Da anni ormai, l’ondata di prodotti a tema zombie sembra non avere davvero intenzione di cessare. I morti viventi sono uno di quei temi che non se ne sono mai davvero andati dai vari media, pensiamo al cinema e a tutti i successori de L’alba dei morti viventi di Romero, videoludicamente parlando poi è impossibile non citare la saga di Resident Evil e tutti i prodotti analoghi come Dead Rising, Dying Light o il recente Tormented Souls (vero e proprio tributo ai primi capitoli della storica serie di casa Capcom).
Quando, nell’ormai lontano 2010, The Walking Dead è passato dalla carta stampata a una vera e propria invasione mediatica tramite piccolo schermo, il genere con protagonisti i morti viventi è tornato alla ribalta, ma era ormai chiaro che, come tutte le cose, c’era bisogno di reinventare la tematica per non andare incontro alla noia degli utenti.
Uno degli “esperimenti” che mi ha lasciato indubbiamente più perplesso negli ultimi anni è stato iZombie, serie televisiva in cui la protagonista, una giovane e bella detective, muore, ma torna subito in vita coi poteri da… zombie. Ora, posto che questi “poteri” per me consisterebbero solo nel muoversi molto lentamente e nel decomporsi inesorabilmente, non pensavo avrei mai più rivisto quest’idea riproposta, invece Deadcraft, l’oggetto di questa recensione, è riuscito a farmi ricredere!
In Deadcraft infatti vestiremo i panni di Reid: mezzo uomo, mezzo zombie, e mi sentirei di dire anche mezzo pazzo, dati i toni scanzonati con cui l’avventura del taciturno protagonista prosegue. Si tratta di un gioco decisamente strano, che mette nel calderone della produzione probabilmente più elementi di quanti ne riesca a gestire a dovere, ma diamo un’occhiata più nel dettaglio a questo bizzarro survival!
Più piaghe che in Egitto!
Deadcraft non vuole assolutamente prendersi sul serio, e lo mette in chiaro fin dalle primissime battute. L’incipit narrativo è quanto di più bizzarro ci si possa infatti trovare davanti, un chiaro riferimento agli improbabili effetti domino quasi casuali dei peggiori film di serie B: un asteroide colpisce la Terra, ma l’umanità riesce in parte a contenere i danni e a sopravvivere, ma non finisce qui! Questo roccioso turista spaziale ha infatti portato con sé un virus alieno che trasforma ben presto i sopravvissuti nei più classici dei morti viventi.
In una società ormai devastata, che ricorda tantissimo opere come Mad Max e Hokuto no Ken, in cui ormai vige la legge del più forte, prende il via l’avventura del nostro protagonista Reid. Che, come anticipato, è riuscito effettivamente a sopravvivere al virus, acquisendo forza e resistenza sovraumane; l’ingresso in scena del ragazzo è rocambolesco, dopo un duro scontro nel quale rimane in fin di vita (o in fin di morte a seconda dei punti di vista), dovrà vagare nel deserto e rimettersi in sesto per mettere in atto la sua vendetta.
Niente di particolarmente cervellotico in effetti e va anche bene così, la trama sarà effettivamente molto leggera da seguire, ma col giusto mordente che dà la voglia al giocatore di proseguire, e soprattutto rimane coerente a una scrittura scanzonata e ricca di personaggi bizzarri (che ho letteralmente amato e che mi hanno strappato più di una risata), in puro stile Marvelous, software house che ha collaborato allo sviluppo e può vantare di aver lavorato a titoli fuori di testa come alcuni Senran Kagura, e i porting dei primi due No More Heroes su Nintendo Switch.
Dovrai sopravvivere… o soprammorire?
Come accennato in precedenza, le disavventure del nostro Reid avranno luogo nella più classica delle ambientazioni desertiche postapocalittiche, la parola d’ordine sarà quindi una soltanto: sopravvivere! A complicare questa basilare impresa ci saranno non solo le condizioni climatiche avverse, ma anche orde di morti viventi che vorranno banchettare con le nostre carni.
Deadcraft mette quindi in piedi un bizzarro gameplay, che in parte funziona anche molto bene, e che unisce un combat system hack’n’slash con visuale isometrica e una forte componente gestionale e di crafting. Quello che mi ha lasciato particolarmente perplesso però è stata la curva di difficoltà, decisamente proibitiva nelle battute iniziali, specialmente se messa a confronto con ciò che si presenta nelle fasi più avanzate del gioco che risultano molto più accessibili.
Il nostro Reid infatti per sopravvivere dovrà tenere d’occhio una moltitudine di barre e statistiche che spaziano dai classici PS alla barra della sete, che una volta terminata inizierà a intaccare gradualmente quella della salute; al tutto poi va aggiunto il vigore, che scenderà a ogni azione come rotolare o attaccare, dovremo quindi fare attenzione a centellinare letteralmente tutte le nostre azioni per non rimanere a corto di vigore nelle situazioni più critiche e perire nel deserto.
Analizzando però separatamente le due componenti di gameplay, il combat system, per quanto classico e che ricorda leggermente lo stile diablolike, soffre un po’ di una scelta abbastanza risicata nelle azioni a nostra disposizione, nel quale rientreranno semplicemente attacchi (leggeri e pesanti), schivate, parate e la possibilità di utilizzare il nostro braccio zombie per tecniche devastanti. Il tutto poi si combina a una responsività dei comandi non proprio eccellente, e anzi legnosa in più di un’occasione.
La componente di gameplay che riguarda crafting e gestione delle risorse si è rivelata invece decisamente più interessante. Il gioco ci mette davanti a un loot continuo e sempre più bizzarro (ci ritroveremo a fare uso anche di chitarre elettriche da utilizzare come strumento di morte, o meglio ri-morte, in puro stile Dead Rising), e soprattutto il crafting ci verrà presentato come essenziale fin dalle primissime ore di gioco, ed è un’ottima scelta, data la cura col quale gli sviluppatori hanno messo in piedi un sistema articolato, ma tutto sommato lineare e non troppo complesso.
La quantità di risorse da craftare e la varietà di alternative disponibili mi ha ricordato da vicino Minecraft (e penso che sia stata l’intenzione degli sviluppatori fin dall’inizio, un’intenzione esplicitata perfino dal titolo Deadcraft), e ha contribuito a rendere sempre gradevole e variegata la progressione. Insomma, sulla carta il titolo mette in piedi una struttura unica nel suo genere che funziona sotto praticamente tutti i punti di vista… se presi singolarmente, ma che purtroppo traballa nel suo complesso, soprattutto a causa di una realizzazione che in generale non può vantare il budget di produzioni AAA.
Comparto tecnico: mezzo vivo, mezzo morto…
Allo sviluppo di Deadcraft ha partecipato anche la software house Marvelous, ed è un dettaglio che mi sento di ribadire parlando del comparto tecnico. Fin dalla cutscene iniziale infatti, lo stile generale della produzione mi ha ricordato opere come i già citati No More Heroes, e soprattutto anche il meno fortunato (e conosciuto) God Eater 3 (un Monster Hunter che, almeno in Occidente, non ci ha creduto abbastanza).
Dal punto di vista grafico e stilistico, si tratta di produzioni che basano gran parte del proprio appeal su un comparto grafico cartoonoso volutamente “cheap”, che va a risparmio di dettagli e definizione in pratica, con proporzioni molto spesso sballate e fisionomie e architetture estremamente improbabili. Il tutto crea un ottimo effetto, accompagnato soprattutto da colori molto saturi (ciò che accomuna il titolo a God Eater 3 in quanto a veste grafica) che si sposano alla perfezione con l’ambientazione desertica.
Perfetta per il mood del gioco è anche la colonna sonora, che punta su sonorità rock e metal in cui i riff di chitarra elettrica dominano gli scontri e le sezioni più adrenaliniche, purtroppo però, nonostante l’ottima premessa relativa alle tracce, le stesse si rivelano estremamente dimenticabili, manca purtroppo quel pizzico di unicità che non le renda un semplice esercizio di stile e un accompagnamento necessario, un’occasione, purtroppo, mancata.
Tra i nei della produzione rientra, infine, il problema di input lag a cui accennavo nella sezione relativa al gameplay, che non si limita purtroppo alle sole fasi di combat system, ma va a toccare anche altri ambiti come ad esempio la navigazione tra i menù (che, a tal proposito, presentano una delle mappe peggiori mai realizzate, a mio avviso) e, occasionalmente, anche in alcune fasi di esplorazione.
In conclusione, Deadcraft propone un mix insolito quanto unico nel quale si incontrano crafting, esplorazione, combattimento hack’n’slash e un pizzico di GDR che non guasta mai. Il mix in questione però è riuscito solo in parte, in quanto non tutte le idee riescono a trovare lo stesso spazio e sotto alcuni punti di vista la produzione cede a una realizzazione che poteva contare mezzi inferiori rispetto a quelli necessari per la produzione di un’idea simile. Tutto sommato però si tratta di un’alternativa originale che vale la pena giocare anche solo per curiosità!