L’attesa per Biomutant è durata tantissimo, quasi quattro interminabili anni. Certo, ci sono titoli che si sono fatti attendere per ben più tempo, basti pensare a Final Fantasy XV, che prima di finire sugli scaffali ha visto la sua storia riscritta infinite volte e il suo concept stravolto alla radice, oppure, per rimanere in casa Square Enix, Kingdom Hearts III o per fare un esempio più recente Cyberpunk 2077.
Proprio il lancio di quest’ultimo titolo ha provocato un caso mediatico senza precedenti, che sta già cambiando l’industria del gaming moderno, ma di cui vedremo i reali effetti solo tra qualche anno. Il flop a livello comunicativo della software house polacca CD Projekt Red ha messo in guardia sviluppatori e publisher, che si stanno rendendo conto di colpo che il pubblico è cambiato, è più esigente e spesso è anche più competente nel valutare un videogioco, dal momento che abbonamenti, sconti e mercato digitale rendono possibile una cultura del videogioco quasi “accademica”.
C’è però un problema: è esistito un medium videoludico prima di Cyberpunk 2077 e ne esisterà uno diverso dopo, ma c’è anche un limbo che tiene bloccate nel mezzo alcune produzioni il cui sviluppo ha corso parallelamente a quello della sfortunata epopea ambientata a Night City, e Biomutant ricade proprio in questo limbo.
Questa premessa non serve a sottintendere che il titolo di Experiment 101 sia un progetto fallato e comunicato male come quello dei creatori di The Witcher 3: Wild Hunt, ma è necessario sottolineare come, approfondendo ciò che si trova dietro le quinte del prodotto finale, vengano fuori delle analogie che hanno tenuto i giocatori col fiato sospeso per questi fatidici quasi quattro anni.
Il più grande problema di CD Projekt Red è infatti aver voluto fare un po’ l’Icaro della situazione: la software house polacca non dispone dei fondi di studi che lavorano su produzioni AAA, ma i suoi sviluppatori, esaltati dal successo della terza avventura dello Strigo, hanno voluto volare probabilmente troppo vicino al sole, inoltre, Cyberpunk 2077 è scomparso dalle scene per tempo immemore, salvo poi ricomparire di colpo solo per gettarsi in un turbine di rinvii senza sosta.
Biomutant presenta molte analogie con questa situazione: Experiment 101 è al suo debutto nello sviluppo di un gioco, questo non vuol dire che lo studio sia formato da sprovveduti, anzi! Gli sviluppatori coinvolti nel progetto sono ex-membri di Avalanche Studios (autori della serie Just Cause, Mad Max e Rage 2), quindi non proprio dei novellini, il punto è che per quanto un team di appena venti persone possa contare dei membri talentuosi tra le sua fila rimane quello: un team da venti persone… che per giunta si pone l’obiettivo di sfornare uno degli open world più ambiziosi degli ultimi anni!
Ad accomunare Biomutant a Cyberpunk 2077 c’è stato anche un prolungato silenzio mediatico, giustificato dagli autori con la volontà di non sottoporre il piccolo studio a crunch o stress di ogni sorta, un impegno lodevole, ma si torna sempre al discorso che un open world che si prefigge l’obiettivo di essere così grande e denso di contenuti abbia bisogno di una mole di lavoro non indifferente, e soprattutto di un team ben più corposo di quello imbastito da Experiment 101.
Ti rassicuro subito, Biomutant è un titolo che definirei subito con un solo aggettivo: “onesto”, un videogioco che diverte e affascina, ma tradisce in più di un’occasione la sua natura da AA, riuscendo ad alternare a trovate brillanti e originali altre idee davvero incomprensibili, che vanno in un certo senso a vanificare gli sforzi produttivi del team. Quello che fa sì che un giocatore percepisca il titolo con serenità, passando anche sopra a qualche “incidente di percorso” è la comunicazione che ha preceduto il titolo in cui veniva affermato a chiare lettere: “Biomutant vuole essere grande, ma non rivoluzionario”. Vediamo nel dettaglio il perché!
Dimmi chi sei…
Come anticipato, Biomutant soffre di una sconvolgente alternanza tra trovate brillanti e scelte che lasciano perplessi e lo dimostra fin dai primissimi momenti. Veniamo infatti catapultati nel mondo di gioco da una cinematica spettacolare che vede il protagonista di copertina affrontare la sua nemesi Lupa-Lupin; tutto davvero bello e coinvolgente, ciò che smorza l’efficacia di questa intro cinematografica è il fatto che subito dopo ci ritroviamo davanti all’editor del personaggio che, una volta creato, si ritroverà a rivivere la stessa situazione vista pochi istanti prima.
Se, come anticipato, il mantra di Biomutant è la sua alternanza qualitativa, questa falsa partenza viene mitigata dal già citato editor, che presenta un’intuizione unica. Il mondo di gioco è popolato da creature mutanti, l’apocalisse radioattiva ha infatti risparmiato solo gli animali, che, dopo aver subito un’evoluzione forzata ed essersi antropomorfizzati, hanno creato una nuova società di cui sono padroni incontrastati. Naturalmente, il nostro protagonista non farà eccezione.
Accennavo in precedenza al “protagonista di copertina”, la volpe antropomorfa che ha guidato la campagna marketing del titolo sarà infatti solo una base di partenza per creare il nostro personalissimo protagonista, e il modo in cui accade è unico! La creazione infatti non andrà semplicemente a modificare l’estetica del personaggio (cosa che viene comunque fatta selezionando la fantasia del manto, il colore primario e quello secondario), ma si legherà in maniera indissolubile anche alle capacità del nostro eroe.
Prima di curare la pura estetica infatti, dovremo compiere un percorso di personalizzazione e scelta della razza, delle statistiche e della classe con cui decideremo di muovere i primi passi nel mondo di gioco. Ogni minima scelta compiuta modificherà la struttura del nostro avatar: un personaggio che punta su poteri psichici vedrà la sua calotta cranica crescere per ospitare più materia grigia, uno che punta sull’agilità diventerà più slanciato al crescere della statistica in questione, uno che invece decide di sfruttare semplicemente la sua forza bruta risulterà più massiccio e nerboruto anche visivamente.
Un’intuizione magari semplice e intuitiva, ma non per questo meno efficace! La logica dietro questo sistema di personalizzazione renderà davvero unico ogni personaggio creato, rendendo il protagonista di ogni partita diverso dagli altri anche in ottica di rigiocabilità. Purtroppo, diversamente da quanto comunicato nelle prime fasi di presentazione, quando nel corso del gioco andremo a potenziare il nostro personaggio, i tratti fisici non continueranno a modificarsi e il nostro avatar, per quanto unico, rimarrà controintuitivamente uguale a sé stesso.
… e ti dirò qual è la tua missione!
Subito dopo aver creato il nostro personaggio, il meraviglioso mondo di Biomutant inizia a schiudersi e a raccontare ai giocatori la propria storia: una narrazione stratificata, che intreccia multipli filoni narrativi, ma che non risulta mai troppo complessa o arzigogolata da seguire. Avremo infatti tre storie ben distinte tra loro (due e mezzo a essere precisi): la nostra classica missione solitaria per salvare il mondo, la divisione dei sei clan e il racconto del passato del protagonista.
Partendo dal primo filone narrativo, in realtà si tratterà di un pretesto molto classico per portarci a esplorare ogni minimo anfratto del mondo di gioco: Biomutant è palesemente uno di quegli open world nati dopo la rivoluzione imposta al genere da The Legend of Zelda: Breath of the Wild, con un mondo suddiviso in quattro macroaree ben definite, ognuna con la propria minaccia da debellare.
Il tutto infatti viene presentato sotto la luce di una minaccia diretta all’Albero della Vita, enorme pianta posta al centro della mappa, da cui partono quattro enormi radici. Queste sono assediate da altrettante fameliche creature, i Mangiamondo. A noi starà il compito di attrezzarci in maniera adeguata per prepararci allo scontro. Inoltre, ad aiutare il protagonista nel viaggio ci saranno una miriade di personaggi secondari, ognuno con un background ben definito che lo differenzia dagli altri, dettaglio da non sottovalutare che rende più piacevole e meno monotona la creazione di legami (che si riveleranno fondamentali per le fasi avanzate del gioco) con gli NPC.
La storia della divisione dei sei clan invece rappresenta la parte “morale” della crescita del nostro personaggio; il mondo di gioco infatti è stato diviso tra sei Sifu, ovvero gli allievi della madre del protagonista, un’autentica maestra combattente. Ogni Sifu ha una propria filosofia che lo porta a voler unificare le tribù o dominare il mondo in solitaria e starà a noi decidere che strada seguire, in un percorso che solamente all’inizio sembrerà ben definito, ma che man mano si aprirà a interpretazioni e sfumature che ci porteranno a chiederci se stiamo effettivamente facendo la cosa giusta.
A chiudere il quadro narrativo c’è quella “mezza trama” che narra le origini del nostro eroe (che a inizio avventura non ricorda molto della sua infanzia), saranno delle sezioni di gioco abbastanza brevi, e sebbene inizialmente sembri che saranno fondamentali nel corso dell’avventura, ci renderemo conto che man avanzando con le missioni principali diventeranno sempre meno significative e incidenti; rimane tuttavia brillante il modo in cui gli sviluppatori si siano sforzati di non creare paradossi narrativi e buchi di trama, ma lascerò scoprire a te in che modo!
Prima di parlare del gameplay, vale la pena di soffermarsi su un personaggio: Lupa-Lupin, ovvero l’arcinemesi del nostro protagonista. Rimarrò molto generico anche in questo caso per evitare spoiler, ma va comunque detto che ci troviamo davanti a un personaggio che riesce a spiccare di diverse lunghezze sugli altri per scrittura, tanto da farci domandare, quando arriveremo allo scontro, se effettivamente stiamo facendo la cosa giusta.
It’s a Mad, Mad, Mad, Mad World
Dal punto di vista del gameplay, Biomutant è a dir poco ricchissimo e particolareggiato! Data la natura del progetto in mano a Experiment 101 e visto il publisher THQ Nordic, era lecito pensare che ci saremmo sì trovati davanti a un open world, ma alquanto contenuto dal punto di vista di mappe e meccaniche, un po’ sulla falsa riga di Darksiders II (probabilmente l’apice della serie).
Invece, con una certa sorpresa, dopo le prime fasi abbastanza guidate dell’avventura che servono da tutorial al vasto mondo di gioco, mi sono reso conto di essermi imbattuto in un titolo molto più simile a un Fallout per la sua complessità, ancora una volta, questa ricchezza di contenuti si vede già dalla creazione del personaggio.
Come già anticipato, la creazione del nostro avatar digitale passerà sia per una fase puramente estetica che per una parametrica. Ed è già da queste prime battute che si può notare la minuzia ruolistica riposta nel titolo: potremo infatti scegliere di assegnare alcuni punti potenziamento per personalizzare il personaggio e renderlo più adatto allo stile che desideriamo adottare, si tratterà di parametri classici come Salute, Forza e Agilità, ma naturalmente troverà spazio anche il Carisma (utile per riuscire a risolvere le situazioni più spinose con le parole più che coi muscoli), senza dimenticare che anche il nostro Ki potrà aumentare, così da renderci dei “maghi” nell’utilizzo di Poteri Psi e Mutazioni (una sorta di barra del Vigore a conti fatti).
E non finisce qui! Il fatto che nel nostro peregrinare ci troveremo costantemente davanti a scelte morali si rifletterà anche sulla nostra Aura che potrà variare tra Luce e Oscurità. La nostra tendenza ci permetterà di accedere ad Abilità, Poteri Psi e Mutazioni tipiche di eroi o antieroi, insomma, starà a noi decidere se essere un paladino senza macchia o se a conti fatti il fine giustifichi i mezzi… senza dimenticare che rimanere neutrali è una scelta!
La semplice esplorazione del mondo di gioco e le varie missioni verranno scandite da scontri pirotecnici contro gruppi di nemici che saranno resi estremamente interessanti dalla nostra pressoché totale libertà d’azione, le possibilità a nostra disposizione infatti spazieranno dall’uso delle già citate Abilità e Attacchi Speciali al combattimento di vario tipo: a mani nude, all’arma bianca e con le armi a distanza, con la possibilità di cambiare arma in qualsiasi momento grazie a un apposito menù radiale.
L’Equipaggiamento a nostra disposizione sarà vasto e variegato, e permetterà a ogni giocatore di creare lo stile più adatto al gameplay a cui più è abituato o semplicemente alla situazione. Esplorando dungeon e portando a termine missioni primarie e secondarie raccoglieremo infatti armi di varia rarità, ma penso che la parte più interessante arrivi col crafting. Potremo infatti reperire vari pezzi di armi grazie al quale potremo costruire da zero qualsiasi arma desideriamo o personalizzare armi o armature “preconfezionate”. Il tutto dona tratti di complessità non indifferenti, senza però mai rendere il tutto frustrante, anzi, la gestione dell’Equipaggiamento sarà incredibilmente appagante.
A rendere il tutto ancora più misto e variegato c’è la possibilità di apprendere, spendendo degli appositi punti, combo diverse per ogni tipo di arma in nostro possesso. Quando in battaglia riusciremo a eseguire combo differenti potremo avere accesso alla modalità Super-Fu, che per un periodo di tempo limitato ci consentirà di eseguire attacchi inarrestabili e più potenti del normale.
Purtroppo però, dopo aver speso fiumi di parole positive sul gameplay, arriva la parte dolente: il bilanciamento, purtroppo non pervenuto. Stranamente data la natura del gioco, a inizio partita è possibile selezionare tra tre livelli di difficoltà, ho ritenuto opportuno gettarmi nella mischia a difficoltà Normale, per analizzare l’esperienza nel modo in cui gli sviluppatori hanno avuto intenzione di proporla ai giocatori, e già così c’è qualcosa che non va.
I vari scontri, che ci metteranno costantemente contro nutriti gruppi di nemici (nemmeno i Sifu avversari scenderanno in battaglia da soli, anzi saranno sempre accompagnati da un paio di sgherri) difficilmente, e solo nelle fasi iniziali, saranno davvero equilibrati. Il problema è che questa difficoltà non può davvero dirsi voluta o calcolata, anzi, sembra frutto di una programmazione approssimativa dell’intelligenza artificiale e dei pattern d’attacco avversari.
Infatti, portare a termine combo e schivate potrebbe risultare più difficile del previsto, dal momento che sembra quasi che ai movimenti avversari manchino frame o addirittura intere animazioni. Questo renderà gli attacchi nemici estremamente letali e capaci di interrompere sul nascere qualsiasi nostro attacco, “piccolo” particolare che potrebbe rendere frustrante l’esperienza a causa di una difficoltà artificiale probabilmente nemmeno voluta nei piani originali degli sviluppatori.
Biomutant però non si compone soltanto di scontri a suon di mosse di kung-fu e sparatorie, anche enigmi ed esplorazione costituiranno una significativa parte dell’esperienza. I primi saranno letteralmente il punto più basso della produzione, banali e ripetitivi, mai realmente impegnativi; un vero peccato dal momento che vengono accompagnati dalla brillante intuizione di essere risolvibili con un numero di mosse proporzionali all’Intelligenza del personaggio.
Ho invece amato l’esplorazione, sia per la direzione artistica da cui è caratterizzato il mondo di gioco (aspetto della produzione che verrà analizzato più avanti) che per la varietà con cui è possibile affrontarla. Ben presto si potranno infatti sbloccare delle cavalcature, prima esclusivamente di terra, poi anche marine, fino a sbloccare un aliante che ci permetterà di planare per lunghe distanze.
A movimentare il ritmo delle fasi esplorative c’è poi un’incredibile quantità di dungeon e punti di interesse da esplorare per trovare equipaggiamento e Reliquie del Mondochefù, ovvero “antichi” reperti umani che trovano tutt’altra funzione in questo nuovo mondo postapocalittico. Infine, ci imbatteremo anche in aree contaminate e inizialmente inesplorabili: per poterle superare dovremo aumentare abbastanza le nostre resistenze a tale contaminazione o portare a termine apposite missioni secondarie per recuperare tute adatte alla sopravvivenza in queste zone.
Un quadro immenso e meraviglioso sulla carta, ma c’è un ma…
Questa scena l’ho già vista!
Una delle cose (non l’unica purtroppo) che più mi ha lasciato perplesso di Biomutant è il fatto che a una cornice così ricca e variegata corrisponda uno scheletro estremamente e inspiegabilmente ripetitivo, un vero peccato per un titolo che, a conti fatti, si è rivelato senza dubbio coinvolgente e intrigante.
Mi spiego meglio, se la varietà delle missioni secondarie, per quanto raramente si vari dal tema delle fetch quest, riesce a non risultare pesante grazie alle numerose distrazioni che troveremo lungo il nostro cammino, le varie trame principali presenteranno una pedissequa ripetizione e risulteranno sempre uguali a sé stesse, non simili, letteralmente uguali, un vero e proprio copia e incolla!
Naturalmente non scenderò nei dettagli per evitare ancora una volta spoiler, ma affrontare i vari Sifu e i Mangiamondo si rivelerà una procedura sempre identica a sé stessa, e gli sviluppatori non si sono sforzati nemmeno per un momento di dissimulare questa ripetitività, ma al contrario si sono assicurati di far ripercorrere al giocatore esattamente gli stessi identici passi ogni volta.
Una scelta probabilmente dettata da esigenze produttive di un team così ridotto, ma che probabilmente si sarebbe potuta evitare con un minimo di sforzo in più e qualche piccola variazione sul tema a cui sviluppatori e sceneggiatori che si sono rivelati comunque brillanti avrebbero potuto pensare senza alcuno sforzo. Un’occasione sprecata che potrebbe stuccare molti e portarli ad abbandonare il controller molto prima di arrivare ai titoli di coda.
La grafica dà, il sonoro toglie
Anche dal punto di vista del comparto tecnico, Biomutant soffre purtroppo di alcuni problemi, ma in questo caso il discorso è più complesso e non si può ridurre solo alle dimensioni esigue del team di sviluppo. Va subito specificato che la prova del gioco per la recensione è stata fatta su PlayStation 5, ma il titolo è attualmente previsto per old-gen (PlayStation 4 e Xbox One) e PC.
Il titolo quindi si trova nel delicato limbo delle tipiche produzioni che sbarcano sul mercato nel primo anno di vita delle nuove generazioni, ma che non possono vantare una trasposizione cross-generazionale, e che rimangono quindi ancorati a quella precedente. Se in altri casi questo sarebbe passato in secondo piano, gli utenti Sony che stanno già apprezzando il nuovo hardware avranno notato quanto l’SSD renda palese questa volta il salto generazionale e quanto sia difficile tornare indietro, soprattutto nell’ottica dei caricamenti.
Dopo aver provato la velocità di caricamento praticamente nulla di titoli come Spider-Man: Miles Morales o Returnal, è straniante dover attendere davanti a una schermata fissa tra un viaggio rapido e l’altro, c’è da dire però che il mondo di gioco è talmente ricco e bello a livello visivo che spesso, a meno di casi estremi come il dover percorrere letteralmente tutta la mappa, sarà preferibile mettersi in sella a una delle tante cavalcature disponibili e iniziare il nostro cammino lasciandoci meravigliare da ciò che ci circonda.
Va spezzata però una lancia a favore di un level design talmente ben calibrato e con dungeon ed esterni così ben connessi tra loro che l’esplorazione non avrà alcuna soluzione di continuità, e in questo caso, al contrario di quanto affermato in precedenza, è sorprendente la mancanza totale di caricamenti tra un’area e l’altra. Passeremo da autostrade in rovina che hanno ceduto il passo alla natura selvaggia, in puro stile Horizon Zero Dawn, a edifici abbandonati che ricordano molto gli ultimi scampoli di civiltà visti nei due The Last of Us, fino a tuffarci nel ventre della Terra in grotte sotterranee un po’ meno ispirate del resto.
Il comparto grafico presenta degli ovvi limiti, ma Experiment 101 è riuscita a fare un lavoro incredibile quantomeno sul mondo di gioco, mi sono soffermato più volte a giocherellare con piacere con la Modalità Foto, semplice ed essenziale proprio perché gli scenari sono già di loro dei perfetti set naturali, con degli effetti di luce soddisfacenti e una vitalità dell’ambiente non da poco considerando il genere e le premesse produttive. Sarà un piacere continuo vedere il vento spazzare le distese d’erba interrotte da ciò che resta della precedente civiltà umano, in un mix davvero suggestivo.
Questo mondo così bello però è popolato da creature non proprio piacevoli alla vista purtroppo; la varietà di personaggi che si potranno incontrare (sia come NPC che come nemici) è sbalorditiva, ma molti purtroppo hanno tratti che vanno in contrasto tra loro restituendo dei modelli non proprio convincenti, questo si riflette anche nelle animazioni dei movimenti, che talvolta risultano stranianti. Fortunatamente, questo senso di straniamento viene mitigato dalla trovata molto fumettistica di introdurre balloon e onomatopee durante gli scontri, caratteristica che ci porta alla mente i tratti umoristici dell’opera (che in più occasioni tende a prendersi un po’ troppo sul serio).
Dal punto di vista sonoro, come ossessivamente ripetuto nel corso dell’intera recensione, ci sono alti e bassi. Biomutant può contare un cast di doppiatori italiani letteralmente stellare, tra cui spicca su tutti Emanuela Pacotto (la storica voce di Bulma e Jessie del Team Rocket) che interpreterà la nostra “parte luminosa”. A fare da voce narrante per l’intero viaggio c’è Gianni Quillico (storica voce dell’Uomo Ragno nelle prime serie animate ed estremamente presente sulla scena del doppiaggio videoludico).
Queste voci di tutto rispetto però non vengono sempre utilizzate nel migliore dei modi, proprio il narratore dell’intera campagna si rivelerà talmente invadente e ripetitivo anche nelle fasi più rilassate che a un certo punto il gioco stesso ci chiederà se vogliamo rimuovere le sue interazioni vocali casuali. Come se non bastasse, gli sviluppatori hanno compiuto una scelta decisamente fuori luogo, ovvero affidare al narratore anche i dialoghi diretti tra personaggi; questa scelta rallenta pesantemente il ritmo di gioco, infatti in ogni dialogo dovremo attendere che il personaggio termini una sequenza di versi incomprensibili e poi ascoltarne la traduzione dal narratore, un processo a dir poco macchinoso e fuori luogo per un titolo così verboso.
Anche la colonna sonora purtroppo pecca non solo per la scarsa originalità, ma anche per il suo essere spesso fuori luogo rispetto alle situazioni proposte dal gioco. Ci saranno fasi davvero tese e concitate, in cui effettivamente sentiremo sulle spalle il peso della nostra missione, le tracce pacate e rilassanti che accompagnano certi frangenti risultano fin troppo stridenti.
In conclusione, Biomutant (ancor più di altri titoli) va inquadrato nel suo contesto per essere giudicato adeguatamente, ovvero il progetto d’esordio di un team indubbiamente talentuoso che è stato però limitato dal particolare momento storico per il mercato videoludico e dai mezzi esigui a disposizione della software house. Il titolo riesce comunque a consegnare ai giocatori un’esperienza suggestiva, ma grezza e arretrata sotto diversi punti di vista (e che per certi versi nasconde anche un’efficace messaggio ecologista), un’occasione in parte sprecata che potrebbe però rivelarsi una buona base di partenza per lavori futuri.