Al giorno d’oggi, nel mercato videoludico, i videogiocatori tendono a far ricadere le proprie attenzioni quasi esclusivamente su due poli opposti: le produzioni ad alto budget, i cosiddetti AAA, e gli indie, progetti indipendenti, spesso creati da piccoli studi, che sopperiscono alla scarsità di risorse con idee coraggiose e, talvolta, letteralmente uniche (e ce lo insegna Undertale, l’indie per eccellenza).
Tuttavia, tendiamo a dimenticare che tra questi due estremi esiste tutta una serie di produzioni “nella media”, in tutto e per tutto. Per quanto molto spesso questo si traduca in produzioni mediocri, talvolta ci sono sorprese significative che, pur senza spiccare pressoché in nulla, fanno esattamente quello che dovrebbe fare un videogioco: divertono e donano qualche ora spensierata all’utente.
Maneater rientra, a sorpresa, proprio in questo caso, un titolo che fin dal suo annuncio è stato incoronato come “Re del trash” e che invece, incredibilmente, riesce non solo a essere leggermente più strutturato di quanto si possa pensare, ma anche a dare una piacevole sensazione nostalgica. Maneater infatti si rivela un titolo concettualmente indietro (sia a livello tecnico che di gameplay) di un paio di generazioni, eppure “si fa voler bene” e strappa al giocatore più di un sorriso e riesce a tenerlo incollato allo schermo molto volentieri.
Maneater ha fatto il proprio debutto su PlayStation 4, Xbox One e PC il 22 maggio 2020 (per poi ricevere nei mesi successivi un upgrade next-gen gratuito), a distanza di un anno dalla release originale il titolo targato Tripwire Interactive approda su Nintendo Switch, proprio in tempo per intrattenere (o terrorizzare, data la tematica) i giocatori sotto l’ombrellone, e non c’è occasione migliore per analizzare un titolo dai toni nostalgici del suo arrivo sull’ibrida di casa Nintendo!
Una pinna all’orizzonte!
Come accennato in precedenza, un titolo che si pone a tratti come un “GTA con gli squali” sorprende partendo una trama che si rivela semplice, ma allo stesso tempo meno “ignorante” del previsto. Nelle primissime battute di gioco infatti vestiremo… le pinne… di un possente squalo leuca, tuttavia dopo pochissimo capiremo che in realtà non sarà questo squalo il vero protagonista del gioco.
La prima cutscene infatti presenta l’arcinemesi del protagonista, ovvero Pete lo Squamato, un cacciatore di squali che prende parte a un programma televisivo dedicato a questa caccia estrema. Il barbuto Pete riuscirà ad arpionare lo squalo e a squartarne il ventre, scoprendo che si tratta di un esemplare femmina e che un piccolo di leuca è pronto a prendersi la sua vendetta sull’assassino della madre!
Assisteremo quindi letteralmente alla nascita del protagonista di cui prenderemo effettivamente possesso, che come primo atto della sua giovane vita porterà con sé un braccio di Pete lo Squamato, così da ricreare un vero e proprio conflitto uomo-natura che ricorda la battaglia letteraria tra Moby Dick e il Capitano Hacab, desideroso di abbattere la preda che lo ha privato di un arto.
Naturalmente, in Maneater non si scende mai a livelli di lettura così profondi e simbolici, tuttavia si tratta di un parallelismo che mi ha fatto sorridere e che denota un certo impegno (ripeto, oltre le aspettative) in fase di scrittura da parte del team di sviluppo. Sostanzialmente la trama si conclude qui, la nostra avventura scorrerà in maniera abbastanza lineare, con la crescita del nostro squalo scandita da scontri ricorrenti con Pete lo Squamato che sapranno riservare anche qualche sorpresa.
Nella storia di Maneater ci saranno degli altri personaggi (praticamente solo altri cacciatori di squali), mai ben delineati e anzi anche abbastanza stereotipati, tuttavia le descrizioni di questi cacciatori, che potremo leggere nel menù di pausa, riveleranno una lore inaspettata del mondo di gioco, diviso tra bifolchi che vanno a caccia per puro divertimento, uomini dell’esercito esaltati dalla professione in cerca di una sfida nella caccia allo squalo e loschi personaggi che vedono nella minaccia pinnata un freno ai propri investimenti.
E sempre a proposito di mondo di gioco, Maneater (sorprendendo ancora una volta) cercherà anche di mandare un certo messaggio ecologista (come accaduto anche nel recente Biomutant). Naturalmente, il nostro squalo si muoverà sempre in acqua, e i primissimi livelli del gioco si ambienteranno nel Bayou, praticamente una pozza d’acqua putrida, poco più di un acquitrino intossicato da rifiuti tossici di ogni genere (responsabili tra l’altro delle mutazioni del nostro squalo, come vedremo a breve).
Azzanna tu che azzanno io…
Anche dal punto di vista del gameplay, Maneater risulta alquanto arretrato sia per quanto riguarda la progressione generale del gioco che relativamente al vero e proprio modo in cui controlleremo il nostro squalo. Forse sei tra i pochi (come il sottoscritto) che hanno messo le mani su Jaws Unleashed, titolo del 2005 liberamente ispirato a Lo Squalo, il celebre lungometraggio diretto da Steven Spielberg.
Giocando a Maneater, la nostalgia ha spinto prepotentemente i miei ricordi proprio verso Jaws Unleashed, il gioco infatti ricalca in tutto e per tutto il suo predecessore, risultando effettivamente “attempato”, eppure, come già anticipato, gradevole. Questa caratteristica è sicuramente alimentata dalla continua progressione del nostro squalo, che sarà letteralmente incessante e renderà divertenti anche i semplici spostamenti da un punto all’altro della mappa.
Lo scopo del gioco sarà letteralmente quello di renderci sempre più pericolosi e attirare l’attenzione dei vari cacciatori di squali, fino a tornare a confrontarci con Pete lo Squamato e ottenere la nostra vendetta, per raggiungere l’obiettivo dovremo imbastire banchetti a base di bagnanti, distruggere imbarcazioni e strutture varie. Il tutto si risolverà in una sequela di missioni abbastanza ripetitive tra loro, che incredibilmente non annoieranno, anzi, proprio grazie alla progressione a cui si accennava prima, non faranno pesare in alcun modo il continuo ripetersi delle stesse situazioni.
Infatti, ogni singolo ambiente di gioco sarà sempre pieno zeppo di prede alla mercé del nostro squalo, e con pochi semplici attacchi potremo sbranare animali come foche e tartarughe vedendo crescere, in ogni senso, il letale predatore. A ogni aumento di livello le dimensioni dello squalo aumenteranno in maniera evidente, questo ci aprirà letteralmente nuovi percorsi a cui prima era impossibile accedere, spingendo a una continua esplorazione che si integra perfettamente con l’impressionante quantità di missioni primarie e secondarie e collezionabili.
Va detto però che Maneater cede in certi momenti sotto il peso del suo marcato impianto da GDR, per quanto saremo liberi in ogni momenti di confrontarci con altri predatori, anche di livello superiore al nostro, talvolta questi avversari si riveleranno matematicamente troppo ostici, rendendo frustranti alcune sezioni del gioco. Un ostacolo che può essere abbattuto a partire dalle fasi intermedie dell’avventura grazie alla possibilità di personalizzare il protagonista con vari potenziamenti che sbloccheremo divorando i superpredatori, speciali avversari che si faranno vivi dopo che avremo sconfinato nel loro territorio.
Saremo infatti liberi di cambiare letteralmente ogni singola parte del nostro squalo, a partire dalla sua pelle fino a pinne e denti, passando per abilità come il sonar, in grado di rilevare prede e collezionabili se potenziato adeguatamente. Ogni cambio influirà sulle statistiche del protagonista rendendolo un cacciatore sempre più letale e bizzarro; se infatti le prime modifiche apportabili riguarderanno semplicemente la struttura ossea, avanzando saremo letteralmente in grado di lanciare scosse elettriche e qualsiasi altro tipo di stranezza impossibile da replicare normalmente in natura.
Lo squalo si evolve, il comparto tecnico no
Anche per quanto riguarda il comparto tecnico, Maneater si rivela una produzione piuttosto attempata, e probabilmente si tratta del suo vero difetto oggettivo. Eppure, ora che il titolo è approdato su Nintendo Switch, si potrebbe fare un discorso leggermente diverso. L’ibrida di casa Nintendo riesce infatti a far girare in maniera incredibilmente fluida un titolo del calibro di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, eppure, nonostante il suo discreto hardware (comunque arretrato rispetto alle concorrenti) molti la scelgono come console prediletta per il retrogaming o per esperienze che non richiedono grandi prestazioni, la natura della console rende quindi, da un certo punto di vista, decisamente più accettabile l’arretratezza tecnica del titolo.
Se su una grafica che non brilla si può comunque chiudere un occhio, il vero problema tecnico del titolo sta nella gestione della telecamera, sempre complessa da gestire nelle ambientazioni acquatiche, ma che nel caso di Maneater diventa uno dei peggiori nemici del gioco, e nei comandi, che soffrono di un fastidioso input lag che, unito alle sbavature della telecamera, renderà alcuni scontri molto più complessi e frustranti di quanto siano in realtà.
Per quanto riguarda il sonoro stesso discorso, anche qui non si grida al miracolo nemmeno per un momento, però va annotata, tra i pregi di una produzione che resta costantemente in bilico tra l’arretratezza e il divertimento, la volontà degli autori di omaggiare l’iconica colonna sonora del già citato lungometraggio Lo Squalo grazie a qualche riferimento nel tema principale del gioco, davvero un bel tributo (doveroso a tratti) al capostipite di un genere.
In conclusione, Maneater è un gioco che, al netto dei suoi difetti, riesce comunque a stuccare il giocatore e si rivela divertente, per quanto ripetitivo: si pone l’obiettivo di essere un’opera di puro intrattenimento senza alcuna pretesa e ci riesce alla grande, il suo arrivo su Nintendo Switch inoltre è un valore aggiunto dato dalla portatilità della console e dall’opportunità di fare una partita mordi e fuggi all’occorrenza.