Ti sblocco un ricordo: l’anno è il 2001, compri una confezione di merendine Kinder e dentro ci trovi uno dei quattro videogiochi della serie Fresh Adventures (sì, ricordo il titolo della saga, ma non so perché), quei terribili (e a dir poco sadici visto il loro livello di difficoltà!) videogiochi platform con protagonisti Kinder Fetta al latte, Kinder Paradiso e il pinguino mascotte di Kinder Pinguì; installi il gioco, scopri cosa vuol dire rischiare di rompere una tastiera per la frustrazione, disinstalli il gioco e spegni il PC. L’esperienza ludica è brutta, ma almeno hai una merendina in frigo a consolarti, quindi tutto va bene.
Weaving Tides mi ha incredibilmente riportato alla memoria quelle esperienze di ben vent’anni fa, ma stavolta, purtroppo, non c’era una merendina a consolarmi. Ora, il titolo non è frustrante come le traumatiche Fresh Adventures, e anche dal punto di vista del gameplay fa intuire che gli sviluppatori avessero effettivamente un’idea da proporre, il problema è che il primo modo che mi viene in mente per definire questo titolo è “approssimativo”, coi tanti elementi che vanno oltre la risoluzione di puzzle e sembrano buttati lì un po’ a caso, solo perché i vari enigmi avevano bisogno di una cornice nelle intenzioni degli sviluppatori.
Un peccato, Weaving Tides restituisce al giocatore un costante sentore di occasione mancata perché si capisce che alla base del gioco ci sono delle idee effettivamente buone e nella mente degli sceneggiatori c’è anche una lore affascinante (per quanto infantile), tanto che in fase di promozione il titolo era stato definito come un’esperienza che avrebbe ricordato The Legend of Zelda, ed è anche vero, il problema è che mi ricorda Zelda’s Adventure…
C’era una volta, boh, forse…
Weaving Tides parte in quarta con la narrazione, presentandoci subito i due protagonisti principali, ovvero Tass, un giovane orfano, e Kilim, un incrocio tra un drago e un fazzoletto di stoffa (non sono ironico, è letteralmente così). Ci viene subito spiegato che Tass non ha memoria del suo passato, e che Kilim si prende da sempre cura di lui pur non essendo, naturalmente, il suo padre biologico, tanto da portare il giovane a chiamarlo direttamente “papà”.
Il problema della narrazione è che non si prende minimamente i suoi tempi, corre troppo veloce ed è confusionaria. Il rapporto tra Kilim e Tass viene liquidato in poche battute, e sebbene questo tipo di sintesi possa anche essere un pregio in determinati contesti, qui è a dir poco inefficace! Subito dopo questo primo scambio di battute infatti veniamo a conoscenza di altri personaggi, amici dei protagonisti, e di un importante festival che, come da tradizione nel mondo di gioco, sta per avere luogo, e poco dopo ci viene anche mostrata la minaccia principale su cui dovremo indagare.
Troppe informazioni in troppo poco tempo, il giocatore non ha letteralmente il tempo di assimilare un concetto, e si passa subito al successivo. Ti basti pensare che, per quanto fossi attento durante il mio gameplay, a un certo punto ho sentito la necessità di avviare una nuova partita, oltre a quella in corso, per rileggere ancora una volta i vari scambi di battute, dal momento che non riuscivo a capire perché la trama mi stesse portando in una certa direzione, infatti, il tutto è portato avanti in maniera talmente frettolosa che, col senno di poi, mi sono reso conto che non ero stato disattento, semplicemente le spiegazioni del caso erano davvero sintetiche e a tratti sconclusionate.
Come se non bastasse, sparse per i vari scenari ci sono anche delle statue con cui interagire che hanno il compito di espandere la lore e la mitologia del mondo di gioco e puntano anche a rendere più leggibili gli eventi che portano al finale del gioco. Purtroppo, il tutto si risolve, come il resto della narrazione d’altronde, in un tentativo goffo e sconnesso di far capire al giocatore che questo universo fantastico ha molto più di quanto sembra da raccontare, ma il tutto non diventa praticamente mai organico o interessante.
Un gameplay… aggrovigliato…
Come accennato in precedenza, il gameplay di Weaving Tides è sostanzialmente quello di un puzzle game, purtroppo però il titolo si rivela uno dei meno ispirati degli ultimi anni in questo genere, e che potrebbe vantare come unico pregio il sapersi fondere alla perfezione con un’ambientazione studiata appositamente per essere funzionale al gameplay ideato.
Il titolo presenta infatti una visuale isometrica, e il mondo di gioco, visto costantemente dall’alto, è composto da pavimenti solidi e uniformi e altri che presentano invece dei buchi, intrecciati in trame che ricordano quelle di un classico cesto di vimini. Quando in precedenza parlavo di Kilim come di un incrocio tra un drago e un fazzoletto di stoffa è perché effettivamente questo particolare essere fantastico ha la capacità di entrare nei buchi del mondo di gioco e proseguire praticamente al di sotto della pavimentazione, andando a creare una specie di cucitura alla sua uscita.
Può sembrare qualcosa di complesso se spiegato così, in realtà la quasi totalità del gameplay si ridurrà a un “tuffati in buco e sbuca da un’altra parte per rappezzare le fenditure nel terreno”. Di tanto in tanto, troveremo anche degli enigmi in cui dovremo realizzare delle cuciture con una trama specifica per poter sbloccare una porta chiusa o superare una specifica prova, ma niente di più.
Quello che in alcuni momenti risulta anche minimamente interessante però diventa un vero e proprio tedio nelle fasi di “combattimento” in cui sarà anche necessario stordire gli avversari con uno scatto prima di procedere all’impacchettamento. L’unico particolare che andrà effettivamente a movimentare il gameplay sarà l’aggiunta di altri draghi nel corso della storia, l’unica differenza però starà in un cambio di mossa speciale, mai veramente necessaria però, se non per la risoluzione di qualche enigma; purtroppo, lo stesso discorso vale anche per alcuni potenziamenti che potremo trovare o acquistare nel corso della nostra avventura, nulla di mai veramente incisivo.
Inoltre, in alcuni determinati punti del mondo di gioco, sarà anche possibile accudire i vari draghi accarezzandoli o spazzolandoli, con un gameplay con visuale in prima persona che ricorda molto da vicino le interazioni che si potevano avere coi mostriciattoli tascabili di casa Game Freak in Pokémon X e Y, una scelta totalmente insensata, dal momento che il portare al massimo la barra della felicità del nostro drago non porterà a nulla di concreto nel gioco.
Comparto tecnico retrò, ma non in senso buono
Anche per quanto riguarda il comparto tecnico, Weaving Tides si rivela una produzione estremamente sottotono. Partendo da alcuni problemi di prospettiva con la telecamera a volo d’uccello che rendono estremamente frustranti alcuni momenti del gioco, il titolo non risulta mai piacevole graficamente e stilisticamente.
Il riferimento a Fresh Adventures all’inizio della recensione si rivolge anche a questo particolare aspetto del gioco, graficamente infatti Weaving Tides è un titolo che sembra indietro di un paio di generazioni, con una modellazione tridimensionale di nemici ed elementi del mondo gioco davvero poco curata, e con una direzione artistica che vorrebbe riproporre un mondo sognante e fantastico, ma che si riduce a consegnare ai giocatori una serie di ambientazioni che sono semplici reskin l’una dell’altra e nemici che lasciano a dir poco perplessi (i camaleonti con le ali meritano una citazione doverosa per il loro essere completamente fuori contesto).
Anche per quanto riguarda l’aspetto sonoro del titolo, Weaving Tides sguazza nel completo anonimato, con una colonna sonora talmente anonima da non lasciare il minimo ricordo ed effetti sonori in alcuni casi non pervenuti, in altri totalmente fuori contesto. Data la mancanza di doppiaggio dei dialoghi, mi sono ritrovato a mettere di tanto in tanto anche altro in sottofondo giusto per spezzare la monotonia delle poche ore in cui il titolo ci traghetta verso il finale.
In definitiva, Weaving Tides è un titolo che si rivela davvero insoddisfacente sotto ogni punto di vista a causa di una trama approssimativa e frettolosa e per un gameplay monotono e poco brillante se non in rari momenti. Il tutto coronato da una direzione artistica pigra che va a braccetto con un comparto tecnico davvero arretrato: un fiasco quasi totale.