Forspoken è stato, fin dal suo annuncio, uno dei titoli che maggiormente ha suscitato le perplessità dei giocatori, non tanto per il gioco in sé e l’esperienza ludica che propone, ma perché la comunicazione attorno al prodotto non ha mai funzionato benissimo; ed era un aspetto che decisamente non si poteva trascurare per un gioco del genere, soprattutto se consideriamo chi c’è dietro lo sviluppo del gioco, ovvero Luminous Productions.
Magari non a tutti questo nome potrà dire qualcosa, ma Luminous Productions è uno studio interno del ben più grande e conosciuto colosso nipponico Square Enix. Lo studio è nato nel 2018 con l’intento, a detta della stessa Square Enix, di produrre titoli tripla A utilizzando il motore grafico proprietario Luminous Engine; la realtà tuttavia è alquanto distante dalle dichiarazioni ufficiali e nasconde una storia ben più triste e, a tratti, oscura.
Sappiamo tutti che Final Fantasy XV, perlomeno nella sua versione vanilla, è stato accolto particolarmente male dai giocatori a causa della sua natura particolarmente frammentaria e a un gameplay lontano dalle aspettative. A essere incolpato per questo fallimento fu il game director Hajime Tabata, che venne allontanato dalla sezione principale di Square Enix, evento che coincise proprio con la fondazione di Luminous Production, di cui divenne direttore.
Tuttavia, questa apparente storia di riscatto durò molto poco, e nel giro di pochi mesi Tabata annunciò di essersi dimesso (anche se in realtà pare che la decisione non sia stata così volontaria e pacifica come Square Enix volle far passare) dallo studio, che si vide perfino costretto a cancellare ben tre DLC annunciati per Final Fantasy XV aggiungendo quindi un ulteriore carico al già pesante fardello che si portava il gioco sulle spalle, rendendo quindi l’unico lavoro all’attivo dello studio il porting per Google Stadia della quindicesima fantasia finale.
Quando Forspoken, inizialmente presentato col titolo provvisorio di Project Athia, fu annunciato, il progetto non generò quindi l’entusiasmo sperato, in fondo agli occhi del pubblico appariva come l’ennesimo open world che puntava sull’estensione della mappa (potenzialmente annacquato e non particolarmente ricco di contenuti durante l’esplorazione), con l’aggravante di essere sviluppato da una software house con all’attivo solo progetti cancellati e un porting.
Dopo tanta attesa però, nel bene e nel male, tra critiche varie e parecchia diffidenza, Forspoken è finalmente approdato su PC e PlayStation 5 (come esclusiva temporale console per ben 24 mesi!): sarà il riscatto di Luminous Production capace di mettere in risalto il Luminous Engine o piuttosto si rivelerà la goccia che farà traboccare il vaso decretando, potenzialmente, la chiusura dello studio? Analizziamolo assieme e proviamo a tirare le somme!
Forspoken: l’ennesimo isekai… ne avevamo bisogno?
Con il termine isekai si intende un sottogenere di anime e manga nel quale i protagonisti si ritrovano in un mondo diverso dal loro, molto spesso di stampo fantasy. Per quanto esista da quasi tre decenni, il genere è diventato un vero e proprio fenomeno di costume a partire dal 2012 con la trasmissione della prima stagione di Sword Art Online, che ha sdoganato il genere che negli ultimi dieci anni è stato onnipresente nella produzione animata nipponica e non solo.
Il fatto che Forspoken fosse dichiaratamente un isekai ha contribuito a generare parecchi dubbi nei giocatori: “L’ennesimo isekai, davvero?”. Eppure, devo dire che la trama, per quanto classica, e in particolare la costruzione dei personaggi, sono uno degli aspetti più riusciti del gioco, se non addirittura l’aspetto più riuscito in assoluto!
Nel gioco vestiremo i panni di Frey Holland, una giovane orfana che vive a New York e passa la sua vita cercando di sbarcare il lunario con furtarelli e crimini minori. Infatti, il gioco si apre con la ragazza che viene portata in un tribunale e miracolosamente graziata dal giudice che la condanna ai servizi sociali; anche fuori dal tribunale le cose non vanno meglio, e vedremo Frey braccata da una gang di quartiere che le dà un ultimatum. Poco dopo gli scagnozzi dimostreranno che non stanno scherzando, e porteranno la giovane a pensare a una soluzione estrema.
All’improvviso però ci ritroveremo trasportati nel mondo di Athia e faremo la conoscenza di un bracciale magico senziente che ribattezzeremo Cuff e che sarà non solo la fonte dei nostri poteri magici, ma si rivelerà anche un’ottima spalla comica. La narrazione non riuscirà mai realmente a spiccare il volo, e infatti dopo il nostro arrivo in questo mondo fantasy la trama decide di arenarsi e di adagiarsi sui più beceri cliché del fantasy: un mondo andato in rovina (letteralmente!) in cui saremo gli eroi chiamati a sconfiggere i regnanti dispotici che si sono rivoltati contro il proprio popolo.
Eppure, per quanto tutto sia banale e già visto, il mondo di Forspoken riesce comunque a mantenere il proprio fascino che in alcune occasioni (a costo di dire un’eresia) mi ha regalato alcune vibes alla The Witcher per la sua impostazione generale. A dare uno scossone a eventi già visti e rivisti però ci pensa, come anticipato, la costruzione dei personaggi che ho trovato il più delle volte azzeccata e ben calibrata.
Frey in particolare, in alcune sue logiche è un personaggio che ho trovato realistico: una newyorkese che si ritrova catapultata in una realtà che non potrebbe essere più diversa da quella a cui è abituata, un vero e proprio pesce fuor d’acqua che faticherà non poco ad adattarsi alle logiche di Athia, ed è particolarmente palese nei dialoghi in cui il linguaggio di Frey sarà molto più sboccato e “basso” rispetto a quelli degli altri personaggi (e qui un merito va anche al discreto adattamento italiano dei testi). Anche lo sviluppo di Cuff è discreto, ma ha purtroppo un retrogusto di occasione sprecata in quanto assolverà per tutta la narrazione al ruolo di “grillo parlante” che tenterà di tenere a bada i bollenti spiriti di Frey.
Purtroppo però, ciò che rovina l’esperienza è un grosso problema di ritmo, parecchio incostante e frustrante fin dalle prime battute. Il gioco si apre con una breve cinematica, interrotta da un pizzico di gameplay, per poi tornare a un’altra breve cinematica che verrà interrotta nuovamente da una brevissima sezione di gameplay. Insomma, un’alternanza snervante che non darà il migliore dei benvenuti ai giocatori, e la situazione è destinata a peggiorare una volta arrivati ad Athia.
Dopo una prima sezione in cui proveremo realmente le potenzialità del gameplay infatti ci aspetterà una fase narrativa in città che rallenterà all’inverosimile la progressione, e si rivelerà una spina nel fianco in particolare per i completisti, magari desiderosi di gettarsi nuovamente nella mischia, ma costretti a portare a termine tutte le (dimenticabilissime) missioni secondarie con la Spada di Damocle che queste possano non essere più disponibili (per ragioni di trama) al nostro ritorno.
Gameplay: divertente, ma…
Nella nostra prova in anteprima della Milan Games Week e nella demo rilasciata per PlayStation 5, il gameplay è stato l’aspetto che ha suscitato le maggiori perplessità sembrando fin troppo complesso e macchinoso favorendo la spettacolarità a fronte di un sistema che risultasse soddisfacente, ma non troppo complesso per il giocatore. Per fortuna, la versione finale del gioco mi ha fatto ricredere, almeno in parte.
Il difetto delle versioni di prova stava nella sovrabbondanza di contenuti tra le opzioni di attacco e quelle di supporto, che forzavano il giocatore ad apprendere e tenere a mente fin troppi comandi tutti assieme. La versione definitiva del gioco invece presenta una curva d’apprendimento molto più morbida, anzi, a tratti anche troppo.
Proprio in virtù di quel problema di ritmo riscontrato anche a livello narrativo, ci ritroveremo a lungo dopo l’inizio del gioco a padroneggiare solamente due tipologie di magie (ognuna con la sua ruota di incantesimi), una soluzione che da un lato rende appunto molto più semplice e naturale per il giocatore imparare a gestire le varie opzioni offensive e difensive, ma dall’altro renderà il gameplay delle fasi iniziali davvero monotono a lungo andare.
Quando però il combat system ingrana nella sua varietà e il giocatore prende confidenza con esso, beh, lì c’è davvero da divertirsi! Sarà difficile rimanere insoddisfatti dalla quantità e varietà di stregonerie che Frey potrà scagliare contro i suoi nemici e un pizzico di arcade ci spingerà anche a provare soluzioni nuove e dinamiche e non fossilizzarci nella confort zone di quella manciata di incantesimi che si adattano meglio al nostro gameplay.
Al termine di ogni scontro infatti ci ritroveremo davanti una valutazione che potrà essere influenzata tanto in positivo quanto in negativo dal nostro stile di combattimento, se prediligeremo una varietà di combo coi diversi incantesimi e saremo abili nelle schivate (tanto da riuscire perfino a uscire illesi dagli scontri nei casi migliori) la valutazione raggiungerà i livelli più alti fungendo da moltiplicatore per i punti esperienza e per il drop rate di materiali rari.
I punti esperienza serviranno, com’è ovvio che sia, ad aumentare di livello, ma ci troviamo davanti a un level up molto particolare. Aumentando di livello infatti acquisiremo mana, ma non ne avremo bisogno in battaglia in quanto non sarà determinante per l’uso delle magie che di base verranno scagliate senza soluzione di continuità come se ci trovassimo all’interno di uno stylish action/shooter.
Come se il sistema di level up volesse richiamare (molto alla lontana) quello della Sferografia di Final Fantasy X, il mana ci consentirà di imparare nuovi incantesimi e potenziare le abilità (come il vigore necessario per il parkour magico che approfondiremo a breve). Ho apprezzato questo sistema di progressione, che viene arricchito anche dalla possibilità di potenziare i singoli incantesimi superando determinate sfide che potremo attivare leggendo dei testi sparsi per tutta Athia.
Per quanto riguardi i materiali rari invece, essi serviranno ad aumentare le capacità delle sacche coi quali potremo trasportare i materiali stessi e le cure, ma non saranno gli unici equipaggiamenti potenziabili. A far parte dell’arsenale di Frey infatti ci saranno anche Mantelli, Collane e Unghie; ogni pezzo di equipaggiamento porta con sé un buff passivo predeterminato, ma avremo la possibilità di aggiungerne altri proprio facendo uso dei materiali che recupereremo a fine scontro.
Questo sistema di combattimento così dinamico e piacevole nel suo essere coreografico e volutamente eccessivo (quasi come se fosse una produzione targata Platinum Games) si innesta in un open world che presenta, purtroppo, luci e ombre. Sarò sincero, fin dal primo trailer, il mondo di Forspoken era ciò che più suscitava la mia perplessità: un mondo spoglio, in pieno trend con quello degli open world annacquati che in molti propongono puntando sull’estensione della mappa e su poco altro.
In parte mi sbagliavo per fortuna: il mondo di Forspoken è sì spoglio, le distese brulle e monotone la fanno da padrone, ma è anche vero che prima di tutto questa scelta è contestualizzata narrativamente dalla rovina che si è abbattuta su Athia e che la devasta da tempo ormai immemore, e che questo mondo può anche vantare una buona varietà di biomi ben caratterizzati e differenziati.
A non convincere del tutto invece è proprio il parkour magico che è stato protagonista di buona parte della comunicazione sul titolo e che sembrava essere il vero perno centrale del gameplay. Questo aspetto si rivela uno dei meno riusciti: è estremamente semplice da padroneggiare (basterà letteralmente la pressione di un tasto per eseguirlo e potremo andare avanti fino a quando avremo esaurito il vigore), ma allo stesso tempo rivela i limiti di un open world che vuole apparire ciò che non è.
Mondi come quello proposto in Breath of the Wild o Death Stranding ci hanno insegnato una cosa: “Se puoi vederlo, puoi arrivarci”, ovvero qualunque luogo è raggiungibile ed esplorabile. Questa è la direzione che gli open world next-gen dovrebbero intraprendere, dispiace quindi constatare che Forspoken ci mette di tanto in tanto davanti a pareti scalabili solo a metà (dettaglio che rompe completamente l’immersione nel gioco e la fluidità del parkour magico) o, durante le missioni principali, davanti a muri invisibili che ci riporteranno indietro se tenteremo un percorso alternativo rispetto a quello pensato dagli sviluppatori per raggiungere il nostro obiettivo, una scelta insensata e anacronistica che si palesa senza preavviso facendo cadere le braccia per una produzione così in vista… nel 2023!
Luminous Engine che potrebbe, ma non si impegna!
L’aspetto narrativo ha i suoi (grossi) difetti, ma riesce anche a tenersi a galla grazie a una scrittura dei personaggi principali che ho trovato tutto sommato piacevole; il gameplay si incarta su sé stesso in determinate occasioni, ma riesce comunque a risultare piacevole e stimolante in fase di combattimento; il comparto tecnico invece è davvero difficile da giustificare.
Per quanto riguarda la grafica ho la netta sensazione che paradossalmente il Luminous Engine abbia fatto un passo indietro rispetto ai tempi di Final Fantasy XV (che ormai ha i suoi bei sette anni sul groppone). Forpoken propone ben tre modalità grafiche nella sua versione per PlayStation 5, e non ho trovato realmente soddisfacente nessuna delle tre.
Optando per la modalità performance avremo sì un’ottima fluidità e 60 fps fissi, ma al costo di una grafica ferma ai 1440p che va ad abbattere la profondità di campo e soprattutto abbassa le qualità delle texture che risultano poco gradevoli; le modalità prestazioni e ray tracing invece bloccano il framerate a 30 fps per regalarci texture comunque al di sotto delle aspettative e, come se non bastasse, una telecamera che si concede anche qualche scatto durante i movimenti, un aspetto che uccide un gameplay così dinamico; non è tutto da buttare ovviamente, la resa dei particellari lascia a bocca aperta per lo spettacolo che regala, soprattutto quando vengono scagliati gli incantesimi, ma è un dettaglio che non può bastare a salvare il tutto.
Ho trovato insoddisfacente anche il motion capture: i volti sono parecchio inespressivi e plasticosi, e anche stavolta la campagna marketing ha tradito il prodotto finale dato quanta attenzione si fosse riposta sulla meravigliosa Ella Balinska, l’attrice che ha donato volto e movenze al personaggio di Frey. A occhio, non penso sia un problema di motore grafico in sé, quanto di ottimizzazione, e non è nemmeno la prima volta che ciò accade nel breve periodo.
Stranger of Paradise: Final Fantasy Origins soffriva dello stesso identico difetto, presentando una resa grafica molto al di sotto delle aspettative. Come rivelato in fase di datamining, il gioco può vantare il record negativo per una delle peggiori ottimizzazioni di sempre; si tratta di due software house diverse (il soulslike in salsa Final Fantasy è stato sviluppato da Team Ninja), ma questa occorrenza che si ripete mi dà l’impressione che Square Enix come publisher stia correndo davvero troppo spinta dalla fretta di proporre un tripla A dopo l’altro non lasciando il tempo necessario alle software house che sviluppano i suoi progetti di procedere alla fase di polishing e ottimizzazione del codice di gioco.
Per quanto riguarda il comparto sonoro c’è purtroppo poco, anzi pochissimo, da dire: ci ritroviamo davanti all’ennesima colonna sonora copia incolla tipica dei fantasy. Musicalmente parlando, Square Enix è ormai lontana dai fasti di One Winged Angel o Hikari, ma di sicuro le produzioni dello studio principale o delle sussidiarie si sono sempre ben difese da questo punto di vista… almeno finora! Forspoken presenta purtroppo una colonna sonora dimenticabilissima nelle fasi di esplorazione e priva di pathos ed epica nei momenti che lo richiederebbero, appiattendo alcuni momento già di loro fin troppo scontati e cliché.
In definitiva, Forspoken non è affatto un brutto titolo, ma tradisce non poco le aspettative, che sono state tra l’altro comunicate molto male in fase di campagna marketing. Il gioco è pieno di potenziale, ma non è affatto sfruttato nel migliore dei modi e sotto molti punti di vista si adagia senza nemmeno cercare di innovare o quantomeno rendersi memorabile, il primo grande passo falso del 2023 videoludico che purtroppo non riesce a risollevare le sorti di uno studio nato sotto una cattiva stella.
https://www.youtube.com/watch?v=9Ph8D4MkGiI&t=1s