Rift Rangers è uno di quei titoli che rientra nel filone di videogiochi come Vampire Survivors o Magic Survival . Parliamo quindi di un genere che sta andando molto di moda ultimamente per via della sua alta rigiocabilità. Proprio per questo motivo molti sviluppatori indie si sono buttati su questo loop di gameplay, che di conseguenza è ormai inflazionato.
Rift Rangers cerca quindi di proporre qualcosa di nuovo, che possa in qualche modo differenziarlo dalla massa. Vediamo se ci riesce in questa recensione.
Nessuna storia in Rift Rangers
Rift Rangers non ha nessuna storia o alcuna forma di intreccio narrativo. Al contrario il titolo ci butta subito nell’azione senza troppi preamboli. Vale però la pena sottolineare i richiami molto palesi ai classici show televisivi dei Power Rangers: i protagonisti stessi, alcuni attacchi, i mostri, e in generale l’estetica e persino le musiche richiamano proprio le tipiche rappresentazioni dei famosi eroi in tutina.
Pur non avendo una storia, quindi, Rift Rangers riesce comunque a presentare un’estetica a suo modo unica, che richiama un franchise in qualche modo amato da moltissime persone, anche solo per un effetto nostalgia.
Nemici, tanti nemici
Il loop di gameplay di Rift Rangers richiama quanto visto in titoli come Vampire Survivors. Ogni livello è quindi strutturato come un’arena più o meno ampia, dentro la quale spawnano diverse ondate di nemici che cercano immediatamente di accoppare il giocatore. Quest’ultimo deve quindi sopravvivere a orde sempre più agguerrite e sempre più numerose, utilizzando armi di ogni tipo.
Ogni Power ranger inizia, infatti, con un’arma standard ma, uccidendo i primi nemici, si ottengono punti esperienza con cui salire di livello. Salendo di livello è possibile Poi acquistare nuove armi e nuovi potenziamenti passivi. Questi ultimi possono essere semplici migliorie di statistiche, nuove armi, oppure potenziamenti di armi già possedute. Sbloccare nuovi strumenti di morte vuol dire avere la possibilità di sconfiggere più facilmente le ondate di nemici, le quali diventano progressivamente più difficili da gestire. Si crea quindi un circolo virtuoso, dove il giocatore sconfigge i nemici, raccoglie i punti esperienza da terra, ottiene nuove armi e nuovi potenziamenti, con i quali gestisce le successive, è più numerose, ondate di mostri.
A differenza degli altri titoli del genere, però, Rift Rangers non presenta possibilità troppo concrete di creare delle vere e proprie build ma, al contrario, dona semplicemente al giocatore una manciata di armi per ogni personaggio. Questo Arsenale può essere aumentato giocando (grazie alla metaprogressione tra le varie partite), ma il risultato finale non è mai troppo profondo. Buona parte delle armi, infatti, richiede di essere semplicemente posizionata, per poi agire in autonomia. Allo stesso modo i potenziamenti passivi degli strumenti di morte non non sempre sono impattanti come dovrebbero e in generale difficilmente si combinano tra loro.
In ogni caso, concludendo le partite di Rift Rangers, oppure completando obiettivi specifici durante ogni run, è possibile sbloccare nuovi personaggi, nuove armi, e più in generale potenziare le statistiche dei personaggi. Tutto questo contribuisce a delineare un senso di progressione, aumentando non solo la longevità generale del prodotto, ma anche la varietà e la rigiocabilità, che in titoli del genere non sono mai scontate.
Di fatto, il loop di gameplay di Rift Rangers è decisamente stretto, e tendenzialmente le partite tendono ad assomigliarsi un po’ tutte. Questo difetto, tipico del genere, risulta in questo caso particolarmente impattante, dato che il titolo si inserisce in un mercato praticamente già saturo, senza riuscire ad offrire qualcosa di realmente diverso o nuovo. Il risultato e quindi un videogioco, sicuramente valido per gli amanti del genere, ma lontano dall’eccellenza – o semplicemente anche dalla possibilità di dire la sua sul mercato – e che ha il suo punto di forza maggiore nell’estetica colorata “da Power Rangers”.
Sia chiaro, Rift Rangers non è un brutto prodotto ma, va detto, si limita a essere il classico reverse bullet hell dove la progressione viene strutturata in partite molto simili tra loro, alternate dall’acquisto di elementi che delineano una metaprogressione molto marcata (peraltro limitata all’acquisto di potenziamenti passivi o dal completamento di sfide per lo sblocco di armi o personaggi), nonché dallo sblocco di nuove arene progressivamente più difficili da concludere, ma che di fatto ricalcano la stessa struttura ludica.
Tecnicamente mediocre
Il comparto tecnico di Rift Rangers è fin troppo semplice. Questo si basa infatti su una pixel art colorata e a suo modo soddisfacente – per via di sprite sufficientemente dettagliati, accompagnati da effetti visivi relativamente curati – ma affiancata da animazioni pressoché inesistenti. Ogni nemico si muove infatti in modo fin troppo limitato, semplicemente con una sorta di stretching dello sprite. Chiaramente ci sono eccezioni alla regola, ma il risultato finale non è troppo soddisfacente.
Il comparto artistico è forse la parte più riuscita del titolo, grazie a un richiamo costante ai Power Rangers, ai Mega Zord, e in generale all’atmosfera eccessiva ed esagerata che caratterizza il franchise.
Infine, il comparto sonoro è fin troppo limitato, con poche musiche ripetute molte volte.