Nel lontano 2010, la software house danese Playdead riuscì ad attirare molta attenzione sul suo primo videogioco: Limbo. Quello che sembrava destinato a essere poco più di un indie riuscì invece a diventare dapprima un piccolo cult per gli appassionati del settore videoludico e poi a dar vita a un vero e proprio filone di emuli tra cui contiamo titoli del calibro di Inside (successore spirituale proprio di Limbo e sempre sviluppato da Playdead), Little Nightmares e il suo seguito o ancora il burtoniano e surreale Darq.
Il debutto di Playdead sulla scena videoludica puntava sul fare di necessità virtù, adottando la filosofia Less is more, che ben si adattava a quello che era allora un piccolo studio (che è attualmente al lavoro su un nuovo e misterioso progetto tra l’altro!). Limbo è quindi caratterizzato dal suo stile 2D, da una trama onirica e ridotta all’osso che richiede al giocatore il compito di ricostruirla (o immaginarla), una palette cromatica molto ridotta e una serie di enigmi brillanti e talvolta impegnativi (per prolungare la vita del titolo senza tediare il giocatore con sezioni al di sotto della media).
Come anticipato, il risultato fu, in maniera del tutto sorprendente, eclatante e convincente, tanto da portare molti sviluppatori a ispirarsi a quella piccola perla in un’industria che, undici anni or sono, iniziava a diventare sempre più imponente. Monobot, l’oggetto di questa recensione, va a inserirsi proprio in questo filone nato quasi per caso e riesce a rispettare tutti i capisaldi del genere, riuscendo però anche a restituire un’esperienza che presenta una certa dose di modernità.
Gli sviluppatori della software house Ukuza sono riusciti a donare nuova linfa al genere, facendolo proprio e proponendo qualche piccola variazione sul tema che rende Monobot un’esperienza brillante e accattivante seppur contenuta. Ma vediamo nel dettaglio le ragioni dietro questa inaspettata sorpresa!
Le tue possibilità sono infinite… o quasi…
I primi momenti di Monobot sono a dir poco suggestivi e ci introducono al mondo di gioco con una narrativa silenziosa azzeccatissima che riesce a ricostruire in pochi e semplici passaggi le fondamenta di questo universo narrativo. Mono, il robottino protagonista, viene infatti prelevato col suo pod da un misterioso braccio metallico.
Notiamo subito che il fondale della prima ambientazione è costituito da una serie infinita di pod tutti identici tra loro e tutti contenenti un robot simile in tutto e per tutto al nostro protagonista metallico (il tutto reso con una stilosissima e palese citazione alla trilogia cinematografica di Matrix); questo può sembrare un particolare piccolo e a tratti insignificante, in realtà riesce a catturare fin da subito l’attenzione del giocatore e farlo riflettere sulla vera natura di Mono.
Infatti, l’introduzione che sembra portare il simpatico robottino a un’attesa e meritata libertà si rivelerà essere poco dopo soltanto una condanna che ben presto si tramuterà in una fuga per la salvezza! Il mondo in cui la storia è ambientata si rivelerà cupo e freddo non solo per il suo essere popolato da robot, ma anche per una sorta di tecnocrazia istituita dalle macchine in cui il nostro Mono diventerà, suo malgrado, un fuggitivo.
Monobot narra quindi di una storia di fuga che mescola abilmente la fantascienza a un racconto distopico, il grande pregio della trama del gioco è che non potendo contare su personaggi particolarmente carismatici (anche se ti posso assicurare che ti affezionerai in men che non si dica al piccolo Mono) tenderà a infittirsi e a rivelarsi molto meno lineare di quanto ci si possa aspettare. La narrazione infatti non si limiterà alla storia del protagonista, ma alcuni scritti reperibili qua e là ricostruiranno anche il destino della civiltà umana che ha preceduto gli eventi del gioco.
Anche in questo caso la narrazione si rivela sorprendente, quelli che infatti potrebbero sembrare solo dei collezionabili col quale ricostruire una storia richiederanno in realtà una grande capacità di analisi da parte del giocatore, talvolta ci ritroveremo a leggere documenti ufficiali di cui potremo affermare senza problemi la veridicità, altre volte invece ci ritroveremo davanti a eventi romanzati e starà a noi capire fin dove si spinge la realtà e dove invece la fantasia fa il suo corso.
Man mano che la trama procede, Mono sfrutterà alcune “possibilità” e starà proprio al giocatore interpretare il significato di queste affermazioni e perché poi, proprio in concomitanza con l’utilizzo delle “possibilità” vengano mostrati a schermo alcuni flashback riguardanti una vicenda con dei protagonisti umani. Come spesso accade in questo genere di titoli, più si avanza e più gli eventi non forniscono risposte, anzi, alimentano le domande che ronzano insistentemente nella mente del giocatore, fino a un finale che sembra nascondere molto più di quello che mostra…
La grande fuga!
Come anticipato, Monobot si rifà nel gameplay al genere a cui Limbo ha dato i natali: si tratta a tutti gli effetti di un platform 2D basato sulla risoluzione di enigmi calibrati in modo da portare il giocatore a comprendere le meccaniche di base per attuarle in maniera sempre più sofisticata e fantasiosa; il tutto è condito, in maniera inedita rispetto a Limbo, da un pizzico di metroidvania (seppure il titolo rimanga estremamente lineare) che non guasta mai in produzioni caratterizzate da questo stile.
In particolare, il nostro Mono si ritroverà man mano a subire degli innesti robotici che gli forniranno delle capacità uniche come appendersi a specifici appigli o teletrasportarsi scambiandosi di posto con alcuni oggetti. Inizialmente sarà sufficiente imparare a utilizzare questi power up singolarmente, proseguendo nella nostra fuga però dovremo imparare a usarli con sempre maggiore tempismo e facendo anche affidamento al nostro buon vecchio pensiero laterale, fino al dimostrare una certa abilità nel combinare tra loro queste abilità.
Questi particolari poteri ci apriranno strade in precedenza inaccessibili, per questo in Monobot è ravvisabile quel pizzico di metroidvania che però non è mai spiccato dal momento che non saremo mai costretti a grandi backtracking, né tantomeno avremo mappe complesse da esplorare. A movimentare ancora di più le cose rinnovando costantemente il gameplay ci saranno eventi predeterminati che andranno a modificare radicalmente il nostro approccio al titolo.
Il primo modo con cui il giocatore si ritroverà a fare i conti è la diminuzione della gravità, che renderà naturalmente possibile spiccare salti più alti nella sezione di gioco in cui è attiva e ci permetterà di conseguenza di coprire distanze maggiori sia in verticale che in orizzontale. E questo è solo un esempio di come il gameplay di Monobot sia in continua mutazione (lascio scoprire a te, pad alla mano, cos’altro capiterà a Mono durante la sua fuga) e rappresenti a tutti gli effetti un rollercoaster videoludico degno del riuscitissimo It Takes Two.
Comparto tecnico: un meccanismo preciso!
Un’avvertenza accoglie i giocatori che stanno per avviare Monobot per la prima volta: è consigliabile l’utilizzo di un controller (sebbene il titolo sia giocabile esclusivamente su PC tramite Steam) e delle cuffie. Segui il consiglio, fidati. L’uso del controller è praticamente obbligatorio dal momento che senza alcuni enigmi risulterebbero eccessivamente ostici, se non impossibili, da risolvere (… proprio come succedeva con Limbo!).
Per quanto riguarda l’utilizzo delle cuffie, mi sento di concordare anche in questo caso con l’avvertenza iniziale del titolo. Il comparto sonoro di Monobot è estremamente ricco e sarebbe un vero peccato non goderselo a fondo: più che da una colonna sonora di rilievo, le sonorità del titolo si compongono di silenzi sconfortanti, inquietanti cigolii, rumori in lontananza, allarmi e chi più ne metta. Il sonoro è l’anima pulsante di produzioni di questo genere, e in casa Ukuza lo sanno bene a quanto pare!
Per quanto riguarda il comparto grafico invece, il gioco si attesta su livelli molto più “standard” rispetto al resto, proponendo una grafica dai tratti cartooneschi, ma senza proporzioni esagerate, anzi, vuole rimanere abbastanza aderente alla realtà, tanto da portarmi a pensare in più di un’occasione di avere a che fare con una versione adulta e matura del buffo Astrobot di casa Sony. Una nota molto positiva e inaspettata che riguarda in parte la grafica è la trasposizione italiana non solo dei testi, ma anche delle scritte ambientali, incredibile che sia presente in un titolo del genere!
In definitiva, Monobot è un’esperienza classica, ma sorprendentemente piacevole e che si rivela capace di intrattenere alla perfezione per la manciata di ore in cui si articola la campagna. La narrazione, che si svela ai giocatori poco alla volta, prendendosi i propri tempi, è corredata da un gameplay in continuo cambiamento, che impone al giocatore di tenere il cervello sempre attivo per cercare nuove soluzioni, e da un comparto tecnico davvero ben curato, soprattutto dal punto di vista sonoro. Consigliato agli amanti del genere e anche a chi volesse approcciarsi per la prima volta a un platform 2D a enigmi.