“Il canto del cigno di PlayStation 3”, negli anni The Last of Us si è guadagnato, a ragion veduta, questo appellativo, che è diventato letteralmente un sinonimo della prima avventura che ha visto coinvolti il rude Joel e la giovane Ellie. Nel 2013, anno di lancio del gioco targato Naughty Dog in esclusiva su PlayStation 3, non avevamo ancora un metro di paragone, ma senza saperlo avevamo già messo un piede nell’ottava generazione videoludica, con un titolo che riusciva letteralmente a trascendere i limiti software e hardware grazie a un’eccellente opera di ottimizzazione che tecnicamente rendeva il titolo inarrivabile sulle console del tempo.
Proprio per questa natura del prodotto originale, è stato strano per molti vedere nel 2014, ad appena un anno dal lancio dalla versione originale, l’arrivo di una remaster su PlayStation 4, una riconversione inutile agli occhi di molti utenti in virtù dell’ottimo prodotto di partenza. Otto anni dopo, ci ritroviamo al punto di partenza: nel 2022, in esclusiva su PlayStation 5, arriva il remake della remaster (non sono ironico, è tecnicamente così) del titolo, che per l’occasione, visto il lancio nel 2020 del suo sequel, si guadagna il nome completo di The Last of Us Part I andando a rafforzare la continuity narrativa e ideologica che unisce quest’opera.
L’annuncio ufficiale di questo remake ha lasciato moltissimi fan dell’opera perplessi che non si sono nemmeno chiesti se ce ne fosse bisogno, e senza passare dal via si sono dati una risposta: no, non era necessario. Ammetto che inizialmente anch’io ero di questo avviso (e in parte lo sono ancora), ma la campagna marketing ha rivelato minuziosamente alcuni elementi della Parte II introdotti a ritroso nel gameplay di questo remake, dando quindi una nuova natura al titolo
Rigiocare l’avventura che mi ha rapito per ben due volte (perché sì, l’originale non mi aveva fatto abbastanza male, e quel prologo è tornato a devastarmi un anno dopo con la remaster) per la terza volta dopo il lancio del suo eccellente seguito mi ha fatto rimettere in prospettiva molte cose e ha dato un sapore del tutto nuovo a questa storia che ormai in molti conoscono, e che è giusto che venga fruita da sempre più giocatori al massimo della sua forma. The Last of Us Part I quindi è un prodotto che vale la pena acquistare e giocare? Tra luci e ombre dell’operazione, assolutamente sì, ma non per i motivi che mi aspettavo, scopri il perché nella nostra recensione!
“Resisti e sopravvivi.” Cit. Ellie
Un’operazione di remake fedele uno a uno al prodotto originale punta a sorprendere soprattutto (se non esclusivamente) dal punto di vista tecnico e anche su una quality of life al passo coi tempi. Con The Last of Us Part I invece mi sono ritrovato davanti a una situazione alquanto paradossale in cui, almeno per quanto mi riguarda, ho ritrovato nuove sfumature molto più interessanti che in passato nella trama, pur essendo la stessa di nove anni fa.
Eviterò gli spoiler nel caso in cui ti affacciassi a questa recensione senza aver mai giocatori l’originale, ti basti sapere che dopo un breve prologo (quel dannato prologo che è riuscito a devastarmi per la terza volta, pur sapendo perfettamente a cosa stavo andando incontro) nel quale apprendiamo che nel 2013 una misteriosa epidemia sta mettendo a ferro e fuoco gli Stati Uniti, veniamo catapultati nel 2033, anno nel quale un uomo di nome Joel intraprende un viaggio per consegnare qualcosa di molto speciale: una giovane ragazza chiamata Ellie, nata qualche anno dopo lo scoppio dell’epidemia e quindi totalmente ignara di come si vivesse in passato.
Ormai, a vent’anni dal disastro visto nelle fasi iniziali, la popolazione mondiale è letteralmente decimata, e il mondo per come lo conosciamo si è ormai trasformato in un devastato scenario postapocalittico. The Last of Us Part I narra di un rapporto padre figlia perduto e ritrovato in una forma diversa e a tratti bizzarra, almeno apparentemente, anzi, almeno all’epoca del suo lancio.
Come lo stesso directive creator Neil Druckmann di Naughty Dog ha ribadito più volte parlando di The Last of Us: “Storia semplice, personaggi complessi”, e con questo remake quest’affermazione sembra diventare ancor più veritiera. Come anticipato, non è certo la trama a cambiare, ma gli eventi reali intercorsi tra il lancio dell’originale e questo remake: la pandemia da Covid-19 e, praticamente in concomitanza, l’uscita di The Last of Us Part II.
Per quanto riguarda la pandemia, non possiamo negare che esista una società pre-Covid e una post-Covid, proprio come più volte nell’industria videoludica ci siamo resi conto che è esistito un modo di concepire il medium videoludico prima di The Last of Us e uno nettamente diverso e più maturo dopo. Dati i temi trattati, la società post epidemia del gioco è diventata più familiare, di certo non per la devastazione che ha subito, quanto per il modo che mostrano gli esseri umani di accogliere questo nuovo mondo.
La pandemia nel mondo reale ci ha separati per circa due anni cambiandoci non poco, e il mondo di The Last of Us sta iniziando a muovere i primi passi verso un ritorno a una relativa normalità soltanto vent’anni dopo lo scoppio della pandemia causata dal Cordyceps. La divisione e la distanza tra gli esseri umani viene così vista nel gioco in maniera più realistica che mai, e ora lo sappiamo bene, il personaggio di Henry è l’esempio perfetto dell’isolamento sociale forzato e al giorno d’oggi sembra molto più reale di quanto potesse sembrare in passato.
In questi anni però è anche arrivato The Last of Us Part II a scombinare ancora una volta le carte in tavola e a cambiare l’industria, in maniera anche più netta e decisa rispetta al suo predecessore. L’avventura che vede una Ellie cresciuta come protagonista della vicenda è un racconto di vendetta, che ha come sfondo una società che nonostante tutto viaggia verso una ripresa (basti pensare a quanti passi avanti hanno fatto gli avamposti in cui si rifugiano i sopravvissuti), si passa infatti dal prologo cupo e traumatico del primo capitolo a quello molto più luminoso e festoso del secondo.
La spirale di vendetta che coinvolge e contagia Ellie e chi le sta accanto rimette anche in prospettiva il primo capitolo, che passa dall’essere, come anticipato, il racconto di un rapporto padre figlia ritrovato anche un racconto di pietà, nel quale le azioni di Joel, Tess e tutti i personaggi che il giocatore incontra durante il suo cammino assumono un peso ancora maggiore che in passato, soprattutto con la consapevolezza degli eventi che seguiranno in Part II.
Insomma, chi aveva il dubbio che in effetti questa operazione di remake fosse inutile sbagliava, almeno per quanto riguarda la trama, più avanti vedremo per quanto riguarda gli altri aspetti del gioco, in quanto rivivere questa storia dopo gli eventi di Parte II va a formare la perfetta chiusura del cerchio, soprattutto in attesa in un finale della trilogia che potrà diventare magari il “canto del cigno di PlayStation 5”. Tuttavia, è innegabile che considerazioni del genere si possono ottenere anche rigiocando l’originale o la remaster del 2014.
“Una cosa l’ho capita: dal passato, non si scappa.” Cit. Joel
Il gameplay è uno degli aspetti sul quale si è concentrata maggiormente la campagna marketing di The Last of Us Part I dal momento che tra questo capitolo e il suo sequel c’è un vero e proprio abisso da questo punto di vista, proprio per placare gli animi, gli sviluppatori di casa Naughty Dog hanno assicurato che la giocabilità sarebbe stata svecchiata proprio prendendo spunto da Part II, il che è vero, ma solo in parte.
L’originale The Last of Us arriva nel momento in cui la serie Uncharted è sulla cresta dell’onda, con un terzo capitolo che ha chiuso la trilogia (Uncharted 4 sarebbe uscito solo nel 2016) due anni prima e ha sancito in via definitiva lo stile delle opere targate Naughty Dog e i canoni che le hanno consacrate: taglio fortemente cinematografico, storie mature, e perfetto mix tra stealth e shooting, con tanto di enigmi ambientali da risolvere per proseguire.
Come già detto, The Last of Us spinge con forza l’acceleratore sulla trama, rendendola estremamente matura, ma asciuga il gameplay andando a ridurre sensibilmente la varietà degli enigmi ambientali e puntando più sullo stealth che sullo shooting, rendendo il primo la scelta preferibile in gran parte delle situazioni. Il risultato è una formula che a lungo andare potrebbe anche risultare ripetitiva, ma il ritmo e la cadenza con le quali si alternano le varie fasi scongiurano fino alle battute finali l’avvento della noia, soprattutto grazie alla trama intrigante, che come ribadito a più riprese si rivela il vero motore dell’opera.
Giocando a The Last of Us Part I ci si rende conto di come il titolo sia stato concepito in maniera estremamente precisa e bilanciata nelle sue meccaniche, e introdurre tutto ciò che ha fatto la propria comparsa in Part II avrebbe rotto questo equilibrio. Le schivate continuano a mancare in questo secondo capitolo, sarebbero state poco in linea col personaggio di Joel, con la sua età e fisicità ovviamente, e come chiarito anche dagli sviluppatori, avrebbero banalizzato gli scontri coi Clicker, le minacce maggiori che il primo capitolo riservava ai giocatori. Rimangono anche i difetti che sono diventati dei veri e propri meme, primo fra tutti il fatto che Ellie e gli altri comprimari occasionali di Joel risultino completamente invisibili ai nemici, indice di un lavoro a tratti pigro, quantomeno sull’IA nemica.
La maggiore introduzione sta nelle fasi più dinamiche del gameplay, potremo infatti avere un approccio molto più brutale e allo stesso tempo strategico nei confronti di gruppi numerosi di nemici: afferrare un nemico ora non si traduce più nella possibilità di un’eliminazione furtiva (resa più veloce dall’uso di un coltello se disponibile), ma oltre a trascinare i nemici in un luogo isolato per brevi tratti, potremo anche usarli come scudo umano per uscire indenni dalle sparatorie.
Per il resto, The Last of Us Part I rimane pressoché identico al sé stesso di nove anni fa: a partire dal crafting, utile a fabbricare medicazioni, bombe improvvisate, potenziamenti per le armi e molotov, fino ai banchi da lavoro, utili a potenziare le armi coi materiali ritrovati nelle varie aree di gioco; il tutto prosegue poi in maniera molto lineare, con aree non particolarmente vaste e pochi collezionabili che non vanno a disperdere eccessivamente l’attenzione del giocatore e il proseguire degli eventi.
“Io dico che abbiamo due opzioni.” Cit. Riley
Il comparto tecnico, forse uno degli aspetti più discussi, anzi, sicuramente l’aspetto più discusso di questa operazione di remake. Due anni fa, The Last of Us Part II è stato capace, a fine ciclo vitale della console, di sbalordire il pubblico con uno standard grafico senza paragoni (su console ovviamente), pertanto uno dei punti di forza di questo remake è stato indicato proprio come un comparto grafico e sonoro ripreso direttamente dal capitolo successivo.
Tuttavia, il titolo viene lanciato solo su next-gen (e in futuro approderà anche su PC) con la premessa di migliorare l’opera originale, fa quando storcere il naso, e non poco, l’idea di dover scegliere tra due opzioni grafiche di cui, come al solito, una predilige il framerate a 60 fps in sfavore della grafica che passa 4K a 1080p, o viceversa, una che mantiene la grafica in 4k a sfavore della fluidità con un framerate che scende a 30 fps. Fare una scelta del genere per questo prodotto non è certamente piacevole, ma va riconosciuto che gli sviluppatori di casa Naughty Dog sono comunque riusciti a stupire ancora una volta.
A farla da padrone è indubbiamente l’HDR, che permette una resa dei colori e dell’illuminazione dinamica senza pari: i tagli di luce delle finestre o dei passaggi che portano verso l’esterno sono resi alla perfezione lasciano incantato il giocatore, anche la gestione dei particellari è perfetta, soprattutto se si considera che le zone contaminate sono ricchissime di spore del Cordyceps e quindi ci ritroveremo costantemente a visualizzare del pulviscolo a schermo.
Rispetto al passato, sono stati anche rimodellati i volti e le espressioni facciali dei personaggi, ora più espressivi che mai, su ogni personaggio (anche sui nemici umani che tenteranno di ostacolarci) è stato fatto un lavoro egregio: la sofferenza e gli ultimi istanti di vita la faranno da padrone su questi volti, ma anche la gioia e la spensieratezza di Ellie in alcuni frangenti risaltano meglio che in passato. Una menzione speciale va poi fatta a Joel, il cui volto mi sembra leggermente rimodellato per assomigliare leggermente di più a Pedro Pascal, attore che ne vestirà i panni nel 2023 nella serie tv tratta dal videogioco e prodotta da HBO.
Anche il comparto sonoro è stato rivisto e migliorato, oltre alla colonna sonora, realizzata in buona parte dal compositore argentino Gustavo Santaolalla, in cui domina incontrastata la chitarra acustica, anche l’audio spaziale è resto alla perfezione; soprattutto se giocato con un paio di cuffie Pulse 3D, il remake di The Last of Us regala un’esperienza soddisfacente e immersiva, restituendo alla perfezione gli inquietanti “click” dei Clicker, le urla strazianti dei Runner, i colpi assordanti delle armi da fuoco, i passi dei nemici e lo strisciare degli infatti; ogni suono, per posizione è intensità, è studiato alla perfezione.
Anche in questo caso però, c’è da segnalare il ritorno di un meme, la traccia sonora originale non è stata infatti ovviamente ridoppiata, e dopo quasi dieci anni dal lancio, ci ritroveremo Ellie a chiedere a Joel se sappia “suonare” una scacchiera, ulteriore segno che il titolo porta con sé, nel bene e nel male, pregi e difetti che lo hanno reso un titolo di importanza storica per il medium videoludico.
Il titolo sfrutta anche le funzionalità uniche del DualSense, soprattutto per quanto riguarda il feedback aptico del nuovo controller di casa Sony. Diverse sezioni del gioco sono infatti ambientate sotto la pioggia battente e il DualSense restituirà alla perfezione la sensazione delle gocce incessanti che si abbattono sui personaggi; per quanto poi il titolo presenti bocche da fuoco diverse però, l’uso dei trigger adattivi è invece ridotto all’osso e non restituisce come dovrebbe la differenza tra le armi.
In definitiva, The Last of Us Part I continua a non essere un remake necessario a causa delle poche innovazioni che introduce rispetto a una formula che comunque sembra non essere invecchiata di un singolo giorno rispetto al lancio. Paradossalmente, si rivela parecchio interessante a livello di trama alla luce degli eventi di Part II, e può essere quindi un’ottima occasione per vivere al meglio quest’avventura a chi non l’avesse mai giocata. Rimane, purtroppo, ingiustificata la scelta del prezzo pieno, il più grande neo di tutta questa operazione.