Al suo annuncio durante lo State of Play dello scorso anno, Returnal era passato quasi in sordina, schiacciato com’era tra titoli di IP blasonate e concept visivamente simili come Pragmata (progetto targato Capcom di cui abbiamo perso le tracce ormai da mesi). Il nuovo titolo di Housemarque ha nel tempo creato attorno a sé uno strano senso di aspettativa, legato più al fatto che si tratta a conti fatti della prima vera esclusiva di spessore per PlayStation 5.
Se si considera infatti che il remake di Demon’s Souls è per l’appunto un remake, Spider-Man: Miles Morales è un “DLC stand-alone” cross-gen e Destruction All Stars è poco più di un riempitivo (per quanto si riveli un prodotto gradevole sotto molti punti di vista), è proprio a Returnal che tocca il compito di traghettarci nella next-gen di casa Sony e tagliamo la testa al toro, lo fa alla grande.
Prima ancora di iniziare ad analizzare i vari aspetti del titolo mi sento di dire che uno dei suoi più grandi difetti è in realtà al di fuori dell’opera stessa, ma si trova nella comunicazione di Sony, estremamente imprecisa e confusionaria negli ultimi anni. Infatti, solo a mesi dal reveal di Returnal siamo venuti a conoscenza del fatto che si trattasse di un roguelike; in un mercato che deve servirti un prodotto che già conosci da cima a fondo, questa è una mossa che personalmente apprezzo, ma probabilmente non era il caso.
Come anticipato infatti, Returnal ha il peso di traghettare finalmente e con decisione l’utenza Sony nella vera next-gen, ed è strano che a farlo sia un titolo impostato su un genere di nicchia come il roguelike, soprattutto dopo che il colosso nipponico ha abituato i videogiocatori nella scorsa generazione a bollare le sue esclusive come “fortemente cinematografiche”. Il titolo di Housemarque invece rifiuta la narrazione lineare e pomposa alla Uncharted o alla The Last of Us, per abbracciare invece qualcosa di più sperimentale.
Questa recensione quindi si apre con una domanda: Returnal può settare un nuovo standard? Personalmente lo spero, e do già per certo che potrebbe rivelarsi un ottimo filone parallelo alle già citate “esclusive fortemente cinematografiche”.
C’era infinite volte…
Solitamente i titoli roguelike o roguelite hanno delle premesse narrative molto semplici, che devono asservire il gameplay che si andrà a ripetere in una sequenza di loop sempre più lunga. Stare quindi a narrare ogni volta una trama articolata (e farla quadrare una volta arrivati ai titoli di coda) sarebbe improponibile.
Returnal invece risolve l’empasse non solo inserendo il loop stesso all’interno della narrazione, ma rendendolo anche la colonna portante della stessa. Il bello del titolo è però che ci mette sullo stesso piano della protagonista, per quanto, come anticipato, grazie alla campagna marketing il giocatore sappia cosa sta per giocare, il senso di spaesamento sarà palpabile e ci sentiremo immediatamente spaesati, fragili e impotenti come la protagonista Selene.
Ed è proprio su Selene che vorrei focalizzare l’attenzione prima di passare al resto e fare un enorme applauso virtuale ad Housemarque: complimenti! Purtroppo la presenza di una protagonista femminile nei videogiochi diventa quasi sempre un motivo di sessualizzazione o un’impacciata ostentazione di femminismo; con la protagonista di Returnal non è successo perché gli sceneggiatori sono riusciti a creare un personaggio a dir poco umano.
Al contrario delle eroine giovani e aitanti (Lara Croft, Aloy o 2B se proprio vogliamo vincere facile), Selene è una normalissima donna di mezza età, col volto segnato da qualche ruga, una marcata bicromia oculare e che indossa una tuta spaziale estremamente professionale, che non cede a scollature o ammiccamenti di sorta perché è stata pensata e disegnata come puramente funzionale al suo scopo, ci vogliono davvero coraggio e intelligenza secondo me nel mercato videoludico odierno per riuscire a non far mai cadere l’attenzione sul dettaglio di una protagonista femminile: è una protagonista, punto.
E non si tratta solo dell’aspetto fisico, Selene è umana in tutto e per tutto anche dal punto di vista emotivo e psicologico. Nei primi loop saremo disorientati e ci sentiremo minacciati dal pianeta Atropo, da quella giungla selvaggia e misteriosa che tenta in ogni modo di eliminarci con creature feroci e macchine assassine, anche la nostra protagonista sentirà le stesse emozioni, non saremo un Terminator senza paura, ma la vista del nostro stesso cadavere ci procurerà sconforto e confusione.
Perché infatti la genialità narrativa di Returnal sta nel fare del suo gameplay anche la sua trama, noi giocatori approderemo su Atropo in medias res, lo schianto della nostra navicella sarà il primo vissuto solo da noi giocatori, ma non da Selene, che però non avrà memoria di quanto successo prima, e quindi si viene catapultati nella narrazione in maniera estremamente efficace. L’unica arma a disposizione di Selene (ancora prima della prima bocca da fuoco a disposizione) sarà la sua competenza, questo importante dettaglio (oltre a rendere ancora più profondo un personaggio che, purtroppo, potrebbe essere presto dimenticato in favore di qualcosa di più iconico) la rende estremamente simile a una moderna Ellen Ripley.
Proprio con la saga cinematografica di Alien (e in particolare con Aliens e Prometheus) Returnal ha moltissime cose in comune. A prescindere dalla protagonista di cui abbiamo già ampiamente parlato, il pianeta Atropo ci darà il “benvenuto” in una giungla aliena che ricorda moltissimo l’universo fantascientifico portato su schermo da Ridley Scott e James Cameron.
Ben presto infatti ci renderemo conto che su Atropo la natura selvaggia non è l’unica padrona incontrastata, Selene infatti si imbatterà nei resti di un’antica civiltà aliena che dovrà imparare a decifrare e conoscere, così da comprendere come venire a capo del mistero che avvolge il misterioso pianeta che ha deciso di intrappolarla.
Abbandonata la giungla poi ci saranno altri biomi ad accoglierci, sarebbe un peccato fare spoiler a riguardo dato quello che queste ambientazioni nascondono dietro un’apparente banalità, sappi solo che su Atropo nulla è come sembra, anzi, ogni tassello aggiunto non definisce il quadro, piuttosto lo complica.
Come se non bastasse infatti, alla trama principale del loop si affiancheranno altre sottotrame che si riveleranno essere intriganti tanto quanto il mistero di Atropo. Tra tutte spiccano quella dell’astronauta e quella della casa, a loro modo anche legate tra loro. Nel primo bioma infatti Selene potrà imbattersi randomicamente nella casa che ha lasciato sulla Terra nel XX Secolo, queste sezioni esplorative saranno l’occasione per poter scavare nel passato di Selene e nella sua psicologia, ma cosa ci fa lì quella casa?
Indissolubilmente legato al mistero della casa poi ci sarà quello dell’astronauta, una presenza costante che “non vuole lasciarci andare”. Probabilmente ho già detto troppo quindi non andrò oltre, ma sappi che, contro ogni aspettativa, Returnal non è puro gameplay, anzi presenta una delle trame meglio scritte e articolate degli ultimi anni non solo per un videogioco, ma anche per un’opera di fantascienza, grazie alla sua imprevedibilità e al modo in cui è messa in scena.
Mille modi per morire su Atropo
Returnal si conferma un prodotto di notevole qualità anche sotto il punto di vista del gameplay. Il tipico archetipo del roguelike che getta i giocatori in un loop infinito e a ogni morte li priva di ogni risorsa accumulata viene rispettato alla perfezione nella nuova fatica di Housemarque, ma non per questo non nasconde novità e intuizioni decisamente interessanti.
Anzitutto, come anticipato in precedenza, la fusione fra trama e gameplay è pressoché totale. Lo smarrimento e l’ignoranza di Selene nei confronti di Atropo si rifletteranno anche nelle varie run di gioco, ogni elemento che incontreremo la prima volta (armi, equipaggiamenti e power up che siano) dovrà essere scansionato, l’unica indicazione a nostra disposizione è che l’oggetto in questione potrebbe essere nocivo o benefico, e non è nemmeno detto che l’informazione sia sempre veritiera.
Inoltre, sparsi per le varie mappe troveremo glifi e monoliti, resti grammaticali dell’antica civiltà indigena di Atropo, non riusciremo a comprendere immediatamente il loro contenuto, anzi! Dovremo piuttosto decifrarne una discreta quantità per iniziare a comprendere realmente questa lingua aliena e ricostruire la lore del mondo di gioco, e magari riuscire anche a comprendere la natura della Pallida Ombra, altra macrotrama dell’avventura di Selene.
Nonostante il fattore scoperta ed esplorazione sia curatissimo e divertentissimo grazie a mappe procedurali generate a ogni morte di Selene, il vero cuore del gameplay sta nel sistema di shooting, e anche in questo caso, per l’ennesima volta, Returnal raggiunge risultati ragguardevoli.
A partire dalla settima generazione videoludica, quella che ha visto come protagoniste PlayStation 3 e Xbox 360 per intenderci, l’utenza PC ha iniziato a distaccarsi in maniera sempre più evidente da quella console, in quanto questi hardware permettevano in ogni caso una resa migliore dei multipiattaforma. Secondo me, se dal punto di vista delle prestazioni questa situazione difficilmente cambierà, per quanto riguarda l’esperienza di gioco a 360 gradi, PlayStation 5 sta iniziando prepotentemente a giocare una partita a parte, che in mancanza di altri rivali è destinata, per il momento, a vincere a tavolino.
Se faccio questa considerazione in questo momento è perché Returnal ne è attualmente (assieme al meraviglioso Astro’s PlayRoom) l’esempio più lampante grazie all’uso che il gioco fa dei trigger adattivi e del feedback aptico del DualSense. Lasceremo le considerazioni su quest’ultimo alla sezione tecnica della recensione, mentre i grilletti adattivi sono una parte fondamentale del gameplay, per quanto probabilmente non la più riuscita.
Returnal di base è uno sparatutto frenetico nel corpo di un roguelike, e da che mondo è mondo la pressione del grilletto R2 è l’input assegnato al fuoco primario, mentre L2 servirà per mirare. Nelle prime battute di gioco però otterremo, grazie a un preciso strumento, la possibilità di sfruttare una modalità fuoco secondario delle armi, e qui le cose si complicano un po’.
Infatti la possibilità di attivare questa tipologia di attacco grava sempre sul grilletto L2, se in teoria si tratta di una scelta intrigante, nella pratica il tutto perde di fascino. Fermando a metà la corsa del grilletto infatti continueremo a mirare, premendolo fino in fondo caricheremo il fuoco secondario. Negli scontri a fuoco più concitati però Returnal toglie i panni del roguelike e diventa un vero e proprio bullet hell e non sempre un giocatore potrà avere la lucidità mentale di utilizzare il grilletto nel modo più opportuno. Certo, l’abitudine mitiga le cose col tempo, ma rimane una scelta a tratti infelice.
Il bello di Returnal poi sta nel suo essere camaleontico e riuscire a integrare diversi generi con una soluzione di continuità senza pari. Boss dopo boss (ce ne sarà uno per bioma e ogni boss fight è incredibilmente appagante) il titolo farà emergere caratteristiche da metroidvania, che non costringeranno però al backtracking tipico del genere, dal momento che i punti inaccessibili in precedenza saranno lì ad attenderci alla prossima morte di Selene, solo che avranno “cambiato volto” a causa della generazione procedurale delle mappe.
Se è vero che Returnal spinge al massimo l’acceleratore su un gameplay frenetico e adrenalinico, va anche detto che l’opera di Housemarque sa prendersi anche dei momenti di respiro, e nemmeno qui ci sono sbavature di sorta. Come anticipato, esplorare la casa di Selene sarà un momento perfetto per favorire l’introspezione della protagonista, in piccolo, ma queste parti del titolo (sbloccabili secondo criteri segreti) sono uno dei migliori tributi a P.T. mai realizzati, a tratti anche degne di Visage.
Prima di passare al paragrafo dedicato all’aspetto tecnico del gioco, voglio spendere due parole su una polemica che infiamma il web fin dal lancio di Returnal: il gioco è troppo difficile? No! Il titolo è punitivo, estremamente punitivo, ma è sempre onesto col giocatore: preferire un’arma a un’altra, correre il rischio di utilizzare un oggetto che potrebbe essere dannoso per Selene, buttarci a capofitto nello scontro senza pensare, o peggio, non essere troppo aggressivi nei confronti dei nemici… Queste sono tutte scelte che il giocatore compie attivamente, e ognuna decreta la vita o la morte della Selene che controlliamo durante il ciclo in corso. Il gioco non è troppo difficile, siamo noi videogiocatori che ci siamo abituati ad arrivare preparati a qualsiasi titolo con mesi d’anticipo, Returnal semplicemente ci priva di questo lusso, e va bene così.
Comparto tecnico spaziale!
Returnal, ricordiamolo, è il titolo che più di ogni altro sta trasportando l’utenza Sony nella next-gen, e il suo comparto tecnico lo dimostra alla grande! Dal punto di vista grafico mostra una fluidità senza pari, soprattutto considerando che anche nei momenti in cui lo schermo sarà invaso da nemici e proiettili il gioco non perderà un singolo frame, elemento fondamentale data la natura del titolo.
Se questo sembra un elemento da poco che ormai dovrebbe rappresentare lo standard in campo videoludico, soprattutto dopo il recente salto generazionale, considera che, rispetto al passato, su Atropo tutto è vivo, in ogni momento! Il pianeta alieno infatti vive di vita propria nei tagli di luce sempre estremamente ricercati, nei barbigli in costante movimento pronti ad afferrare Selene e negli onnipresenti particellari, il tutto costantemente presente e persistente.
Anche dal punto di vista dell’immersività il DualSense è sfruttato nel migliore modi e il suo feedback aptico ci fa sentire davvero su Atropo. Questa nona generazione videoludica su PlayStation avrà come protagoniste indiscusse acqua e pioggia, questi due elementi infatti sono capaci di restituire al meglio le sensazioni tattili che il DualSense è in grado di trasmettere, non a caso la prima area esplorabile del pianeta sarà spesso e volentieri colpita dalla pioggia. Il tutto però si riflette anche nel feedback restituito dalle armi, purtroppo non personalizzato per ogni bocca da fuoco, ma sempre soddisfacente.
Il titolo però dà il meglio di sé nel suo comparto sonoro, incredibile sotto tutti i punti di vista! A livello di colonna sonora infatti Returnal si lascia andare a tracce dal piglio retrò, senza mai sfociare nel vaporwave, le sonorità infatti richiamano di tanto in tanto quelle già sentite in Stranger Things, mantenendo però un’identità propria e riconoscibile.
L’esperienza diventa poi ancora più esaltante se vissuta indossando un paio di Cuffie Pulse 3D, l’audio 3D garantito dal sistema proprietario Tempest infatti ci immergerà totalmente nelle atmosfere cupe e minacciose di Atropo, al punto da renderci addirittura più efficienti nel controllo di Selene. Ogni fonte sonora infatti sarà sempre perfettamente riconoscibile nello spazio, e coi giusti riflessi e molta pratica potremo anche prevedere attacchi provenienti da punti al di fuori della nostra visuale.
Anche qui però abbiamo un piccolo inciampo, legato incredibilmente anche stavolta al fuoco secondario. Infatti, la piccola icona di ricarica di questo fuoco alternativo sarà non sarà sempre visibilissima negli scontri più frenetici, se il suono di ricarica completa va a perdersi con le cuffie è invece gestito alla perfezione quando non le utilizziamo, proveniendo direttamente dall’altoparlante del DualSense.
In definitiva, Returnal è un ottimo titolo e PlayStation 5 pone le basi per un ciclo di esclusive che potrebbe rivelarsi solido quanto quello di PlayStation 4. Alcuni minimi difetti non inficiano in alcun modo un’esperienza appagante a livello tecnico, di gameplay e di difficoltà, che presenta una sfida appagante come poche. Inoltre, il modo in cui il titolo si racconta ed esplora la sua protagonista potrebbe tranquillamente settare un nuovo standard non solo per il genere, ma anche per l’industria videoludica.