Lord Byron è uno dei mostri sacri della letteratura internazionale, una figura atipica persino nel panorama degli autori a lui contemporanei: come artista, il suo obiettivo principale era quello di modellare la propria esistenza sul proprio modello ideale di scrittura, dando alla propria esistenza contorni quasi letterari.
Basta poco per rendersi conto che Byron sia riuscito in questa sua personale scalata: una vita burrascosa, fatta di arte, eccessi, avventure , tresche, sommosse, conflitti e persino guerre. Non per nulla, tra gli addetti ai lavori, la figura dell’eroe che cammina sul sottile confine della moralità è detto “eroe byroniano“: imperfetto, tormentato, con ideali spesso colossali; ma allo stesso tempo terribilmente umano, fragile e lacerato da conflitti inconfessabili.
L’eroe byroniano è, per farla breve, il prototipo della figura che nella narrativa moderna è l’antieroe, il device narrativo più ricco e apprezzato dalla contemporaneità per la sua inerente complessità, per la sua mancanza di perfezione e per le sue debolezze endemiche: l’antieroe è l’attore che l’uomo sente più vicino a sé.
“Conosco il ramo dalle frutta che porta…. E sono amare”
Non sorprende, quindi, che anche nei videogiochi l’antieroe abbia assunto un ruolo di primo piano, seguendo quei trend narrativi che influenzano la letteratura più tradizionale: esempi noti di questo archetipo possono essere Dutch Van Der Lynde (Red Dead Redemption 2), Silver (Pokémon) o Riku (Kingdom Hearts); ma anche figure come Kratos (God of War), Dante (Devil May Cry) o Sephiroth (Final Fantasy VII) rientrano in questo canone. L’antieroe è una figura versatile, in guerra con se stesso, lacerato dalle proprie imperfezioni e spesso ridotto ad una perenne lotta con il destino, il passato e l’istituzione.
Non susciterà grande sorpresa in nessuno, quindi, sapere che l’intera saga dei Souls faccia ampio uso degli antieroi, inquadrando personaggi che all’esterno possono apparire superficialmente come creature corrotte o esseri malvagi, privi di qualunque qualità; ma che, approfondendone l’esistenze ed il travaglio, risultano sfaccettati e complessi, spesso divorati dal peso del mondo che brucia.
Nella saga videoludica di Miyazaki, Demon’s Souls è forse il capitolo più lasciato a se stesso. Il gioco che ha dato i natali ad un intero genere videoludico, e che affonda le radici nel fertile panorama delle trope letterarie gotiche, rappresenta alla perfezione un mondo che cade in pezzi e si avvicina sempre di più ad una fine già scritta. Ma tale apocalisse, come ci viene narrato all’inizio del gioco, deriva dalla disperazione di una singola figura – Re Allant XII, il sovrano di Boletaria. E l’antieroe della nostra storia.
“Surely you have seen for yourself… the pain and suffering that fills this world.”
In un’intervista del 2015 con The Guardian, Miyazaki ha raccontato la sua storia: è cresciuto terribilmente povero, i suoi genitori non potevano permettersi di acquistare libri o manga, per cui frequentava spesso la biblioteca locale: per sua stessa ammissione, per quanto amasse la lettura, non sempre riusciva a comprendere appieno ciò che leggeva e per questo aveva bisogno della sua immaginazione per riempire i buchi testuali.
Questa esperienza è, naturalmente, trasudata all’interno dei suoi lavori, in cui la narrazione è solo mostrata per sommi capi, grandi snodi che regalano una direzione generale. Sta a chi gioca riempire i buchi, attraverso indizi, teorie e – naturalmente – fantasia.
Quando questa narrazione fuori dagli schemi approdò nel mondo videoludico, dopo aver riscosso enorme successo nella letteratura, nessuno era pronto e Demon’s Souls divenne noto per la sua difficoltà, più che per i meccanismi narrativi innovativi. I personaggi erano atrocemente umani, ma potevano apparire come sbozzature poco approfondite, poiché il contorto sistema di questing e progressione di Miyazaki era ancora una novità, non conosciuta e non approfondita.
Nella troupe di Demon’s Souls serpeggia un minimo comune denominatore: il fatalismo, la disillusione, la diffidenza. Il mondo di Boletaria è avvelenato, senza speranza, ed è costruito su dolore e sofferenza. Il messaggio finale del gioco, per quanto aperto all’interpretazione, rientra tuttavia in un canone che è divenuto poi uno staple della letteratura di Miyazaki: combattere contro lo status quo, aggredire una realtà così ostile o lasciare che un mondo così pieno di sofferenza viva ancora, in nome di ciò che è sempre stato.
Su questo dilemma si innesta la figura dell’antagonista principale del gioco, un personaggio quasi leggendario che viene nominato, cercato, temuto e rimpianto fin dall’introduzione cinematografica: Re Allant, dodicesimo del suo nome, è l’ultimo monarca di Boletaria, figura mitica che sembra ritagliata sui sovrani dell’epopea eroica.
Re Allant XII viene delineato come un re magnanimo, amato dal suo popolo, e che aveva combattuto contro le creature sopravvissute ai conflitti precedenti. Tuttavia, con l’avanzare dell’età, una sorta di malinconia e disillusione aveva iniziato a crescere in lui, afferrandolo dall’interno. Un mutamento, all’apparenza inspiegabile, si verificò in Allant; questo cambiamento, tuttavia, rimase nascosto al suo popolo, persino a suo figlio, perché Boletaria entrò in un’epoca di prosperità mai vista prima.
E poi nebbia, rovina, distruzione, l’apparente pazzia di Allant, la sua ricerca disperata di qualcosa che nessun altro, oltre a lui, sembrava poter vedere. La maggior parte dei personaggi non giocanti definiscono le sue azioni come mosse dalla ricerca di un potere sempre più grande, un giudizio dettato dalla superficialità di chi non ha mai potuto scrutare appieno nei pensieri di un sovrano profondamente turbato e provato.
Tuttavia, sembra che Allant avesse finalmente trovato una soluzione al più grande dilemma della sua esistenza: il mondo è ostile e avvelenato, ricolmo di sofferenza. C’è una possibilità di guarirlo? O siamo condannati a vivere e a soffrire?
“You fool. Don’t you understand? No one wishes to go on…”
Com’è tipico della narrazione di Miyazaki, il passato di Allant non è ben delineato. Ci vengono forniti dati molto vaghi sulla sua storia, sui suoi desideri, sul suo agire, spesso filtrati attraverso altri personaggi che possono essere considerati dei narratori non affidabili, poiché Allant è una figura mitica, che sembra sussistere su un piano differente rispetto agli altri, e se ne parla nei termini di una leggenda lontana nel tempo e nello spazio.
Allant viene rappresentato in statue colossali, che seguono il giocatore nel suo cammino all’interno della fortezza. Gli avventurieri, soldati, vecchi compagni e persino il figlio ne parlano ognuno in modo diverso, fornendo frammenti di una personalità mai delineata, che porta su di sé il peso della corona e del mondo. Ne parlano come di un re che prima sembra aver cercato il controllo delle anime per il proprio popolo, quando vi è prosperità, e poi per propria smania di potere, quando la nebbia porta l’apocalisse.
Esiste, quindi, una doppia figura di Allant, che in un certo senso è ripartita anche nella concretezza del videogioco. Non è un caso se Allant, al culmine della sua epifania e ridotto ad una creatura debole ed informe, decide di modellare un demone dandogli le qualità fisiche ed emotive che gli altri gli attribuivano in passato: il Falso Re Allant è torreggiante, ben più alto di un umano regolare, e regale, ammantato in vesti candide e signorili; seduto su quello che un tempo era il suo trono, continua a governare i resti del suo colossale castello.
D’altra parte, seguendo la teoria del doppio freudiana, l’Allant originale è al polo opposto rispetto alla sua copia idealizzata. Se il Falso Re è possente, dominatore e rientra perfettamente nel quadro dipinto dai racconti semi-leggendari degli avventurieri, il vero re è l’ombra di se stesso, avendo subito una trasformazione che non è altro se non il traguardo, fisico e tangibile, del suo percorso interiore.
Il vero Allant è ridotto ad un essere simile ad una massa informe, che non ha più nulla di umano nel corpo, ma che è perfettamente lucido nella mente: ed è proprio lui, inerme e debole, l’ultimo boss di Demon’s Souls. E, come nel caso del successore Gwyn, pone il giocatore davanti ad una scelta – la stessa che ha fatto lui, a suo tempo.
“I have had enough of this rotten world.”
Alla morte del Falso Re, il Nexus al centro del gioco si apre, rivelando l’ultimo luogo di riposo di Allant. Il re, ombra di se stesso, rivela immediatamente la scelta finale al protagonista: “Shall thou seek everlasting Demon souls? Or obey that naive Monumental?” – cercare le Demon souls, prendere cioè le armi contro il cielo e opporsi allo status quo, assumere le vesti del tormentato eroe byroniano che si oppone al mondo crudele e all’istituzione, oppure abbassare il capo e servire l’ordine prestabilito, mantenendone il fragile equilibrio.
La scelta di Allant è ovvia, e ci permette di sviscerare completamente il personaggio. Re Allant non è una figura mitica, un eroe di innumerevoli conflitti, ma un uomo come gli altri, debole ed impaurito dalle sue responsabilità – motivo della ricerca della prosperità quando Boletaria era in crisi; ed allo stesso tempo, forgiato dal conflitto, ha compreso quanto crudele sia il mondo.
Il giocatore ha attraversato Boletaria, ha assaggiato quanto il suo mondo sia ostile, e quanto lo fosse ancor prima dell’arrivo della nebbia e dei demoni. La Torre di Latria è luogo di torture, sofferenze e schiavitù; i cunicoli sono ricolmi di schiavi che scivolano e sudano in miniere buie e sacrifici umani a draghi abominevoli; e in generale l’intero regno era un luogo turpe ben prima dell’arrivo dei demoni.
Re Allant era stanco, impaurito e malinconico. Nella vecchiaia, vedeva il mondo corrompersi nonostante i suoi sforzi di renderlo migliore. Ostrava, suo figlio, ci dice che il re ed i cavalieri erano retti, magnanimi e modesti, per questo rimane stupito dal parlare con il Falso Re, una copia idealizzata di suo padre, che racchiude quindi i tratti più demoniaci che gli vengono attribuiti: non sono propri del padre valoroso che conosceva.
Quel padre, alla fine della sua vita, nel disperato tentativo di essere ancora un re retto e giusto ha portato prosperità a Boletaria; ma il mondo, nonostante il suo sacrificio, era ancora orribile e spaventoso. Ed è a questo punto della storia che l’Antico entra in contatto con Allant, offrendogli la possibilità di dare una nuova chance al mondo: lasciare che la nebbia lo divori, che il veleno dell’uomo, della sua malvagità e della sua corruzione, sia combattuto da demoni osceni, ma non così diversi.
Allant è stanco di questo mondo, nessuno, ne è convinto, ha voglia di andare avanti. Per questo, accetta di ribaltare il tavolo, gettare le carte all’aria e sperare in un futuro differente, dove questa umanità possa avere una nuova speranza. Per farlo, non gli resta che compiere il sacrifico più alto, immolarsi, perdere l’umanità nel fisico ma non nella mente.
Quando il protagonista uccide Allant, non c’è disperazione, solo profonda tristezza. L’eroe byroniano, dopotutto, è destinato alla morte tragica nel tentativo di cambiare il mondo. Che ci sia riuscito o meno, sta al giocatore deciderlo.