L’italianissimo publisher 505 Games, che ha nel proprio portfolio una cornucopia di nomi importanti quali Control di Remedy Entertainment (2019) e la versione PC di Death Stranding (2020), ha collaborato di recente con una software house romena, l’esordiente FAN Labs, pubblicando il loro Open Country, un survival rilasciato a inizio mese che risulta nel complesso ben riuscito, nonostante qualche incertezza a livello tecnico che purtroppo lo penalizza non poco.
Andiamo a scoprire più nel dettaglio i punti di forza e le debolezze di questa sfida alla natura selvaggia!
“On the road again”
A quanto pare, Willie Nelson non è il solo ad essere impaziente di tornare ‘di nuovo in strada‘. La voglia di lasciare le numerose giungle urbane che punteggiano il globo può acchiappare chiunque e in ogni luogo. Proprio questo è il caso del nostro (o della nostra) protagonista, che, sentendosi oppresso dal proprio lavoro d’ufficio e scombussolato dal traffico della città in cui, opera una scelta drastica e così, date le dimissioni e raccolte le proprie cose, fila via verso la libertà della ‘aperta campagna‘ (in inglese, per l’appunto, ‘open country‘).
Il suo lungo peregrinare in camper (ogni riferimento al Walter ‘Heisenberg’ White nazionale americano è puramente casuale) lo porta allo Chalet di Picco Innevato, un vero e proprio luogo di ritrovo per i prepper locali (se hai giocato Far Cry 5 sai già cos’è un ‘prepper’, se no, beh, ti basti sapere che è un individuo che sa bene come cavarsela letteralmente da solo. Un cosiddetto ‘survivalista‘, se vogliamo). In questo locale rustico conosce e fa amicizia con Gary, il proprietario, che lo mette in contatto con vari personaggi, i quali gli assegneranno di volta in volta vari lavori da portare a termine nelle tre aree circostanti il posto, ricche di risorse da raccogliere e animali da cacciare.
Open Country è sinonimo di ampi spazi… forse troppo ampi
Le vicende del protagonista di Open Country, che come già si è capito è personalizzabile anche a livello di sesso (sebbene la personalizzazione fisica iniziale sia piuttosto blanda), si articolano proprio in una serie di incarichi proposti al protagonista. Onde accontentare i nostri vari datori di lavoro dovremo recarci in tre aree ognuna diversa dall’altra ma con in comune il fatto di essere di certo ispirate alle aree montagnose e ricche di vegetazione degli Stati Uniti nordoccidentali, che noi gamer abbiamo avuto già occasione di visitare in titoli come il summenzionato Far Cry 5 e Days Gone, ambientati rispettivamente in Montana e in Oregon.
La prima mappa si chiama Colli tranquilli e presenta un bioma estiva con vasti campi fioriti e specchi d’acqua illuminati dal sole. Abbiamo poi la Valle di Tumnus (sì, è lo stesso nome del fauno nel film Le cronache di Narnia – Il leone, la strega e l’armadio del 2005), un paesaggio autunnale ed ingiallito percorso da un fiume ricco di pesci e punteggiato da caverne naturali, avventurandoci nel quale verremo spesso sorpresi da improvvisi temporali, i quali metteranno a dura prova la nostra tempra fisica. Infine c’è Picco innevato, che come il nome tradisce è un’ambientazione montuosa caratterizzata dalla neve e dal gelo.
Il nostro vagare in questi spazi non contaminati dalla presenza umana (tranne qualche rifugio in rovina qua e là) ci porterà all’incontro/scontro con varie specie animali tipiche del Nord America: da maestosi alci fino a famelici lupi e orsi, passando per bestie più particolari quali l’armadillo o il castoro e volatili come la mareca. Non manca neanche la pesca, le cui zone saranno marcate sulle tre mappe di gioco. Non saremo da soli molto a lungo, infatti, a early game quasi terminato, ci verrà affiancato Bob, un nerboruto amico a quattro zampe simile a un terranova che ci assisterà nelle nostre spedizioni.
Caccia e raccolta, come in ogni survival che si rispetti, sono fondamentali per sopravvivere. Bisogna inoltre fare attenzione a ciò che si mangia e si beve: consumare un pezzo di carne cruda o bere dell’acqua non preventivamente bollita ci faranno venire i vermi nello stomaco, che si traducono nella necessità di trovare una cura (craftabile o acquistabile) oppure, spiacevole alternativa, a mangiare di più e più spesso per evitare di morire di inedia o di ricevere i malus per fame estrema (e.g. vista annebbiata).
Anche a livello di movimenti occorre estrema cautela: saltando da troppo in alto o rimanendo troppo spesso senza fiato potremmo subire danni quali lesioni muscolari o fratture, le quali comportano malus quali l’impossibilità di correre, saltare o maneggiare determinati oggetti.
Il crafting è abbastanza vario ed appagante, al netto di qualche legnosità, soprattutto nell’early game, nel recupero delle risorse. Esse sembrano infatti posizionate totalmente a caso nelle mappe, mentre in altri titoli survival il processo di raccolta è grandemente agevolato e reso meno pressante dalla memoria del giocatore. Questo rende l’early game del titolo veramente lento da giocare, quando invece l’early game dovrebbe essere un momento di ‘studio del gioco‘. L’unica giustificazione sembra essere una non dichiarata idea da parte degli sviluppatori di creare un survival in salsa trial and error, meccanica che tuttavia si accorda molto poco con il genere.
Come si è anticipato poco fa, ad affiancarci nell’avventura c’è il cane Bob, che bisogna parimenti nutrire in modo tale da accrescere il legame con lui e quindi le capacità, compreso il non fuggire in caso di scontri con predatori. L’aiuto di Bob garantisce agevolazioni per quanto riguarda il cercare le nostre prede e il recuperarle (e.g. colpendo un volatile dalla distanza si può dare ordine a Bob di andare a recuperarlo al nostro posto, consentendoci di mietere più vittime, se necessario).
A complicare la cosa c’è l’IA del nostro amico uggiolante, la quale non è per niente ottima e finisce per provocare fastidio nel giocatore, soprattutto nei momenti in cui scappa da tutt’altra parte anche quando gli si è dato l’ordine di seguirci o di stare fermo. L’impossibilità di lasciarlo alla base potrebbe inoltre risultare troppo scomoda per i gamer più ‘lupi solitari‘ che non amano molto avere compagni di viaggio, utili o inutili che siano.
L’esplorazione, anch’essa inizialmente troppo lenta in ragione della vastità delle mappe (vastità che, come spesso succede, riserva qualche punto morto di troppo), verrà in seguito accelerata grazie alla possibilità di spostarsi a bordo di mezzi meccanici, rispettivamente un quad per le mappe estiva ed autunnale e una motoslitta per quella invernale.
FUN Labs potrebbe aver fatto il passo più lungo della gamba
Un bell’applauso FUN Labs lo merita di sicuro, indipendentemente dalla riuscita o non riuscita di Open Country. Il motivo è semplice: in un mondo dove diverse software house si presentano su Steam con titoli creati usando (ed abusando di) motori grafici di utilizzo molto ‘popolare‘ quali l’ormai sempreverde Unity o, qualche anno fa, il forse meno famoso (ma sempre nel cuore dei fan del youtuber Kenneth “Zeb89” Caselli) GameGuru, questi ragazzi e ragazze provenienti dagli ex-confini orientali dell’Impero romano hanno coraggiosamente scelto di adoperare Unreal Engine, forse anche in ragione del publisher importante a cui si sono affidati/e.
Sebbene la scelta sia impegnativa e degna di lode, purtroppo il risultato finale non è stato il massimo: le animazioni del titolo infatti sono davvero troppo legnose, datate ed imprecise. Anche le interazioni tra il personaggio e l’ambiente risentono di questa problematica. Per fare un esempio, a volte un oggetto risulta raccoglibile da due metri virtuali di distanza, altre volte bisogna addirittura accovacciarsi per prendere un item su cui il personaggio sta letteralmente sopra. Un altro caso ancora riguarda sempre il sopracitato Bob, che a volte zampetta allegramente per conto proprio mentre il personaggio lo sta, in teoria, accarezzando.
Se non altro, a livello di fisica, gli animali muoiono dopo essere stati colpiti. È già qualcosa, no? Non si riscontrano inoltre bug pesanti quali crash o input lag (questi ultimi in pochissimi casi) e il frame rate è stabile e scorrevole.
Neanche a livello estetico il titolo da il meglio di sé. Anche in questo caso il design tanto degli ambienti quanto dei personaggi risulta estremamente datato, tanto da sembrare un titolo uscito nel 2010. Le interfacce hanno anch’esse un aspetto datato e minimalista che le rende sgradevoli da spulciare.
Nota dolente anche per il doppiaggio, estremamente piatto nonostante l’egregia scrittura dei dialoghi. Il gioco gode inoltre di una localizzazione italiana unicamente testuale e anche ben fatta che tuttavia risulta incompleta in alcuni punti, cosa che non dovrebbe succedere mai e poi mai. Il sonoro, di contro, è abbastanza preciso e di qualità, mentre la colonna sonora è probabilmente uno degli aspetti più riusciti e piacevoli di Open Country: una serie di allegri e ritmati brani di genere country pop che si farebbero amare anche dal più intransigente appassionato di musica progressiva esistente.
Un passo alla volta!
Proprio questo è il consiglio che ci sentiamo di dare a FUN Labs. Open Country è stato probabilmente un esperimento ambizioso che è riuscito purtroppo solo in parte. Un ipotetico Bruno Barbieri videoludico potrebbe addirittura definirlo un ‘mappazzone‘ (con la ‘z’ rigorosamente sibilante, alla bolognese). Se si fosse trattato di un titolo più ridimensionato, quasi sicuramente avrebbe potuto essere un survival degno di essere giocato da chiunque, mentre, almeno allo stato attuale, bisogna davvero amare alla follia il genere per riuscire ad apprezzare il titolo malgrado le evidenti pecche a livello tecnico di cui soffre.