Non tutte le ciambelle escono con il buco. Quante volte abbiamo sentito questa frase e in quanti contesti? Eppure, per quanto sia una frase talmente detta e sentita che potrebbe ormai aver perso di significato alle orecchie di chi la ascolta, era esattamente ciò che mi ronzava in testa mentre stavo giocando Hindsight 20/20 – Wrath of the Raakshasa.
Un po’ di background. Il titolo in questione è sviluppato da Triple-I Games, un piccolo team al suo esordio (non brillante purtroppo) composto da ex dipendenti della ben più rinomata Bioware, software house che, in quasi quarant’anni di storia, ha saputo regalarci serie del calibro di Baldur’s Gate, Dragon Age e Mass Effect, tutte opere ricordate per trame estremamente ben scritte e sceneggiate e sistemi di moralità capaci di far empatizzare il giocatore coi personaggi e col mondo di gioco tanto da imprimere nella memoria alcune icone videoludiche e momenti memorabili; il tutto corredato da gameplay solidi e ben rodati.
Al giorno d’oggi, la comunicazione in campo videoludico si è estesa talmente tanto da aver valicato i limiti della semplice opera videoludica ed essere sfociata nella ben più intricata e complessa componente umana, alzando il velo di Maya su un mondo in cui le software house sono composte da persone, in quanto tali fallaci, ultimamente spesso al centro degli scandali più disparati (basti pensare alle molestie sessuali in casa Ubisoft o agli ambienti di lavoro tossici lamentati presso Naughty Dog e CD Projekt Red) e, purtroppo, anche al centro di licenziamenti talvolta.
Abbiamo imparato nel corso degli anni a indignarci contro Electronic Arts, publisher, tra le altre cose, proprio di Bioware, i cui vertici sembrano giocare una costante partita a scacchi con le proprie software house sentendosi liberi di “sacrificare i pedoni” chiudendo software house come se nulla fosse. Molto spesso il publisher fa la parte del cattivo, ma Triple-I Games potrebbe essere la prova che, talvolta, un licenziamento potrebbe essere anche, banalmente, frutto di una scelta oculata e giustificata.
La conferma potrebbe arrivare proprio con Hindsisght 20/20 – Wrath of the Raakshasa, titolo che prova con tutto sé stesso a emulare le grandi IP di casa Bioware, nonché pietre miliari della storia del videogioco come l’intramontabile The Legend of Zelda: The Wind Waker (con un pizzico di Majora’s Mask anche) finendo però solamente per essere un tentativo goffo, sgraziato e insoddisfacente sotto praticamente tutti i punti di vista, messo in piedi da sviluppatori che non fanno più parte di un team rinomato, e un motivo ci sarà…
C’era una volta, e ci sarà di nuovo…
Hindsight 20/20 – Wrath of the Raakshasa basa il suo incipit sul classico viaggio nel tempo. Dopo una sorta di breve teaser in cui il mondo di gioco, in particolare la città di Champaner, fulcro della campagna, viene mostrato al collasso, il protagonista Jehan intraprenderà un viaggio indietro nel tempo per poter “rimediare ai propri errori” e poter evitare le conseguenze disastrose a cui, a quanto pare, le sue azioni passate hanno portato.
Champaner infatti è sotto la minaccia di creature fameliche denominate Raakshasa, generate da una sorta di epidemia zombie che sta lentamente trasformando gli sfortunati infetti in vere e proprie bestie assetate di sangue. Come se non bastasse, a complicare ulteriormente la situazione c’è Sinha, leader dei Raakshasa che minaccia di distruggere la città, un breve video mostra dunque la devastazione operata da questo malvagio essere e, senza un attimo di pausa, il viaggio nel passato di Jehan ha inizio.
Se tutto ciò potrebbe sembrare interessante (e non nego che lo sia, dato il fascino che esercita su di me il tema del viaggio nel tempo), il problema è come tutto ciò viene narrato! Tolto che, nell’imbastire una qualsiasi narrazione, la scelta di utilizzare una serie di slide statiche che raccontano una mole di eventi così significativa condensata in una manciata di didascalie non è la più felice, il problema è ciò che viene dopo, tutto estremamente frettoloso!
Sappiamo già che Jehan ha viaggiato indietro nel tempo per proteggere i suoi cari, e appena prenderemo il controllo del protagonista ci verranno sparate addosso una serie di informazioni di un certo peso, ma che non riescono minimamente a sortire effetto: nel giro di pochissime battute infatti apprenderemo dell’assassinio di nostro padre e del fatto che il nostro migliore amico potrebbe da un momento all’altro diventare un Raakshasa. Tutti temi che pesano sull’animo del protagonista, ma non del giocatore che non conosce minimamente questi personaggi secondari e che non ha avuto la benché minima occasione di empatizzare con essi.
Il gioco non si prende un attimo di pausa e ci porta dritti al confronto con l’assassino di nostro padre (letteralmente la prima boss fight che affronteremo dopo nemmeno un quarto d’ora di gioco) e all’incontro col nostro migliore amico, che sta tentando di togliersi la vita per evitare un destino ancora peggiore. Gli sviluppatori hanno cercato di premere a tutta forza sull’acceleratore emotivo, mancandolo però clamorosamente, considerando quanto il giocatore rimarrà impassibile davanti a personaggi senza un minimo di costruzione alle spalle.
E il ritmo, purtroppo, non fa che peggiorare costantemente, presentandoci continuamente NPC con personalità e caratterizzazione inesistenti, che ci affideranno missioni tutte uguali, e andando a sbattere contro un finale da cui non possiamo, per forza di cose, aspettarci sorprese, dato l’intento dichiarato dell’intera avventura: “Metti che sia uno spettacolo circolare, gli racconti l’inizio, PEM, gli bruci il finale!”.
C’è un po’ di gameplay in questo pezzo di legno
E se già per quanto riguarda la trama Hindisight 20/20 si rivela un buco nell’acqua, dal punto di vista del gameplay potremmo definirlo letteralmente fastidioso. Di base, il gioco vorrebbe essere un hack ‘n’ slash che integra anche in maniera interessante combat system e sistema di moralità, il problema è che il tutto risulta povero, legnoso e a malapena abbozzato.
Partiamo dal combattimento in sé, se così vogliamo chiamarlo, che si riduce a un singolo attacco eseguibile tramite la pressione di un solo tasto, se già questo non ti sembra il massimo, sappi che attuare le “combo” richiederà di orientare gli attacchi verso nemici diversi, se insisteremo contro un singolo nemico infatti i danni inflitti saranno praticamente pari a zero e avremo la sensazione di colpire un muro di gomma.
Il tutto si complica col fatto che spesso combatteremo in arene estese, pertanto i nemici saranno fuori portata e le combo risulteranno di fatto impossibili da attuare, dovremo quindi ricorrere al kiting, attirando nemici da un punto all’altro dello scenario e andando così a spezzare un ritmo di gioco già di suo non esaltante. Perché infatti a un combat system così sgraziato e mal concepito si aggiunge anche la legnosità generale del tutto, con colpi che non restituiscono alcun feedback e nemici con un’IA piatta e imbarazzante.
Portare a termine una combo da sei colpi (l’unica a disposizione praticamente) produrrà un attacco speciale, unica variazione sul tema oltre alla parata che dovremo utilizzare più per rispedire al mittente i proiettili nemici che per prevenire il danno dai colpi corpo a corpo.
Va detto che però il titolo ha un’intuizione interessante che si lega al sistema di moralità, mentre saremo in battaglia infatti in qualsiasi momento potremo premere un qualsiasi tasto della croce direzionale per scegliere tra due armi: una spada e un bastone. Nel primo caso infliggeremo colpi letali, mentre il bastone provocherà danni contundenti che ridurranno a zero il morale dei nemici costringendoli alla resa; la scelta dell’arma determinerà di volta in volta la nostra reputazione all’interno del mondo di gioco, potremo infatti crearci la reputazione di spietati assassini o di pacifici combattenti.
Purtroppo, nemmeno gli altri aspetti del gameplay riescono a salvare una produzione composta quasi esclusivamente da difetti. Il già accennato sistema di scelte morali viene riproposto anche nei dialoghi, il problema è che tutte le sfumature tipiche dei videogiochi Bioware (o più in generale dei titoli che presentano scelte multiple nei dialoghi) vengono completamente a mancare, mettendoci praticamente sempre incontro a scelte dalle conseguenze palesi che qualora dovessero sorprenderci lo faranno soltanto per mancanze di una narrazione che ignorerà fin troppi elementi, ignorando completamente il world building.
La piattezza e legnosità generale si riflette anche nella progressione generale, che ci metterà davanti l’esplorazione di dungeon che cambieranno solo dal punto di vista stilistico, ma la cui risoluzione sarà sempre identica e banale. Insomma, se l’obiettivo di un videogioco è divertire, Hindsight 20/20 manca completamente l’obiettivo.
“Gira, sorprendentemente. Bene!”
L’aspetto tecnico di Hindsight 20/20 è purtroppo del tutto in linea con il resto della produzione, e quindi si rivela insoddisfacente. La grafica del titolo risulta davvero datata nel tentativo di scimmiottare lo stile cartoon di The Legend of Zelda: The Wind Waker (da notare la forma degli occhi degli NPC, chiaro copia e incolla del capolavoro Nintendo), ma al posto di un gradevole cell shading propone colori smorti e contorni spigolosi, dando piuttosto un effetto da sesta generazione videoludica: se ti è mai capitato di imbatterti nei mediocri videogiochi tie in delle classiche serie Cartoon Network, con Hindsight 202/20 avrai uno spiacevole déjà vu.
Per quanto riguarda la colonna sonora invece, anche in questo caso sguazziamo totalmente nell’anonimato con tracce che non riescono a restituire alcun feeling al giocatore e anzi, non ce n’è nemmeno una che rimanga in mente a partita conclusa, talmente poco rilevante che più di una volta ho avuto la tentazione di ascoltare altro in sottofondo pur di rendere il gameplay un po’ più leggero.
In definitiva, Hindsight 20/20 – Wrath of the Raakshasa è un titolo che non riesce in nessun aspetto a rivelarsi soddisfacente per il giocatore, a partire da trama e world building che non riescono a suscitare alcun interesse fino a un gameplay legnoso, passando per un comparto tecnico indietro di diverse generazioni.