Remnant: From The Ashes è l’ultima IP di Gunfire Games, lo stesso sviluppatore che da non molto ha preso in mano le redini della serie Darksiders. Uno studio che non è riuscito con la sua misera campagna pubblicitaria a far salire la febbre d’attesa per il suo videogioco. Anche adesso riguardando i trailer ufficiali, il gioco lascia la chiara impressione di tutto fumo e niente arrosto, di un titolo di quelli che non si capisce bene dove catalogare. Se anche tu, come me, hai avuto questa fastidiosa sensazione e il gioco non ti ha convito del tutto, fermati un secondo a leggere la mia recensione. Il gioco al di là della prima impressione ha molto da regalare e, a seconda dei propri gusti personali, potrebbe essere il caso di concedergli una possibilità.
Una storia interessante, ma…
L’incipit narrativo di Remnant: From the Ashes racchiude nei primi 15 minuti lo stesso ritmo che avrà la narrazione dell’intero gioco. In sostanza, verremo buttati in un mondo apocalittico, con una voce narrante fuori campo, che ci presenta come l’eroe di cui il mondo ha bisogno senza alcun tipo di spiegazione, come se ci si ritrovasse nei panni degli eroi di una favola banale, di quelle un po’ scontate. Una volta superata la rude e velocissima fase dei tutorial dei comandi, che continuerà via via che il gioco si articolerà nelle sue meccaniche, arriveremo in fretta e furia nella prima e unica hub di gioco, il Ward 13. Questa struttura d’isolamento è stata costruita per difendere i pochi umani sopravvissuti da una piaga, un’infestazione di mostri simili a piante chiamati Root. È in questo luogo che faremo le nostre prime conoscenze, un fattore che, anche grazie ai documenti reperibili nel complesso, in pochi minuti comincerà a dare fascino e spessore al mondo di gioco. Remnant però nel suo incedere prosegue con quest’incostanza: la storia parte in sordina, diventa di colpo molto interessante per via dei tantissimi spunti forniti sul mondo di gioco, per alternarsi nuovamente a fasi di gioco in cui la trama prosegue a malapena. La sensazione generale è quella di una montagna russa, in cui una narrazione c’è e non c’è. Molti spunti forniti dalla storia di Remnant sono ben più che interessanti ed è davvero un peccato che i ragazzi di Gunfire Games non abbiano calcato un po’ più la mano sull’universo di gioco.
Mamma, c’è dello shooter nel mio Dark souls!
Lo so, lo so cosa stai pensando. Un altro che infila Dark Souls ovunque! D’altronde sembra essere diventata una moda quando si tratta di difficoltà quella di paragonare i giochi a Dark Souls, una follia che spinse tantissime persone a paragonare persino Cuphead al lavoro di Myazaki. Nonostante ciò, e in realtà, se ami il sottogenere Souls e non sei nuovo ai looter shooter dovresti proprio dare una possibilità a Remnant. Il gioco prende elementi qua e là da Destiny e The Division, fondendo uno shooting caratterizzato da una forte componente multiplayer ad alcune meccaniche e alla difficoltà di Dark Souls.
Se già i riferimenti ai due looter shooter su citati sono più circostanziali e fanno leva su elementi simili, ma ricalcati solo alla lontana sugli shooter di casa Bungie e di Massive Entertainment, quelle a Dark Souls sono delle vere e proprie citazioni al titolo di From Software, sia per quanto riguarda un fanservice, onestamente un po’ pesantino, sia per quanto riguarda invece proprio meccaniche di gameplay e scelte di game design. Se dal puro lato delle citazioni sono presenti i posti di blocco, checkpoint in tutto e per tutto simili al ben più iconico falò, e la classica nebbiolina da attraversare prima di una boss fight, per quanto concerne invece il lato gameplay, oltre a una difficoltà punitiva, abbiamo una rappresentazione 1:1 della meccanica del peso di Dark Souls e del suo roll. In pratica in base al peso dell’armatura indossata potremo avere tre capriole differenti, che seguono pari pari lo schema di quanto già visto in Dark souls: fast roll, mid roll e fat roll. Per quanto riguarda le armature c’è una piccola evoluzione rispetto al genere di riferimento: queste non si limitano a fornire una difesa ai colpi nemici e neppure a donarci specifiche resistenze elementali, ma una volta indossati più pezzi della stessa armatura queste vengono dotate di veri e propri “bonus set“.
Le analogie con Dark Souls non finiscono qui, infatti oltre a fornirci un momento di respiro e ricaricare gli utilizzi del Cuore di Drago (il corrispettivo della fiaschetta Estus, altra analogia), i posti di blocco potranno venir utilizzati per spostarci fra le numerose zone proposte da Remnant. Anche il potenziamento delle armi e delle armature ha un concept quasi del tutto identico a quello già visto nei capitoli dell’anima oscura, con la possibilità di forgiare armi e mod dai resti ricevuti in premio per l’uccisione di un boss. Le similitudini con Dark Souls finiscono qui e non ho intenzione di rivangare il nome del titolo From nel proseguo di questa recensione: questo perché, nonostante la chiara ispirazione, il gioco ha una sua forte identità e sarebbe scorretto nei confronti del buon lavoro di Gunfire Games continuare a paragonare Remnant a un altro titolo.
Cos’ha di speciale questo gioco?
Remnant: From the Ashes è stato un titolo che mi ha saputo sorprendere fin dai primi momenti. Il gameplay è il vero centro focale del gioco e a parte qualche incertezza nel combattimento corpo a corpo, non del tutto limato a dovere e che andrebbe sicuramente migliorato con qualche patch futura, è il gunplay a farla da padrone in Remnant. Le bocche di fuoco sono tutte molto particolari e, grazie a una varietà piuttosto assortita delle stesse, sanno regalare quasi tutte un feeling molto diverso fra loro. Ben congegnato anche il sistema di mod delle armi, che ne cambiano le modalità di fuoco, permettono di utilizzare colpi molto potenti o forniscono supporto per la squadra. Esistono due tipi di mod, quelle “libere” e quelle “legate” alle armi. Questa scelta, che potrebbe sembrare un’inutile limitazione, va invece a creare un bilanciamento perfetto nel proprio equipaggiamento. Ad avere le mod fisse, sono le armi che si possono craftare nel Ward 13 con i resti dei boss. Talvolta però, i boss rilasceranno materiali per la creazione di mod e non di armi, mod talvolta estremamente potenti. Se solitamente le armi dei boss sono più potenti di quelle normali, e sono dotate di mod particolari, le armi “normali” sono meno potenti, ma garantiscono la flessibilità di poter scegliere le mod da utilizzare in tutta tranquillità. Questa gran varietà, coadiuvata dall’esistenza di anelli, amuleti, caratteristiche e bonus set fa in modo che in Remnant sia possibile creare delle vere e proprie build.
Un altro aspetto di Remnant che lo rende un gioco estremamente particolare è la generazione procedurale di zone di gioco non fondamentali per la trama. In pratica ogni campagna mischia, aggiunge e leva elementi in maniera del tutto casuale. Il risultato?Una longevità e una rigiocabilità estremamente marcate. Nelle partite con gli amici mi è capitato non poche volte di entrare nel loro mondo e meravigliarmi di quanto fossero differenti dal mio, con tanto di dungeon, assets, oggetti, missioni secondarie e NPC che non avevo mai visto. Anche i boss cambiano di campagna in campagna, rendendo necessario entrare nelle partite di altri giocatori per poter ottenere armi, mod e caratteristiche, utili alla costruzione di una build sensata. Per quanto riguarda i boss inoltre, un plauso a Gunfire per aver creato delle bossfight quasi sempre ben pensate e originali.
Dovresti prendere in considerazione l’acquisto di Remnant: From the Ashes se sei in cerca di una sfida e ancora di più se lo sei insieme ai tuoi amici. Remnant non è un gioco difficilissimo, intendiamoci, ma sa essere molto punitivo ed è sicuramente un titolo impegnativo. Solitamente a rendere difficili il gioco sono due elementi: l’enorme quantità di nemici che attaccano contemporaneamente e la loro continua (e pessima) abitudine di comparire alle tue spalle. Le sezioni nelle mappe e nei dungeon in compagnia, nonostante il potenziamento dei nemici, sono decisamente semplificate, probabilmente per il fatto che in gruppo sia più facile gestire folti gruppi di nemici. Totalmente differente la questione boss: spesso e volentieri è più facile affrontare un boss da soli piuttosto che accompagnati dai propri amici, con i quali è possibile formare squadre da 3 giocatori. Questo non perché i boss diventino spugne di punti vita, ma perché spesso e volentieri aggiungono mosse al loro moveset e diventano molto più feroci e aggressivi.
Cosa andrebbe rivisto?
Nonostante i grandi pregi Remnant: From the Ashes si porta dietro dei difetti, come ogni videogioco d’altronde. Il problema è che i difetti di Remnant incidono negativamente sul risultato complessivo, andando a fiaccare un esperienza imperdibile. Se nel gameplay e nelle idee Remnant è un gioco da promuovere (quasi) a pieni voti, la situazione si incrina quando si tratta dell’aspetto tecnico del titolo. Se già l’aspetto grafico generale è mediocre e controbilanciato solo parzialmente da un ottimo comparto artistico, a dare il colpo di grazia al gioco sono i terribili cali di FPS che si registrano dopo il primo mondo di gioco. La situazione è così grave che si arriva persino a dei freeze veramente spiacevoli. In momenti di delirio come questi Remnant arriva addirittura a crashare. Per fortuna però in 50 ore di gioco non ho quasi mai avuto problemi di malfunzionamento per quanto riguarda la componente multiplayer.
Anche il sistema di costruzione procedurale si porta dietro qualche problemino non da poco. Se da una parte questa innovativa idea di design regala un tocco di originalità al gioco, ci sono degli assets ambientali che vengono ripetuti in maniera fin troppo marcata, anche tenendo a mente dei limiti della proceduralità degli ambienti. Un così forte senso di già visto in ambientazioni che sanno essere così affascinanti è davvero un peccato. In generale sarebbero anche da smussare piccoli bug grafici come le compenetrazioni e i pop up, con un piccolo ritocchino anche all’intelligenza artificiale.
Un vero spreco anche la colonna sonora e il comparto audio in generale. Anche qui possiamo osservare alti, con un indimenticabile ost del menù e un buon doppiaggio, e bassi fatti da occasionale desincronizzazione fra audio e video, suoni e musiche in generale non troppo convincenti.