Il gaming è cambiato, i videogiocatori sono cambiati e la critica videoludica è cambiata, è successo tutto in fretta, in un processo che non era mai stato così veloce e che di tanto in tanto fa dei grandissimi salti avanti a cui quasi mai arriviamo pronti, per quanto sono imprevedibili. Per questo, la recensione di Elden Ring è così difficile da scrivere, e soprattutto è difficile trasmettere ciò che quest’opera rappresenta e può rappresentare per un videogiocatore che veste i panni di recensore senza poter smettere quelli dell’appassionato.
Perché mantenere la lucidità parlando di Elden Ring è un’impresa difficile, ma è nostro dovere farlo in sede di recensione. Sul nuovo mastodontico lavoro di FromSoftware se ne sono dette tantissime (e tante ancora se ne diranno), e l’aura di sacralità che ormai ammanta la software house nipponica sembra (almeno per ora) aver difeso il titolo dal classico review bombing che si abbatte su videogiochi tanto attesi, in maniera parecchio eclatante è stato il caso di The Last of Us Parte II, e di recente anche Horizon Forbidden West non è stato esente da critiche che puntavano su tutto, tranne che sul gioco, a conferma del fatto che la nuova avventura di Aloy confezionata da Guerrilla Games sia difficile da attaccare per i contenuti in sé.
Il caso di Elden Ring è opposto, il clamore è stato destato da una critica orientata nella sua quasi totalità verso il 10, il perfect score: nella nostra realtà l’Anello Ancestrale che dà nome al titolo è integro e splende più forte che mai. Ma è davvero così? Ci risiamo, come già accaduto con Cyberpunk 2077 i codici per le recensioni sono arrivati parecchio tardi nelle varie redazioni, e questo non ha fatto che alimentare quel brivido di paura e sconforto nei confronti di una storia già vista, che per fortuna stavolta ha un finale dai toni trionfanti e vittoriosi.
Mi sono perso nell’Interregno per decine di ore, e sono ben lontano dal voler terminare il mio viaggio: questo mondo magico, parto della mente di Hidetaka Miyazaki e della penna di George R. R. Martin è capace di stregare e di sorprendere di continuo il giocatore, con scorci e paesaggi sempre nuovi e mai visti, eppure la sensazione di essere a casa è forte, le strizzatine d’occhio ai veterani ci sono, e la gioia nel trovarle ha lo stesso effetto confortante di quando usavamo il miracolo Ritorno per tirarci fuori dalla Città Infame nel primo Dark Souls: le nostre anime erano in salvo e pronte a renderci più potenti.
E non cito il primo Dark Souls a caso: c’è stato un videogame prima della prima Anima Oscura e c’è stato un videogame dopo, FromSoftware ha settato un nuovo standard, e sono felice in veste di videogiocatore e appassionato di dire che dopo ben undici anni l’operazione è stata ripetuta, e non vedo l’ora di scoprire a cosa ci porterà in futuro. Passiamo quindi ad analizzare più nello specifico questo capolavoro (termine che tento di utilizzare solo se strettamente necessario), fatto di tanti pregi, ma che nasconde in sé anche qualche difetto.
Elden Ring, OH, ELDEN RING!
Squadra che vince non si cambia, e la dichiarazione di intenti di FromSoftware è subito chiara: la narrativa silenziosa contraddistingue il genere fin da Demon’s Souls, ed è giusto che rimanga tale (per quanto l’esperimento più “esplicito” di Sekiro: Shadows Die Twice fosse pienamente riuscito). Un breve filmato ci introduce in quell’Interregno che finora si era mostrato di sfuggita, e ci mette davanti a qualcosa di simile a ciò che già conosciamo, ma che al contempo è completamente all’opposto.
Ci vengono presentati i Lord Ancestrali, semidei che si sono appropriati del potere delle Rune Maggiori dopo che l’Anello Ancestrale si è spezzato, rendendo così l’Interregno desolato e privo di vita. Un concetto molto simile a quello esplorato in Dark Souls, soprattutto nel terzo capitolo, in cui lo spegnersi della Fiamma ha portato il concetto stesso di tempo a “stagnare” senza più poter godere di un avanzamento lineare, eppure se nei Souls siamo solitamente l’ultimo dei Non Morti, chiamati a compiere una missione letteralmente suicida, in Elden Ring siamo un Senzaluce, un vero e proprio pretendente al ruolo di Lord Ancestrale.
Come dei novelli Kratos quindi andremo a caccia di semidei, nel difficile tentativo di ricostruire l’Anello Ancestrale e con esso l’equilibrio dell’Interregno. Come al solito, questa è solo una premessa, semplice e volendo anche banale considerando la penna d’eccezione che c’è dietro al world building, ma FromSoftware ci ha abituati a vivere in mondi non fatti di storie, ma di lore, in cui dovremo cogliere ogni sfumatura piuttosto che il quadro completo (quadro? Mi ricorda qualcosa… visioni future?).
L’Interregno sarà ricco di personaggi pronti a condividere con noi le proprie storie e a raccontarci gli eventi che hanno portato alla situazione attuale, o quantomeno la propria versione! Come sempre accade nei Souls infatti avremo fazioni contrapposte tra loro e ogni personaggio si sentirà libero di mistificare la verità, starà a noi cogliere i dettagli e comprendere di chi possiamo fidarci o meno, ed è proprio nell’intricata costruzione di questo background che lo stile di Martin e le analogie con Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (serie di romanzi che ha poi dato vita a Il Trono di Spade) si fanno evidenti, e denotano l’originalità della scrittura (per quanto pare che il contributo dello scrittore sia avvenuto solo nelle fasi preliminari del progetto).
A livello narrativo si è parlato molto del rapporto tra Elden Ring e i Dark Souls, con Martin che si lasciò sfuggire candidamente durante un’intervista una lapidaria affermazione: “Elden Ring è Dark Souls IV”, in totale contrapposizione con la sempre dichiarata intenzione di Miyazaki di concludere la serie col terzo capitolo. In effetti, esplorando l’Interregno è palese che non si tratti assolutamente di un quarto capitolo, eppure, come anticipato, i veterani si sentiranno a casa.
Mi è infatti spesso capitato, durante alcune live sul nostro canale Twitch in cui ho condiviso parte del mio viaggio nell’Interregno, di paragonare il world building e la scrittura di Elden Ring a quella de La Torre Nera di Stephen King, opera omnia del maestro dell’orrore che racchiude e intreccia in sé la complessa e variegata lore presente in tutti i romanzi dello scrittore, se dovessi infatti collocare il titolo in un fantomatico FromSoftwareverso lo vedrei bene come un prequel di tutte le opere della software house, da cui poi si sono dipanati i vari titoli.
Perché sotto l’evidente sostrato di citazioni prese direttamente dal ciclo arturiano e dalla mitologia norrena, non fanno che susseguirsi luoghi e situazioni che i fan conoscono bene, eppure il tutto viene riproposto in maniera del tutto originale e nuova: avventurarsi nei meandri di questo regno è una sorpresa continua, e scoprire tutti i risvolti narrativi legati a questo mondo decadente e ai suoi personaggi rassegnati costituirà, come al solito, un’attività che terrà impegnati a lungo i fan delle opere FromSoftware.
“Al gameplay piace cambiare…”
Come avrai notato, il punto focale della narrazione di Elden Ring è che si rivela originale, eppure saldamente ancorata alla tradizione di FromSoftware; questa filosofia è stata ripresa dalla software house nipponica anche nel gameplay, naturale evoluzione di quello a cui i titoli precedenti (con una leggera eccezione per Sekiro, che costituisce un unicum nel percorso degli sviluppatori) ci hanno abituati, eppure incredibilmente più articolato e stratificato, senza però risultare mai eccessivamente macchinoso.
Il classico combat system dei soulslike è quindi rimasto intatto per quanto riguarda la gestione delle armi (se ne potranno equipaggiare tre per mano liberamente intercambiabili), del peso dell’equipaggiamento, che in base al nostro parametro Vigore andrà a influire sui movimenti del personaggio, e alla parametria stessa, che ci consentirà di equipaggiare un arsenale sempre più efficiente e orientato verso determinate azioni (magiche o fisiche che siano), tuttavia, proprio su quest’ultimo spunto vale spendere qualche parola in più.
I Souls si sono creati la giusta nomea di videogiochi difficili per definizione: vero, ma fino a un certo punto. Se si comprende a fondo il titolo che si sta giocando si può arrivare perfino a romperne la struttura: mi viene da pensare al primo Dark Souls, il cui game design viene rotto con un adeguato mix di Anello del Calabrone e repost, o al terzo capitolo della serie, che si può affrontare in maniera estremamente serena se si utilizzano armi pesanti; certo, ogni singolo Souls si può affrontare in una miriade di modi differenti a seconda delle attitudini del giocatore, ma run dopo run si possono certamente scoprire build e strategie nettamente più performanti di altre.
In Elden Ring questo discorso cessa definitivamente: la varietà di nemici impone una diversità negli approcci che devono essere messi in atto per portarsi a casa la vittoria che alla maggior parte dei giocatori verrà naturale dopo qualche ora di gioco non puntare più tutto su un singolo parametro, ma tentare di costruire un personaggio a tutto tondo, capace di studiare ogni situazione e fronteggiarla al meglio.
Non penso siano solamente mie supposizioni, dal momento che la nuova meccanica delle Ceneri di Guerra sembra puntare proprio in questa direzione. Ho trovato questa novità geniale per il modo in cui è gestita, queste Ceneri vengono rilasciate da nemici potenti o da specifici mob sparsi nel mondo di gioco e funzionano esattamente come le weapon art di Dark Souls III, fornendo quindi a scudi e armi delle mosse e abilità peculiari.
Riposando presso i Luoghi di Grazia (che faccio fatica a non chiamare Falò) sarà possibile infondere i nostri equipaggiamenti con le Ceneri, e la genialità sta nella loro gestione: ogni cenere infatti porterà con sé una determinata caratteristica (che può essere danno da fulmine, pesante, magico, di fuoco, ecc…) e potremo decidere se lasciare i parametri dell’armi infusa inalterati oppure andare a modificare lo scaling in base alla caratteristica dell’arma.
Ed ecco che quindi un personaggio particolarmente livellato in Forza può utilizzare in maniera efficiente un’arma che in precedenza scalava su Destrezza, o che la nostra arma può iniziare a infliggere anche danno elementale, in base alle debolezze dell’avversario di turno, il tutto senza doversi necessariamente procurare una nuova arma e procedere col lungo e dispendioso processo di infusione: “prova tutto”, questo deve essere il tuo mantra!
Un’altra interessante novità è quella delle Invocazioni, che ci permetteranno di combattere temporaneamente al fianco di altri mob, evocando dei veri e propri alleati provvisori (possibilità che ovviamente viene negata durante le sessioni di multiplayer online per evitare di rompere gli equilibri di gioco) che potranno aiutarci negli scontri. Una novità decisamente inaspettata che presenta però un grande difetto: banalizza gli scontri principali.
Non è sempre possibile effettuare le Invocazioni, il “problema” è che evocare degli alleati durante gli scontri coi boss principali del gioco rischia di rendere molto meno entusiasmanti e gratificanti gli stessi, a discapito di battaglie opzionali come quelle nelle Galere eterne in cui è impossibile effettuare evocazioni, con un netto incremento del tasso di sfida. Purtroppo, questo è un difetto che ho percepito per tutta la campagna, naturalmente, non è obbligatorio utilizzare le Invocazioni, lasciando così integra la sfida proposta, ma se un titolo mette a disposizione uno strumento, ci si dovrebbe assicurare che non vada a compromettere la stabilità del gioco stesso.
L’ultima novità di spessore per quanto riguarda il combat system è relativa al tanto discusso combattimento a cavallo, che in molti temevano avrebbe potuto cozzare con la struttura del gioco, e in effetti anche durante il CNT di qualche mese fa si era rivelata una delle caratteristiche dell’esperienza che andavano maggiormente smussate. Dopo ore di cavalcate e numerosi scontri combattuti in groppa al fidato Torrente, posso affermare che l’aggiunta del cavallo non risulta fuori posto e anzi riesce a integrarsi molto bene in tutto l’ecosistema di gioco.
Anzitutto, la cavalcatura è assolutamente necessaria nei lunghi viaggi per l’Interregno, certo, avremo una straordinaria abbondanza di Luoghi di Grazia a disposizione che fungeranno in ogni momento da checkpoint per il viaggio rapido, ma nelle fasi esplorative nelle nuove zone muoversi a cavallo farà la differenza in un contesto che potrebbe risultare altrimenti pericolosamente noioso. Per quanto riguarda gli scontri a cavallo invece, per quanto possa sembrare che vadano a costituire una semplificazione e un abuso delle strategie mordi e fuggi (e in parte è anche vero), lanciarci nella mischia convinti di essere imbattibili a cavallo farà sì che ci ritroviamo in men che non si dica disarcionati e sopraffatti dagli avversari, serve sempre e comunque prestare massima attenzione a ogni scontro e nemico, pena la morte!
Inoltre, anche i movimenti che il fidato Torrente potrà compiere si riveleranno precisi e studiati in ogni situazione; inserire una cavalcatura in un open world (specie se così vasto) si rivela sempre un discreto rischio e il tutto va programmato con attenzione, le accortezze in casa FromSoftware non sono mancate e non mi è mai capitato di imbattermi (su PlayStation 5) in bug, compenetrazioni col terreno e altri problemi di sorta. Infine, andando a sommare i discorsi relativi agli spostamenti a cavallo e al combat system durante le cavalcature, se è vero che in certe situazioni le battaglie perdono di strategia riducendosi a un continuo kiting nei confronti dell’avversario di turno, è anche vero che raramente ho visto scontri maestosi (non mi capitava dalla battaglia contro Ade in God of War III) come quelli contro i draghi mentre si cavalca Torrente: giocare per credere!
Ma combat system a parte, la domanda fondamentale per tutti è stata per mesi: un soulslike può funzionare anche in un open world? La risposta è: decisamente sì! Nel suo mondo aperto e sconfinato, FromSoftware è riuscita a non abbandonare la filosofia di level design che da sempre contraddistingue i Souls: mappe apparentemente intricate e contorte, ma che se studiate e comprese dal giocatore diventano estremamente chiare e accessibili, e riuscire a sbloccare nella loro totalità i percorsi e le scorciatoie ci si rende conto di quanto il mondo di gioco non sia ostico come sembra da approcciare. Inoltre, come già anticipato, la possibilità di avere i viaggi rapidi sempre disponibili tramite la mappa (novità assoluta) e l’aiuto di Torrente, rendono l’esplorazione dinamica e piacevole.
La già citata varietà degli ambienti, su cui sento di insistere perché ritengo sia ciò che più in assoluto potrebbe andare a settare in futuro lo standard per gli open world che verranno, non è soltanto una “prova di forza” da parte di FromSoftware, ma l’Interregno nella sua totalità può vantare una gradualità e consequenzialità di ambienti anche parecchio differenti tra loro, costruendo biomi suggestivi e inquietanti, eredi della storia della software house eppure carichi di originalità e ricchi di sorprese: l’Interregno è già vastissimo di suo, il ritrovarmi a un certo punto in un’intera mappa sotterranea con tanto di boss e Luoghi di Grazia mi ha lasciato incredulo, facendomi comprendere che in oltre quaranta ore di gioco avevo scalfito appena la superficie del gioco.
Purtroppo, un punto debole di questo mondo sta nei Legacy Dungeon, sparsi per tutta la mappa dell’Interregno e vera e propria eredità dell’esperienza più classica a cui siamo abituati, che soffrono però di una certa ripetitività di fondo nella riproposizione di nemici, boss e perfino texture delle ambientazioni, inconveniente già evitato anni fa nei Chalice Dungeon di Bloodborne che presentavano un’ottima varietà, è quindi parecchio strano il fatto che la software house nipponica sia inciampata proprio su una parte del gioco su cui aveva già una discreta esperienza pregressa.
E a proposito di esperienze pregresse non sfruttate, FromSoftware sembra davvero ostinata a non mettersi al passo coi tempi per quanto riguarda la fruizione del multiplayer online, che si presenta come al solito ricco di ostacoli. Serviranno infatti specifici oggetti consumabili per evocazioni e invasioni di mondi di altri giocatori, in mancanza di determinati elementi quindi potrebbe essere preclusa la possibilità di giocare in gruppo a Elden Ring, inoltre il multiplayer non sarà totalmente libero, ma legato alla sconfitta del boss della zona; rispetto al passato tuttavia va detto che i server sembrano molto più stabili che in passato.
Comparto tecnico: epicità è la parola d’ordine!
Non giriamoci tanto attorno, per quanto capace di creare mondi suggestivi, FromSoftware non ha mai avuto come cavallo di battaglia la grafica nei suoi titoli, che sono sempre risultati leggermente arretrati rispetto alle produzioni contemporanee, Elden Ring è un titolo dichiaratamente cross-gen, che arriva sugli scaffali letteralmente “schiacciato” tra Horizon Forbidden West e Gran Tursimo 7, due produzioni che puntano parecchio sull’aspetto grafico, e gli stessi sviluppatori hanno ammesso di essere preoccupati dall’impietoso paragone in arrivo con il Demon’s Souls Remake realizzato da Bluepoint Games.
Nonostante le premesse non esattamente ottimali, sono rimasto letteralmente estasiato dalla mia prova su PlayStation 5 con HDR attivo (ed è previsto anche un aggiornamento che abiliterà il ray tracing), nonostante la natura cross-gen della produzione (unita al contesto open world) faccia costantemente capolino e gli asset riciclati (anche da vecchi titoli) si sprechino, il risultato finale è a dir poco suggestivo: effetti di luce durante gli attacchi magici, particellari che animano il cielo notturno, la fioca luce dell’Albero Madre che ormai frammentato veglia su questo mondo morente… a prescindere dalla sua qualità visiva oggettiva, l’Interregno regala veri e propri dipinti a ogni inquadratura, ricordandoci che non è la grafica a fare il gioco se le risorse sono sfruttate in maniera adeguata.
Dal punto di vista della colonna sonora invece si toccano vette altissime! In casa FromSoftware c’è sempre stata una particolare attenzione e cura nei confronti delle tracce che accompagnano l’incedere dell’avventura. Elden Ring presenta temi musicali epici fin dalla schermata iniziale, e per la prima volta la colonna sonora costituisce una parte fondamentale e onnipresente dell’avventura, andandosi a sostituire al costante silenzio delle fasi esplorative dei vecchi Souls. Nelle boss fight principali il comparto musicale esplode, letteralmente, in un tripudio di cori e archi che esaltano l’essenza stessa dello scontro.
In definitiva, sono a dir poco entusiasta ed emozionato per Elden Ring, un titolo che ha saputo impegnarmi e soddisfarmi per decine di ore (e continuerò a giocarlo per settimane!) grazie al solito ottimo grado di sfida proposto da FromSoftware e a un gameplay solido e strutturato, con una varietà nelle opzioni di approccio possibili che si riflette anche nei contenuti, densi come non mai, e non vedo l’ora che l’eredità di Elden Ring sia raccolta anche da altri prodotti.
Rinchiudendo però il fanboy che è in me (non senza fatica) nell’armadio, va specificato che il titolo presenta comunque dei difetti importanti: primo su tutti il riciclo e la riproposizione costante di alcuni boss e nemici che tornano frequentemente (difetto che già era emerso in Dark Souls II, rendendolo, assieme ad altri pesanti problemi di level design, l’anello debole della trilogia) andando a minare il costante effetto sorpresa che rimarrebbe altrimenti intonso, la natura cross-gen del titolo, che seppur di poco denota una lieve arretratezza rispetto agli standard e la difficoltà, che talvolta viene meno proprio negli scontri che dovrebbero essere invece punti chiave del titolo, facendo scemare il pathos che rende invece memorabili combattimenti visti in altre opere della software house (basti citarne uno soltanto: Re senza Nome).