Quando nel 2019 il tanto atteso Death Stranding fece il proprio debutto su PlayStation 4, l’intera community di appassionati fu animata da una discussione relativa ai generi videoludici. La nuova opera del maestro Hideo Kojima è stata (e continua a essere tuttora) talmente fuori dagli schemi che inquadrarla in un singolo genere non sarebbe solamente difficile, ma anche riduttivo, e non riuscirebbe a cogliere l’essenza di uno dei titoli che ancora oggi, a quasi tre anni dal lancio, si inserisce tra i più divisivi di sempre in quanto ad apprezzamento da parte del pubblico.
Death Stranding è stato sicuramente il casus belli, un po’ per il suo essere il primo lavoro di Kojima dopo Metal Gear, un po’ perché in molti hanno deciso di affibbiargli l’etichetta di Bartolini simulator senza nemmeno averlo giocato; eppure, in molti titoli si sono rivelati in grado, nel corso degli anni, di uscire dagli schemi: mi viene istantaneamente da pensare ad Undertale e Nier Automata, che vengono etichettati come GDR e Action GDR quasi per la paura da parte del pubblico di non poterli inserire in uno schema, ma che al loro interno celano una varietà di situazioni e gameplay che è un crimine identificarli con un genere solo.
Deliver Us the Moon, l’oggetto di questa recensione, mi ha messo in difficoltà tanto quanto fece Death Stranding all’epoca nel definirlo: sarò onesto, non mi sento di riuscire a trovare un genere d’appartenenza per questo titolo. Gli elementi da walking simulator, punta e clicca e puzzle game (i tra generi portanti che costituiscono il vero e proprio scheletro del gameplay) sono fusi talmente bene e senza soluzione di continuità che dare un’etichetta al gioco significherebbe a tratti banalizzarlo, e Deliver Us the Moon è tutto, fuorché un’esperienza banale. Analizziamolo più nel dettaglio!
Un futuro non così improbabile… purtroppo
Le premesse narrative di Deliver Us the Moon sono amarissime, poiché estremamente reali, non realistiche, decisamente reali! Il titolo infatti decide di parlare di uno dei problemi più pressanti per quanto riguarda la società odierna a livello globale, ovvero la crisi energetica, con gli obiettivi dell’Agenda 2030 ormai falliti con abbondante anticipo, non trovare soluzioni energetiche alternative sarà un problema che pian piano, anzi, non così piano, diventerà irrisolvibile.
Non a caso infatti, l’elemento che dà il via a tutta la trama è la cosiddetta Grande Crisi Energetica e avviene, guardacaso, proprio nel 2030. Il genere umano, con una Terra ormai completamente priva di risorse, decide di rivolgere lo sguardo alla Luna, e l’isotopo Helium-3 sembra essere la soluzione; parte così una massiccia colonizzazione del nostro satellite che dura circa vent’anni, finché un misterioso blackout non interrompe tutte le comunicazioni tra Luna e Terra, nonché l’approvigionamento energetico, riportando la situazione al punto di partenza.
Gli eventi di gioco hanno inizio nel 2059, cinque anni dopo la conclusione di questa sconfortante premessa, e ci mettono nei panni di un astronauta inviato in missione per scoprire cosa sia realmente successo sulla Luna e per tentare di ristabilire un contatto col satellite che possa rimettere in moto non solo le comunicazioni, ma anche il rifornimento energetico per la Terra.
A mio avviso, il più grande merito della narrazione di Deliver Us the Moon sta nel suo riuscire a riportare al giocatore due trame parecchio distanti tra loro, soprattutto a livello di portata. Da una parte infatti abbiamo una storia che coinvolge l’intero genere umano e la speranza nel futuro, a trainare questo grande dramma collettivo però è una storia molto più intima che coinvolge solo il protagonista, e lo mette al centro di riflessioni personali che coinvolgono però il giocatore stesso.
Il nostro astronauta infatti non avrà un volto, e nel corso del gameplay si alterneranno fasi in terza e in prima persona, con queste ultime che andranno ad alimentare il senso di immersione e immedesimazione che il giocatore può provare. A corredo del tutto, la nostra avventura sarà praticamente costantemente in solitaria, e le uniche interazioni saranno contatti radio in remoto, e ologrammi e fil audio sparsi qua e là per la base spaziale che ci permetteranno di ricostruire (non senza colpi di scena tra l’altro) gli eventi che hanno portato allo spegnimento della colonia spaziale.
Insomma, la trama, per quanto ricca e ottimamente strutturata, ha il pregio di lasciare al giocatore anche molto spazio per i propri pensieri e riflessioni, che poeticamente vanno anche a riempire il vuoto dello spazio sconfinato che spesso e volentieri, nelle sezioni giocate all’esterno della base, ci ritroveremo davanti. Se posso trovare un’unica pecca a un impianto che mi ha convinto non poco è che Deliver Us to The Moon, con il suo arrivo su console next-gen, è ormai alla sua terza release, ed è un vero peccato il fatto che il team di sviluppo non abbia pensato (o non abbia, purtroppo, le risorse necessarie) a un supporto alla realtà virtuale, sarebbe stata perfetta in questo contesto e avrebbe portato, naturalmente, al suo apice l’immersività.
Un gameplay… spaziale!
Come anticipato in apertura, definire il genere videoludico a cui Deliver Us the Moon appartiene è decisamente complesso, non si può parlare di un genere solo e anzi, più di una volta ho avuto l’impressione che ogni sezione di gameplay facesse storia a sé, come se il titolo fosse in realtà stato rilasciato in capitoli, ognuno diretto da un game designer differente.
Per quanto ci sia questa diversità, va riconosciuto che le meccaniche di fondo che caratterizzano il gioco sono indubbiamente quelle di un puzzle game, ma con una forte componente da punta e clicca, come se ci trovassimo davanti a un’avventura grafica in 3D. In buona sostanza, la nostra missione di esplorazione nella nave spaziale abbandonata sarà composta da enigmi in successione che ci permetteranno di avanzare nella trama.
Non si tratterà ovviamente di enigmi fini a loro stessi, una volta che ci sarà comunicato un obiettivo, il raggiungimento dello stesso si articolerà in più fasi: prendendo come esempio le battute iniziali del gioco, dovremo occuparci di far partire il razzo che ci porterà sulla Luna, per farlo dovremo però prima attivare la sequenza di lancio cliccando degli interruttori ed eseguendo poi una manovra con diversi step da seguire nell’ordine giusto, in tutto ciò poi ci sarà spazio anche per una piccola fase “action” con tanto di countdown per salire in tempo per il lancio sul razzo che va a rendere il gameplay ancora più variegato.
Anche quando il gameplay si assesta principalmente sul puzzle game, la varietà proposta è comunque tale da non annoiare mai il giocatore è anzi creare un ritmo accattivante e che rende davvero difficile staccarsi dallo schermo! Si passa da fasi esplorative più standard, nel quale potremo decidere anche di esplorare la lore e gli eventi dedicando qualche momento all’ascolto degli audio sparsi per la nave, ad altre a gravità zero in prima persona, fino ad arrivare a sezioni nel quale saremo fuori dalla base spaziale e dovremo letteralmente lottare per sopravvivere.
Non ci saranno nemici a metterci in pericolo, sia chiaro, la vera lotta sarà quella contro noi stessi: non rimanere estasiati dalla vista dello spazio infinito e della Terra in lontananza sarà praticamente impossibile, a ostacolare il nostro desiderio di rimanere per ora a contemplare il paesaggio lunare però ci sarà l’ossigeno della tuta che scarseggia, facendo quindi riaffiorare anche in queste sezioni un pizzico di quell’anima action che gli sviluppatori hanno voluto donare al gioco.
Comparto tecnico ottimo, ma…
Come anticipato, dopo un passaggio in esclusiva su PC nel 2019, e un lancio su console nel 2020, Deliver Us the Moon è ormai alla sua terza release per le console next-gen, una versione che, purtroppo, mi sento di definire abbastanza pigra. Già nelle sue iterazioni precedenti infatti il titolo era ottimizzato alla perfezione dal punto di vista grafico, le uniche migliore apportate per console next-gen sono quelle relative al ray tracing (implementato comunque alla perfezione considerata la quantità di fonti di luce e superfici riflettenti presenti nella base spaziale) e alla selezione della modalità grafica, ovviamente la scelta migliore si rivela anche in questo caso la modalità Prestazioni, ovvero quella che va a sacrificare leggermente la grafica, non permettendo una resa in 4K, ma che garantisce un granitico framerate a 60 fps.
Dal punto di vista sonoro il titolo pecca leggermente, non perché l’audio spaziale non sia ben implementato o altro, ma proprio perché la quasi totalità della nostra esplorazione sarà da un lungo silenzio che potremo interrompere ascoltando le registrazioni dei precedenti membri dell’equipaggio. Rimane quindi parecchio difficile dare una valutazione vera e propria a questo aspetto, va però precisato che il doppiaggio dei dialoghi e dei monologhi (in lingua inglese) è comunque ottimo, e riesce a trasmettere una vasta gamma di emozioni a seconda di ciò che viene comunicato nei dialoghi.
Allora perché questa nuova versione di Deliver Us the Moon è così pigra? Semplicemente, non ci ho visto davvero nulla di next-gen; le implementazioni grafiche non sono nulla che non si sia già visto nelle versioni PC, e avendo giocato il titolo su PlayStation 5 è stato un brutto colpo notare che le funzioni del DualSense non siano state sfruttate praticamente per niente, senza dubbio un’occasione mancata.
In definitiva, Deliver Us the Moon è un titolo che in una parola riassumerei come “rilassante”, un’esperienza che accompagna i giocatori con un ottimo ritmo, mai monotono, ma nemmeno forsennato. Ben sceneggiato dal punto di vista narrativo e con un gameplay che pensa fuori da ogni possibile schema: un gioco unico che è difficile rapportare ad altre esperienze (se non alcune puramente narrative come l’ottimo The Vanishing of Ethan Carter) e che vale indubbiamente la pena giocare!