Proprio nel mese di novembre, Sony sta portando avanti una massiccia campagna celebrativa dedicata alla realtà virtuale del suo PlayStation VR. Non si tratta certamente del primo visore, né tantomeno del migliore (anzi, è letteralmente una scelta entry level sotto tutti i punti di vista), eppure il colosso nipponico ci tiene a ricordare che si tratta di una realtà presente nel panorama videoludico in ambito console da ormai cinque anni (e ancora prima su PC ovviamente!).
La realtà virtuale non sostituirà il gaming, questo è poco ma sicuro, ma il solo fatto che Valve e Facebook propongano nuove revisioni dei propri hardware (e anche la stessa Sony sta lavorando dietro le quinte per un PlayStation VR 2) fa capire quanto questa branca del gaming non sia da sottovalutare e abbia tanto da dire nei prossimi anni.
Da appassionato della realtà virtuale e del genere horror ho subito guardato con interesse a Wraith: The Oblivion – Afterlife, l’oggetto di questa recensione, pur volendo in tutti i modi tenere basse le aspettative per evitare delusioni a priori. Del tutto a sorpresa, ciò che mi sono ritrovato davanti è stato invece un titolo valido e ispirato, che deve i suoi difetti più a dei limiti tecnici dell’hardware che ho utilizzato (PlayStation VR per l’appunto) che al lavoro svolto da Fast Travel Games.
Non si tratta certamente di un gioco privo di difetti, ma per quanto riguarda gli horror in realtà virtuale l’ho trovato decisamente una spanna sopra rispetto ad alcune produzioni analoghe targate SuperMassive Games come The Inpatient e Until Dawn: Rush of Blood. Analizziamo quindi più nel dettaglio il titolo, un horror in prima persona fortemente improntato sullo stealth che punta a provocare disagio e inquietudine costante nel giocatore.
Se la vita fosse un film… sarebbe un horror!
Wraith: The Oblivion – Afterlife ci mette nei panni (letteralmente) del fotografo Ed Miller, convocato da un famoso regista di cinema horror presso la sua imponente magione: Villa Barclay. La particolarità della narrazione del gioco sta nel suo intreccio, che non sarà affatto lineare e anzi partirà con un evento decisamente inusuale: la morte del protagonista!
Fin da subito infatti, il buon Ed Miller si troverà a muovere i suoi passi in un paesaggio onirico e desolato, una sorta di regno di passaggio tra la vita e la morte in cui dovrà transitare prima che la sua anima vada definitivamente all’altro mondo. C’è un problema però! In questo universo narrativo (lo stesso in cui sono ambientati i giochi da tavolo che fanno parte della serie World of Darkness) alla morte la parte più oscura della nostra personalità può dar vita a un Wraith, un essere demoniaco letale e incontrollabile, che dà anche il titolo al gioco.
Toccherà quindi al fantasma di Miller tentare di fermare questo essere e allo stesso tempo esplorare Villa Barclay. Nell’esplorare l’imponente (quanto spettrale) magione, il protagonista si ritroverà a rimettere a posto i pezzi di quanto è accaduto grazie alle manifestazioni di altri personaggi, che ripercorreranno alcuni dei momenti salienti di questo cupo e intricato mistero.
Arrivati alle battute finali ci si renderà conto che in effetti la risoluzione della storia è più lineare di quanto possa sembrare, ma questo particolare tipo di narrazione, che tassello dopo tassello forma un quadro articolato e dai contorni sempre più definiti, mantiene comunque un fascino non indifferente e terrà la mente del giocatore impegnata nelle speculazioni durante l’esplorazione della silenziosa villa.
Ed è proprio Villa Barclay uno dei fiori all’occhiello della produzione: se da un lato i personaggi si rivelano piatti e anonimi, anche dal punto di vista del design, dal momento che vengono rappresentati come spettri monocromatici, dall’altro ogni stanza della villa sprizza personalità da tutti i pori.
Ci ritroveremo nella lussuosa magione di un regista, e le pareti saranno letteralmente tappezzate di poster e locandine cinematografiche che fanno il verso ad alcune delle pellicole di genere horror più iconiche di sempre, che si riveleranno dei gradevoli easter egg per gli appassionati!
Sopravvive bene chi… sopravvive
Dal punto di vista del gameplay, Wraith: The Oblivion – Afterlife è un classico horror in prima persona, un genere a cui siamo stati abituati negli anni dalla serie Amnesia, dagli ultimi Resident Evil e da una miriade di altre produzioni che sono riuscite più o meno a emergere rispetto alla concorrenza, il titolo inoltre è fortemente improntato verso uno stealth forzato come alcuni suoi illustri predecessori del calibro di Silent Hill Shattered Memories in cui il protagonista è costantemente costretto alla fuga.
Anche il nostro Ed Williams sarà totalmente indifeso nei confronti delle oscure presenze che infestano Villa Barclay, questo ci costringerà costantemente alla massima cautela e in questo la realtà virtuale riesce a regalare un’esperienza unica! Oltre ai classici comandi per poterci accovacciare infatti, potremo direttamente piegarci e metterci al riparo, particolare che costituisce sia un pregio che un difetto del titolo ed è esattamente ciò a cui mi riferivo a inizio recensione.
Questa recensione infatti è stata realizzata dopo la prova del titolo con PlayStation VR, purtroppo, il visore di casa Sony in questa sua revisione presenta ancora parecchi difetti strutturali, il fatto che presenti ancora parecchi cavi per collegarsi alla console rende certamente poco fluidi e naturali i movimenti del giocatore; il titolo infatti, messo alla prova su hardware come Oculus Quest darebbe sicuramente vita a un’esperienza più piacevole, ed un vero peccato constatare che un titolo possa ancora avere dei gap nella ricezione e nelle performance dovuti all’hardware, specialmente in un momento in cui per mancanza di console next-gen il discorso titoli cross-gen si rivela particolarmente critico.
Tuttavia, Wraith: The Oblivion – Afterlife non si limita semplicemente a un’esplorazione stealth degli ambienti di gioco, ma dà anche al giocatore l’accesso ad alcune abilità sovrannaturali dovute alla sua condizione di fantasma. Già nelle primissime battute di gioco otterremo l’abilità di attirare sassi e piccoli oggetti da scagliare lontano per creare diversivi, man mano però il nostro ventaglio di possibilità si espanderà dando al titolo leggere sfumature metroidvania e portandoci di tanto in tanto a un piacevole backtracking che ci permetterà di esplorare in modi inediti ambienti già visitati in precedenza.
C’è però un’abilità in particolare su cui mi vorrei soffermare, dal momento che trovo sia stata gestita particolarmente bene dal team di sviluppo. In qualità di fantasma, a un certo punto inizieremo a sfruttare la nostra capacità di passare attraverso i muri, un’idea brillante, ma che mi ha ricordato un altro titolo in cui l’esperienza veniva completamente “rotta” da questa abilità, ovvero Murdered: Soul Suspect.
Ovviamente, il poter attraversare ogni muro va completamente a distruggere ogni idea di game design, rendendo tutto accessibile all’istante, gli sviluppatori invece in questo caso sono riusciti a gestire il tutto in maniera davvero brillante ed equilibrata, preservando la godibilità generale del gioco!
Va fatto anche un plauso al modo in cui in generale sono gestiti l’orrore e il senso di tensione del gioco, la sensazione di essere braccati a il senso di impotenza vanno a costruire un crescendo di pathos e disperazione del giocatore che riesce a sfociare nell’orrore più puro quando ci si ritrova faccia a faccia col Wraith o con altri abomini senza mai cedere ai jumpscare banali, e quando effettivamente ci sono si rivelano ben piazzati e contestualizzati.
Comparto tecnico terribil… mente ben riuscito!
Un altro dei limiti tecnici con cui la realtà virtuale (perlomeno su console) deve ancora fare i conti è la scarsa qualità tecnica che nella maggior parte dei casi i visori riescono a restituire. Wraith: The Oblivion – Afterlife invece è realizzato con una cura nelle texture e delle ambientazioni davvero non da poco.
Quando in precedenza si accennava al fatto che Villa Barclay riesce a rubare la scena anche ai personaggi che animano quest’esperienza è anche per la cura con cui gli ambienti sono realizzati, il fatto che in effetti i personaggi siano rappresentati come semplici silhouette potrebbe essere giustificato dalla volontà del team di sviluppo di puntare il focus interamente sulle ambientazioni e si tratta decisamente di un’intenzione ben realizzata e perseguita fino in fondo che si riversa in texture curate e gradevoli da guardare.
Come molto spesso mi capita di ribadire, in un titolo horror il sonoro si rivela spesso più importante della grafica, e specialmente in un gioco come questo, in cui la tensione si costruisce interamente sui fruscii, sugli scricchiolii e sui rumori in lontananza, la gestione dell’audio spaziale da parte degli sviluppatori si rivela estremamente precisa e curata, in una magione cupa in cui i silenzi sono decisamente più importanti e interessanti delle poche tracce audio che accompagnano le rivelazioni cruciali.
In definitiva, Wraith: The Oblivion – Afterlife si è rivelato una vera e propria sorpresa, un titolo che rischiava di essere semplicemente una goccia in un mare di produzioni poco significative e fin troppo simili tra loro e che invece si rivela un gioco fatto di atmosfere ben riuscite che riesce a far sentire il giocatore costantemente in tensione e a ravvivare un genere horror ormai capace di generare ben poco orrore nei giocatori nella maggior parte dei casi.