Sviluppato da Lizardry e pubblicato da Playism, Refind Self: The Personality Test Game è un videogioco di avventura in 2D in pixel art molto minimal ma efficace, che ha come obiettivo quello di analizzare il nostro modo di interagire all’interno del mondo di gioco restituendo un’analisi della nostra personalità, il tutto mentre racconta una sua storia e ci pone dinanzi a diversi mini giochi da poter, a loro volta, risolvere in vari modi. Noi abbiamo messo alla prova noi stessi, più volte, su Nintendo Switch e questa è la nostra recensione.
Refind Self: The Personality Test Game e la scoperta di se stessi
Refind Self: The Personality Test Game ha un duplice scopo: quello di svelare una storia frammentata e che richiede più di una run per scoprire gran parte dei suoi segreti e quello di rivelare la nostra personalità (o parte di essa). Entrambi gli obiettivi avanzano parallelamente modificandosi e svelandosi man mano che agiamo nel gioco. Ogni cosa che faremo in quel titolo, dal decidere di parlare con qualcuno dei PNG presenti al raccogliere un fiore, comporta a una valutazione (che sia essa visibile o silenziosa).
Ogni cosa che faremo o non faremo è analizzato e immagazzinato dal titolo. Sono dati che vengono tradotti in “classi” a loro volta legate a determinate sfumature di personalità di cui Refind Self ha un proprio album (che puoi consultare già dalla schermata d’inizio ma che consigliamo di non fare onde evitare di essere condizionati dal nostro gioco). Il titolo pubblicato da Playism, infatti, va giocato in modo personale e autentico, quale che sia il tuo obiettivo, sta a te decidere come e cosa fare e i tempi in cui farlo.
Che sia esplorare o focalizzarti su un singolo minigioco, tutto in Refind Self è sia analisi di sé che narrazione. Eseguire date azioni, infatti, può portare all’apparizione di un dato personaggio o allo svelamento di una determinata casa. Banalmente: decidere se accarezzare o spostare di peso un docile gattino cambia radicalmente le nostre scelte e ci può svelare un percorso totalmente inaspettato.
Sia chiaro, in Refind Self non c’è nulla di trascendentale o estremamente originale, ma la narrazione frammentata e da ricostruire, fatta da flashback da scovare e da dialoghi a risposta multipla da affrontare, funziona, coinvolge e soddisfa. Ma procediamo con ordine. Prima di tutto, noi siamo un androide il cui nome potremo decidere in ogni run (e anche questo avrà effetto sulla nostra analisi personale).
Tale androide esordisce su schermo vicino a una tomba: quella della scienziata che lo ha creato. Da quel momento saremo abbandonati a noi stessi in una run che ha una durata media di un’ora (a seconda anche se accetteremo o meno dei bonus proposti dal titolo stesso). Lo scopo di base del titolo è quello di rivivere la storia del droide e della sua creatrice e soprattutto svelare le vere intenzioni di quest’ultima, il suo obiettivo e quindi anche quello del droide stesso.
Possiamo affermare che, per avere una visione discretamente ampia e sufficiente della storia, bisogna completare almeno tre run di gioco. Inutile dire che il come queste run vengono vissute può ampliare o meno il mosaico di conoscenza legato alla narrazione dell’opera. Di certo, Refind Self è un titolo che invoglia a giocare ancora e ancora, non solo per scoprire gli innumerevoli retroscena e segreti dei vari personaggi coinvolti nella storia del nostro androide e della sua ideatrice ma anche per scoprire come ottenere le varie personalità e quanto queste possono più o meno essere inclini al nostro modo di agire e pensare.
Gioca come vuoi
Refind Self è un’avventura in 2D a scorrimento orizzontale che include al suo interno innumerevoli e piccoli elementi estrapolati da altri generi. Andiamo da piccole frazioni da visual novel con tanto di discussioni da leggere e risposte multiple con relative conseguenze fino a mini giochi in stile rhythm game. Interessante la presenza di scontri a turni in pieno stile Pokémon dove il nostro droide è chiamato ad eseguire scontri in modo molto logico.
Nel dettaglio, tocca riflettere e studiare il danno inferto e ricevuto e decidere quando e come utilizzare determinate abilità consumabili in nostro possesso. Nulla di estremamente ingegnoso ma piacevolmente implementati e che offrono una varietà sorprendente considerando la breve durata di una singola run. Oltre agli scontri e ai vari mini giochi, c’è anche una sorta di gestione di risorse (i soldi) ottenibili da lavori (di vario genere tra cui il classico: servire il caffè al bar) e utili per ottenere informazioni segrete, bonus passivi o svelare ulteriori percorsi nascosti e opzionali.
In Refind Self c’è un continuo senso di scoperta che va di pari passo con lo scopo principale del titolo: analizzare il tuo stile di gioco. Come già detto più volte, tutto quello che si fa in Refind Self è analizzato e tradotto in varie classi a loro volta racchiuse in macro aree. Cambiare il nome alla droide? aiutare qualcuno? Tentennare in una decisione? Restare seduti su una panchina per “tot” minuti? Tutto ciò che si fa ha un peso concreto nel titolo. Come? Grazie all’energia qui rappresentato da un cuore in costante riempimento.
Ogni azione, scelta, analisi, raccolta… tutto ha un peso in “energia”. Una volta che il cuore si riempie raggiungendo il 100%, la partita giunge al suo termine. Questo ti costringe a dover eseguire determinate scelte e, inutile dirlo, una run sola non basterà a svelare tutto ciò che il mondo di gioco racchiude in sé. Dovrai tentare e ritentare, mettere in gioco la tua personalità e le tue scelte (che di run in run verranno sì memorizzate ma dovrai tu ricordare cosa hai fatto o meno). Questa struttura è sì intrigante ma già dopo le prime run si inizia a sentire una certa monotonia.
Quest’ultima è amplificata dal fatto che il mondo di gioco è discretamente contenuto ed esteticamente abbastanza anonimo. Non fosse per le piccole sorprese nascoste e per il modo in cui muta e si svela a seconda di quasi ogni singola opzione, il titolo non avrebbe tutto il fascino che abbiamo fin qui snocciolato. Eppure, proprio questa sua struttura, questa sorta di natura da esperimento “sociale”, lo rende inadatto a tutti gli utenti.
Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Refind Self è molto minimalista La pixel art usata è semplice, con animazioni basilari e poco originali. Prova a potenziare la propria identità scegliendo di utilizzare pochi colori che ben si sposano con l’atmosfera generale del titolo, riuscendo a fornire un impatto generale più che sufficiente seppur non molto memorabile. Discorso analogo per il sonoro che fatica a conquistare ma che, in compenso, non si dimostra mai fastidioso o assillante.
Da segnalare la quasi totale assenza di bug, giusto qualche fugace rallentamento nel passaggio da un’area all’altra ma niente di grave. Anzi, il titolo si difende molto bene in entrambe le modalità dell’ibrida Nintendo con quella portatile particolarmente idonea per la tipologia di gioco. Infine, è molto apprezzata la presenza della lingua italiana (sottotitoli, il titolo non ha alcun tipo di doppiaggio audio), permettendo così di godere appieno dell’esperimento videoludico.