Da grande appassionato del genere horror in ogni medium, verso la fine dell’adolescenza mi sono reso conto di essermi completamente desensibilizzato alle figure orrorifiche proposte negli horror “tradizionali”. Al giorno d’oggi sto riscoprendo l’orrore “occidentale” soprattutto con geni del calibro di Ari Aster e Yorgos Lanthimos, ma devo ammettere che in un momento di calma piatta per Europa e America sotto questo punto di vista, mi sono ritrovato a confrontarmi con la classica frase fatta: “Non hai visto l’horror finché non hai visto quello orientale”. Ed è dannatamente vero.
Incredibile come i registi giapponesi, e ancor di più coreani e cinesi, siano in grado di far crescere nello spettatore una sensazione di terrore e disagio, facendolo sentire alle strette e dando costantemente l’impressione che l’orrore nasca dal minimo elemento fuori posto, in grado di sconvolgere molto in fretta le cose. Da sempre, i videogiochi horror pescano a piene mani dal cinema di genere, e se Resident Evil ha sempre guardato con interesse ai B-Movie americani, molte altre serie hanno voluto terrorizzare in modi molto più intimi, rimanendo ancorate alla tradizione orientale.
Nascono così Clock Tower, Haunting Ground, Silent Hill e affini, e per quanto stiamo gioendo al giorno d’oggi per il ritorno della serie targata Konami, c’è da ammettere che le saghe “figlie” di quest’ultima ci hanno tenuto ottima compagnia in questi anni. Project Zero è senza dubbio uno degli esponenti migliori di questa progenie, purtroppo un po’ sfortunato anche a causa di un cambio di nome fuori dal mercato nipponico, nel resto del mondo infatti si chiama Fatal Frame, ma rimane comunque una serie con più alti che bassi.
Nello specifico, Project Zero Mask of the Lunar Eclipse è il quarto capitolo della serie. Uscito originariamente su Wii nel 2008, il titolo è finalmente approdato nel resto del mondo negli scorsi giorni su PC, PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox One, Xbox Series X e S e Nintendo Switch in una versione rimasterizzata e localizzata, quest’ultima versione è proprio l’oggetto di questa recensione! Un titolo che, nonostante i suoi 15 anni è invecchiato decisamente bene e che, grazie alla veste grafica rinnovata, può ora vivere nel migliore dei modi una meritata seconda giovinezza. Analizziamolo nel dettaglio!
Era una notte buia e tempestosa…
La trama di Project Zero Mask of the Lunar Eclipse prende a piene mani dal folklore nipponico, come più o meno fanno tutti i capitoli della serie, e come succede anche in altri episodi della saga buona parte delle vicende ruota attorno a un misterioso rituale, anche se in questo caso la narrazione si rivela leggermente più complessa rispetto ai suoi predecessori, anche grazie a un cast di personaggi leggermente più ampio del solito, per quanto non tutti i personaggi siano poi effettivamente ben caratterizzati e qualcuno rimanga un po’ più anonimo.
Le vicende ruotano attorno a un gruppo di cinque ragazze che condividono un evento traumatico vissuto durante l’infanzia: quando le cinque erano ancora bambine, un misterioso individuo le ha rapite e portate in una grotta dell’isola Rogetsu per far sì che divenissero parte di un oscuro rituale; le ragazze furono fortunatamente tratte in salvo, ma l’orrore era solo all’inizio…
Dopo questo antefatto il gioco ha effettivamente inizio qualche anno dopo: due delle cinque ragazze si sono tolte la vita in condizioni misteriose, pertanto due delle sopravvissute tornano sull’isola per indagare… non facendo più ritorno. Toccherà dunque all’ultima sopravvissuta, Ruka Minazuki, fare ritorno sull’isola ormai disabitata per tentare di far luce su questa misteriosa catena di eventi che sembra riportare a galla un passato tragico che tutte e cinque avrebbero di gran lunga preferito dimenticare.
Ad accompagnarci in questa indagine dai risvolti oscuri e inquietanti ci penserà la Camera Obscura, oggetto ricorrente nella serie nonché una vera e propria icona caratteristica che contraddistingue non soltanto la lore della saga, ma anche il gameplay. Armati della nostra peculiare macchina fotografica ci addentreremo nei meandri del misterioso albergo che farà da sfondo alla nostra (dis)avventura e ci toccherà far luce non solo sulla scomparsa prematura delle nostre amiche, ma man mano ci addentreremo anche in un mistero dai risvolti tetri e che ci porterà a scoprire perché l’isola Rogetsu è ormai disabitata.
Gli eventi narrati si sono dimostrati davvero interessanti, niente di unico o rivoluzionario, si pesca a piene mani da cliché del genere e da opere affini, eppure il modo in cui è imbastita la narrazione è convincente, e il gioco è riuscito a tenermi incollato allo schermo fino ai titoli di coda, che arrivano in una decina di ore, e a mantenere vivo il mio interesse grazie a qualche colpo di scena ben piazzato e a dei personaggi che, per quanto stereotipati, sono capaci di far affezionare il giocatore.
Project Zero Mask of the Lunar Eclipse: un gameplay vecchio, ma non stanco!
Il gameplay del gioco è probabilmente ciò che mi ha lasciato più perplesso, non è assolutamente fatto male (anzi, tutt’altro!), e mi aspettavo che gli anni sul groppone si facessero sentire. Invece, un giocatore inconsapevole potrebbe pensare che il titolo sia uscito negli ultimi anni data la sua modernità che lo mantiene al passo coi tempi, ma c’è un elemento che stride leggermente con la produzione e col genere: la software house.
Di base infatti è difficile distinguere Project Zero da un qualsiasi altro survival horror: enigmi ambientali da risolvere per proseguire, spiriti maligni e fantasmi di ogni sorta che ci daranno la caccia, scarsità delle risorse da gestire con cura… concettualmente la serie è molto vicina a nomi di serie illustri come i già citati Silent Hill o Resident Evil, e nel suo imitare i grandi funziona davvero bene. Anche a livello di ritmi e tensione non c’è davvero niente da dire e se giocato con cuffie e al buio riesce a regalare un paio di jump scare niente male.
Come anticipato però, paradossalmente, la software house che ha sviluppato la serie ha un carattere davvero troppo forte che emerge con prepotenza nella produzione andando a minare alcune peculiarità del genere. Parliamo di Tecmo, uno studio famoso per titoli molto più dinamici e dall’animo spiccatamente arcade e hardcore come i Dead or Alive o la serie Ninja Gaiden, produzioni che hanno sicuramente saputo fare, a modo loro, la storia del medium.
Purtroppo, l’animo arcade e caciarone di questi titoli affiora anche in Project Zero Mask of the Lunar Eclipse, la tensione di uno scontro a “colpi” di Camera Obscura contro lo spirito maligno di turno viene fin troppo presto stemperata da una schermata coi punteggi relativi allo scontro che varieranno in base alla nostra performance e alla prontezza nell’immortalare lo spirito.
Il punteggio in questione si tramuterà anche in una sorta di valuta di gioco che servirà al giocatore per acquistare oggetti utili, una feature fuori luogo che purtroppo rompe il senso di survival horror dato dalla scarsità di risorse reperibili nella mappa. Se si sceglie di fare a meno di questa sorta di shop interno le cose si fanno decisamente più interessanti e complesse, ma di base gli sviluppatori hanno previsto che, in un certo senso, i giocatori possano avere vita facile se lo desiderano. Un peccato, uno squilibrio che va a eliminare la tensione tipica del genere.
Comparto tecnico tirato a lucido!
Se il gameplay presenta alcune scelte non esattamente a fuoco, dal punto di vista del comparto tecnico il titolo è stato svecchiato in maniera impeccabile. Si tratta di una produzione di ben quindici anni fa che originariamente girava su una console molto meno performante rispetto alle sue coetanee; eppure, per quanto il prodotto sia una remaster e non un remake che riscrive radicalmente il gioco, il risultato non ha nulla da invidiare a produzioni moderne che seguono la stessa filosofia.
Dal punto di vista grafico, per quanto i modelli possano risultare di tanto in tanto plasticosi, i volti si rivelano non poco espressivi (a parte qualche piccola eccezione), ma soprattutto è stato fatto un gran lavoro su particellari ed effetti di luce. Come si evince già dal titolo, la luna giocherà un ruolo molto importante nel gioco e mi ha fatto davvero piacere notare quanta cura sia stata posta nella resa della luce lunare che filtra dalle finestre e irradia gli ambienti spettrali dell’albergo.
Anche per quanto riguarda il sonoro è stato fatto un ottimo lavoro: una colonna sonora cupa e tesissima, ma soprattutto un ottimo audio ambientale che enfatizzerà i nostri passi che rimbomberanno nei corridoi vuoti dell’albergo e i rumori inquietanti in sottofondo che ci daranno costantemente la sensazione di non essere mai soli, né tantomeno al sicuro; certamente un punto in più per la produzione dato il genere a cui appartiene il gioco.
In definitiva, Project Zero Mask of the Lunar Eclipse ha varcato il suolo nipponico nel modo migliore possibile: un titolo che non dimostra gli anni che ha, complice anche un ottimo lavoro di rimasterizzazione a livello tecnico; un survival horror godibilissimo e ben strutturato, che però Tecmo ha inspiegabilmente diciamo di sporcare con una lieve deriva arcade che irrompe con prepotenza in alcuni frangenti smorzando eccessivamente la tensione.