Viking Vengeance è un ispirato ibrido tra hack ‘n’ slash e GDR isometrico disponibile su Steam a partire dal 8 aprile 2021. L’opera è totalmente indipendente e segna l’esordio del team di sviluppo rumeno Lowpoly Interactive.
Tra un nuovo God of War lì, un Assassin’s Creed Valhalla qui e passando per un inaspettato Valheim che continua ad allargare il proprio seguito di giocatori, in questi ultimi anni i titoli a tema vichingo stanno spuntando come funghi e stanno letteralmente dominando il panorama videoludico. Viking Vengeance fa probabilmente parte di questa tendenza.
Si tratta di un gioco ricco d’ispirazione e dotato di una lore solida e complessa tanto quanto la trama, ma che purtroppo pecca di compromettenti carenze a livello tecnico. Tali problematiche non si limitano a pochi bug risolvibili con aggiornamenti di routine: stiamo parlando della vera e propria impossibilità di proseguire quella che altrimenti sarebbe una grande avventura degna di essere portata a termine fino in fondo onde svelarne i misteri, che sono veramente tanti.
Un guerriero, un Imperatore pazzo, un’incombente catastrofe
L’ambientazione di Viking Vengeance è una versione molto romanzata, se non del tutto fantasy, dell’Inghilterra alto-medievale, periodo in cui le fertili coste di quella che costituiva la conquista più settentrionale dell’Impero romano erano continuamente minacciate dalle scorrerie rapide e brutali dei predoni vichinghi provenienti dalla non troppo distante Scandinavia.
Tra questi c’è il nostro protagonista, il quale, fatto naufragio sull’isola di Britannia, si ritrova coinvolto nella Guerra Santa condotta contro i suoi conterranei dal monarca dell’isola, noto semplicemente come l’Imperatore (che è anche la voce narrante del prologo). Costui, determinato ad eradicare tanto gli sgraditi nuovi arrivati quanto il paganesimo stesso in nome del Cristianesimo, si è posto alla guida di un altrettanto romanzato Nuovo Ordine dei Templari, il quale incede determinato nella ricerca di ciò che, secondo i deliri mistici del misterioso sovrano, sarà la chiave per la vittoria: il mai troppo sfruttato narrativamente Santo Graal.
Il protagonista appartiene alla casta degli Indesiderabili, ovvero quei bambini norreni inquadrati tra i ranghi imperiali onde venire convertiti e perciò malvisti sia dai britanni che dalla loro stessa gente.
Nel contrastare i propositi di sterminio dell’Imperatore, il protagonista trova un improbabile alleato nel viandante Wotan (originariamente il nome germanico continentale dello stesso dio norreno Odino, il quale compare nel gioco come personaggio distinto e separato), il quale lo erudirà sulla situazione e gli sarà compagno nel corso dell’avventura. Il viaggio proseguirà da questa cupa versione dell’Inghilterra attraverso i Nove Mondi, dove faremo la conoscenza di versioni altrettanto romanzate ma riconoscibili di dei ed eroi della mitologia norrena.
Sangue e fede
Il gameplay di Viking Vengeance ricorda a prima vista quello dei titoli della saga di Sacred o gli stessi Diablo, ma in una versione estremamente semplificata e semplicistica: solo una razza (ovviamente umana) e due classi: razziatore ed esploratore (essenzialmente una classe corpo a corpo e una a distanza). Le tipologie di armi disponibili sono spada, ascia e martello da guerra per il primo, mentre per il secondo abbiamo arco e balestra. La scheda personaggio è anch’essa piuttosto semplice, con soli tre parametri da livellare man mano che si ottiene esperienza: Forza, Agilità e Sapienza.
La personalizzazione è anch’essa minimale: l’unica cosa che si può cambiare del personaggio è il nome, e, easter egg degli easter egg, il nome predefinito è il calzante e per nulla conosciuto Ragnar Lodbrok (sic).
Il level cap è rappresentato dal livello 25. Ogni due livelli raggiunti si ottiene una nuova abilità o nuovi pezzi d’equipaggiamento (la cui rarità sembra orchestrata in maniera piuttosto casuale: non si capisce come mai un item comune di livello 1 sia esattamente uguale in termini di benefici a uno mitico del medesimo livello).
Se è vero che i veri uomini non chiedono mai indicazioni, Viking Vengeance allora è un gioco per donzelle assetate di sangue: mappa e mini-mappa non dispongono di indicatori direzionali, ergo per orientarsi in quello che è un level design piuttosto intricato e orientato all’esplorazione è necessario fare domande agli NPC, i quali potrebbero anche affidarci occasionalmente delle brevi quest onde ottenere ulteriore esperienza.
Il combat system ricalca in tutto e per tutto quello delle saghe poc’anzi citate, con abilità attivate ricaricabili e passive alle quali si affianca la possibilità di scatenare un attacco divino tramite la spesa dei punti venerazione, ottenuti sempre tramite esplorazione e combattimento. L’attacco divino varia in base alla divinità “equipaggiata” prima del combat (si può scegliere tra Thor, Odino e Loki pregando ai loro rispettivi altari). Il combat, di per sé non molto ostico, è reso difficoltoso unicamente dalla comparsa di veri e propri pop-up tutorial in-game che non fermano l’azione del gioco, facendoci morire malamente in varie (e troppe) occasioni.
Ciò conferisce un senso di enorme frustrazione al giocatore, considerando il fatto che la morte è gestita in maniera simil roguelite, ovvero nel modo seguente: morendo si riparte dall’ultimo checkpoint (che il più delle volte coincide con l’inizio dell’area di gioco), a meno che non si paghino trecento gocce di sangue, valuta in-game droppata dai nemici sconfitti. In quest’ultimo caso risorgeremo lì dove siamo caduti con metà dei punti vita. Il conto è piuttosto salato considerando che il numero massimo di gocce di sangue cumulabili è cinquecento.
Le idee ci sono, manca la tecnica
I suddetti pop-up sono, in verità, l’ultimo dei numerosi problemi che affliggono Viking Vengeance.
Al netto di una grafica dall’estetica piacevole, così come di una colonna sonora rispettosa del periodo storico (per quanto romanzato) e di un sonoro nel complesso ben sincronizzato con quanto avviene in-game, abbiamo un framerate che cala vertiginosamente all’aumentare dell’affollamento durante il combat, col risultato che le situazioni più caotiche diventano totalmente ingestibili.
Fastidioso oltremisura è anche la probabilità di essere praticamente shottati dagli alberi che cadono, i quali dovrebbero servire in realtà per stunnare gli avversari (anche se, una volta tagliati, cadranno su di noi tre volte su due), costringendoci a spendere in maniera totalmente aleatoria le già citate gocce di sangue.
Anche per quanto riguarda la gestione dell’equipaggiamento e la navigazione in generale i bug non mancano. Equipaggiando una spada, potremmo tranquillamente ritrovarci con un’ascia in mano e conseguenti bonus e malus derivati. Livellare è un terno al lotto, in quanto c’è la probabilità di rimanere bloccati nel menù di potenziamento delle abilità, costringendo inevitabilmente al sempreverde Ctrl+Alt+Canc.
La lista potrebbe continuare, ma ci fermiamo con quello che è il malfunzionamento tra tutti più grave: appena entrati in quello che sembrerebbe il mid game, che prevede il passaggio da Midgard a Svartalfheim, succedono queste cose: il personaggio si resetta automaticamente e completamente, sia per quanto riguarda il livello che per quanto riguarda l’equipaggiamento; l’interfaccia si distorce e, per finire, il combat (da affrontare praticamente a mani nude per forza di cose) si trasforma in un immenso bug, non solo per quanto riguarda il framerate ma anche per le stesse animazioni e per i colpi sistematicamente a vuoto.
L’early access esiste. Usatelo!
Da questa esperienza, rovinosa dal punto di vista tecnico, risulta che Viking Vengeance sia essenzialmente un titolo in early access spacciato per gioco completo. Al di là del fatto che un prodotto, di qualunque natura, andrebbe finito non solo prima di essere commercializzato, ma anche di essere pubblicato (non leggo libri scritti a metà), al giorno d’oggi il rilasciare titoli in accesso anticipato è una pratica diffusa e, almeno così pare, bene accetta dalla maggior parte dei fruitori intorno al globo. Ne consegue che i ragazzi e le ragazze di Lowpoly Interactive avrebbero anche potuto avvalersene prima di fare una figuraccia del genere.
Se il gaming fosse una religione, lo spreco di un titolo come questo, che aveva tutte le carte per essere un’ottima avventura in salsa norrena, sarebbe considerato di certo un peccato mortale. L’unica speranza è un eventuale restauro tramite corpose patch, sulle quali tuttavia ricade il disonorevole compito di rendere il gioco giocabile, cosa che, per definizione, dovrebbe in teoria essere possibile fin dal day-one.