggera pulizia grafica.
Scova il nemico
Come ha fatto Raging Loop ad arrivare fin qui nonostante non sia una visual novel rumorosa quanto i big già citati? Semplice: ha una storia vasta, ben ramificata e che, escluse alcune parti, merita di essere vissuta. Il merito principale della bontà di tutto risiede in un cast vario e profondamente ben articolato, imprevedibile ma sempre coerente con il proprio background (da svelare di run in run). Altro vanto è l’utilizzo del loop post mortem del protagonista, un’espediente non inedito ma qui utilizzato in pieno stile Zero Escape ma traslato con coerenza col racconto qui inedito e molto più fantasy che fantascientifico.
E ancora, a funzionare è la mole generosa di testo che, salvo alcuni momenti inutilmente prolissi, un inizio abbastanza anonimo e piatto e un finale che non regge tutte le aspettative, coinvolge in modo serrato offrendo una parte centrale praticamente impossibile da abbandonare e che sfrutta l’aspetto ludico da Lupus in Tabula in modo semplicemente magnetico. Ma bando alle ciance e andiamo ad approfondire personaggi e trama.
Il protagonista delle vicende, nonché nostro alter ego, è il giovane Haruaki Fusaishi che si ritrova in viaggio con la sua moto e che si ritrova, suo malgrado, vittima di un incidente. La sua vita è comunque (temporaneamente) salva in quanto viene soccorso e aiutato da una giovane abitante di un remoto villaggio di montagna denominato Yasumizu. Tale villaggio è abitato da poco più di una decina di abitanti tutti molto diversi tra loro e ognuno discretamente stravagante.
I personaggi di Raging Loop, infatti, sono tra gli elementi migliori dell’intero titolo e riescono costantemente a sorprendere nonostante l’elevato numero di run di cui è infarcito il titolo. Ma a rendere ancora più unico il villaggio e i suoi abitanti è una fitta nebbia che avvolge l’intera area e che, almeno all’apparenza, blocca il nostro protagonista costringendolo prima a essere spettatore e poi a partecipare a un rituale decisamente stravagante.
Ed eccoci all’aspetto da Lupus in Tabula: di notte, infatti, uno degli abitanti viene ucciso. Da chi? Ma da un lupo mannaro, ovvio. Lupo che, di giorno, ritorna in forma umana, mescolandosi fra i superstiti. Ed ecco quindi che di giorni, i vari sopravvissuti si riuniscono per decidere chi eliminare nella speranza di far fuori il mannaro di turno. Le cose diventano ancora più intriganti in quanto tra gli umani si celano anche dei “guardiani”, dei soggetti benedetti con diversi bonus come il guardiano “ragno” che può proteggere una persona a notte o i guardiani “scimmia” che possono riconoscersi a vicenda.
Inutile dire che la genialità e la forza del racconto è tutta nella capacità dei protagonisti di creare stratagemmi non sempre facili da intuire e che ci porteranno non pochi grattacapi nel corso delle nostre run ma quasi sempre con risvolti estremamente godibili da leggere. Ci fermiamo qui nel descrivere la narrazione onde evitare spoiler ma ti basti sapere che la trama non elemosina dettagli truculenti (tutti rigorosamente scritti, mentre esteticamente il titolo è fin troppo cauto e minimalista) così’ come non mancano monologhi prolissi (non sempre apprezzati) e imprevedibili momenti di puro caos che riescono a strappare anche grasse risate.
Insomma, la storia di Raging Loop funziona praticamente sempre nonostante una struttura composta da loop e suddivisa in run principali a loro volta frammentate da innumerevoli bad ending (non tutti opzionali). Parliamo di un totale di oltre trenta ore di gioco a cui si somma una modalità extra denominata “Reveal” con cui potrai scoprire i pensieri dei vari personaggi, ripercorrendo la trama dal principio con nuovi epiloghi ed episodi col punto di vista di altri soggetti.
L’illusione della scelta
Raging Loop è una visual novel di stampo classico dove il nostro unico intervento ludico è incentrato sulle scelte ossia nella possibilità di selezionare una o più opzioni e scoprirne le inevitabili conseguenze. Peccato che in Raging Loop tale struttura è fittizia e quindi ancor più limitata. Nel dettaglio, in gran parte delle occasioni la scelta è un’illusione in quanto il percorso da svolgere è unico, frastagliato da finali negativi che risultano però comunque parte integrante della linearità del racconto.
Troppo complesso? Proviamo a semplificare: per poter proseguire, devi morire. è il gioco stesso che lo dice, sfruttando un personaggio pecora che sfonda la quarta parete, comunicando direttamente con noi e offrendo un’ulteriore chiave di una storia enormemente frastagliata e stracolma di contenuti. Far morire il protagonista è a conti fatti, l’unico modo concreto con cui ottenere “chiavi”. Tali chiavi sono i finali negativi di cui il protagonista conserverà memoria e che quindi potrà utilizzare per evitare una brutta fine e far proseguire la storia in un altro modo.
Dove utilizzare le chiavi è palese e si vede facilmente in una sorta di mappa concettuale in cui potrai comodamente navigare e scovare dove utilizzare le chiavi. Anzi, il gioco stesso prende nota delle chiavi necessarie (sono numerate) per poter avanzare in determinate ramificazioni della trama (che ricordiamo essere divisa in più “tronchi” principali). Ovviamente, non mancano finali negativi opzionali e concretamente inutili e che quindi non portano alcuna chiave come ricompensa e in quel caso, si torna ai vecchi sistemi da visual novel anche se quasi sempre risultano finali affrettati e anche discretamente prevedibili.
In compenso, nei momenti da Lupus in Tabula dover scegliere in base alle nostre iniziali deduzioni e quindi scoprire se i ragionamenti portano a un buon risultato o meno regala discreta soddisfazioni che vanno quindi, in parte, a giustificare la povertà del gameplay. Un gameplay che, ripetiamo, è ridotto veramente all’osso al punto tale che la prima scelta/non-scelta la farai solo dopo ore di dialoghi.
Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Raging Loop è altalenante. Da un lato abbiamo una serie di artwork dei personaggi ben dettagliati (seppur statici) e dotati di un discreto numero di espressioni. Dall’altro abbiamo dei fondali poveri, anonimi e ripetuti all’infinito. Senza contare l’abuso di sfondi monocolore (l’immancabile total black) che rallentano l’immedesimazione della storia che procede principalmente grazie all’ottima scrittura.
Il sonoro è discreto, anche questo indebolito da alcune fasi silenziose e da tracce sonore non sempre ispirate. Nel mucchio ci sono tracce audio di grande impatto e in più, l’intero titolo è doppiato in giapponese con una buona recitazione, coinvolgente e varia. Da segnalare, infine, il più grande ostacolo: l’assenza della lingua italiana (elemento molto prevedibile). Purtroppo l’enorme mole di testo può risultare un ostacolo che non tutti sono in grado di affrontare.