Quasi vent’anni fa Desmond Miles, compianto protagonista di Assassin’s Creed, scopre di poter “rigiocare” ricordi e memorie attraverso una tecnologia avveniristica chiamata Animus. Un’intuizione geniale, che permette di rivivere la storia in prima persona ma che nel tempo, tra parkour e civiltà misteriose, ha ceduto il passo a spunti narrativi giudicati più interessanti e promettenti. Metaforicamente parlando, però, l’Animus e la storica saga di Ubisoft sono perfetti per introdurre un fenomeno cruciale nella storia dell’industria videoludica: il retrogaming.
Ad oggi la pratica di giocare vecchi titoli, spesso anche lontani anni luce dalla vette di qualità attuali, non è più soltanto una semplice velleità nostalgica ma un vero e proprio trend di mercato da perseguire e sviluppare. Remake di titoli come Prince of Persia e Medievil o sequel quasi ventennali confermano una tendenza a riscoprire titoli ancora capaci di raccontare qualcosa al videogiocatore next-gen.
E’ innegabile che la componente nostalgica del fenomeno sia fondamentale: titoli come GTA, God of War, Call of Duty o Need for Speed ci riportano ad un passato mitico di giovinezza e spensieratezza. Ma rigiocare vecchi titoli, seppur in salsa rimasterizzata magari, costituisce anche una riscoperta del genere videoludico in quanto cultura e non semplice intrattenimento.
Impegno e Divertissement: universi paralleli nel passato dell’industria.
Nella storia dell’industria, a prescindere dal genere d’intrattenimento, si riconoscono sempre alcune tappe cruciali del processo di sviluppo: la sperimentazione iniziale, la nascita della dimensione commerciale, la scissione tra mainstream ed indie, e per ultimo, non per forza in senso cronologico, la configurazione di una dimensione culturale capace di fare breccia nell’immaginario collettivo. (Super Mario e Pokemon a titolo d’esempio: non semplici videogiochi ma veri e propri fenomeni culturali.)
Nell’industria videoludica il ventennio a cavallo tra gli anni ’90 e la prima decade del XXI secolo ha visto una fase di esplorazione e sperimentazione del genere che ha segnato l’evoluzione del gaming, ma è soltanto nel decennio successivo che quella fase è diventata oggetto di studio e rivalutazione. Nel 2016 Nintendo commercializza una Classic Edition di NES, cioè fondamentalmente un replica in miniatura del NES originale, e Sony segue due anni dopo con Playstation Classic per la prima storica consolle del 1994, portando ufficialmente il retrogaming nel mercato mainstream e riconoscendo ad un semplice fenomeno di costume dignità commerciale.
Ristagno ed involuzione: i rischi del futuro.
Non soltanto velleità nostalgiche, dunque, ma vero e proprio ripensamento e studio di una forma di intrattenimento che evolve in genere culturale ed espressione artistica . Una sorta di animus dove rivivere vecchi ricordi per trovare nuove strade, tanto per tornare in casa Ubisoft, ma con il rischio, come sempre, di dimenticare presente e futuro dell’industria.
Se per un attimo pensiamo al retrogaming come ad una generale tendenza di costume e di mercato a tornare indietro e passiamo dal lato della produzione, è facile notare come sempre meno attenzione si riservi alle nuove uscite, alle nuove idee e alle nuove intuizioni.
E’il problema di ogni industria, in fondo: la popolarità del mainstream contro la sperimentazione dell’Indie, ma nell’industria videoludica, generalmente accostata ad una media anagrafica più giovane, una retrospettiva eccessiva non è troppo rassicurante. Può indicare mancanza di idee, assenza di spunti e paura di sperimentare, di solito sintomi di involuzione e ristagno.
A metà strada tra il bene e il male, tuttavia, si pongono esperimenti di successo come God of War o GTA. Titoli fondamentali nella storia del gaming ma capaci di ripensare e rielaborare gli elementi di base in una nuova formula vincente.
God of War: l’eredità di Kratos
Quando Kratos, a titolo d’esempio, macellava metà del pantheon ellenico e si portava a letto l’altra metà nessuno avrebbe mai pensato di ritrovare il fantasma di Sparta in villeggiatura tra i boschi di Vikings, con tanto di figlio a carico e tormenti di padre. Eppure l’intensità e la profondità della nuova saga non ci ha disturbato troppo e abbiamo ripreso a squartare mostri e scagnozzi pur familiarizzando con una nuova dinamica di gioco e narrativa.
Proprio la vicenda umana di Kratos rappresenta perfettamente il confronto fra due diverse epoche del gaming e il problema dell’eredità. Il primo storico capitolo di God of War irrompe su Playstation 2 nel 2005, con un carico di sangue e violenza capace di rivaleggiare con i vari Tekken e Mortal Kombat; all’epoca il titolo di Santa Monica Studio ben incarnava il trend avventuroso e sanguinario dell’industria mainstream tra 2000 e 2010.
Nella saga nordica, invece, il fantasma di Sparta è costretto a contenere la sua furia in virtù di nuove responsabilità e dinamiche narrative più liriche e profonde, proprie anche di un pubblico in gran parte più maturo e consapevole rispetto all’epoca della saga ellenica. L’operazione sequel/ revival di God of War rappresenta una summa di tutti elementi propri del fenomeno retrogaming: la nostalgia, la rivisitazione, l’evoluzione del genere e persino la ricerca di nuovi spunti e prospettive per il futuro.
A conclusione si potrebbe definire il retrogaming non soltanto come un fenomeno di costume o una tendenza di mercato ma come sintomo di una forma di intrattenimento matura e consapevole della propria qualità, sempre più in grado di affiancare cinema e letteratura nel roster dell’industria culturale e della produzione artistica.