Riot: Civil Unrest è un titolo particolare, di cui è difficile parlare seguendo i canoni classici del videogioco. Infatti, questo indie parte da un’idea originale, la quale vede una realizzazione che segue un concetto quasi pedagogico, cercando di mostrare all’utente le dinamiche dietro una rivolta. Il gioco sembra essere stato realizzato proprio tenendo a mente questo, al fine di creare un’esperienza diversa dal solito gestionale-strategico e maggiormente orientata su dinamiche imprevedibili.
La storia stessa di Riot: Civil Unrest è legata a doppio filo all’esperienza reale di uno degli sviluppatori. Leonardo Menchiari (eh si, Riot: Civil Unrest è un indie tutto italiano!) ha iniziato lo sviluppo del gioco dopo aver preso parte, in prima persona, ad alcune manifestazioni NO-TAV in Val di Susa; per cercare di fermare la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità. Qui, Menchiari è rimasto colpito da un dettaglio che solitamente passa in secondo piano: anche la polizia aveva paura. Questo ha fatto capire che in una rivolta, la paura prende entrambi gli schieramenti, portando potenzialmente a conseguenze imprevedibili.
Riot: Civil Unrest si propone di mostrare queste dinamiche dietro le rivolte, al fine di far vedere come siano difficili da controllare, dato che la tensione può sfociare da un momento all’altro. Proprio l’illusione del controllo è alla base del titolo, dato che l’IA simula alla perfezione le possibili reazioni umane.
Parliamo, quindi, di un gioco che cerca di mostrare la natura emotiva di quegli scontri, andando oltre l’intrattenimento, presentandoli più da vicino e cercando di far riflettere il giocatore. Come si traduce tutto ciò nell’esperienza complessiva?
La storia (contemporanea)
Riot: Civil Unrest non ha una trama. Non c’è nessun intreccio di fatti a romanzare le diverse missioni che il gioco propone. Al suo posto abbiamo una breve descrizione della “missione”, per farci capire il contesto della rivolta, dandoci alcune indicazioni. Alcune frasi tra un livello e l’altr0, poi, aggiungono atmosfera.
Tutte le descrizioni osservabili prima delle missioni sono di rivolte realmente accadute. Ogni scenario, infatti, ricrea degli scontri avvenuti negli ultimi anni in diversi punti del continente. Proprio questa è la particolarità di Riot: Civil Unrest. Il titolo sceglie di mostrare al giocatore dei fatti reali, senza romanzarli e senza dare opinioni favorevoli a nessuno dei due schieramenti.
Ogni descrizione narra la vicenda in maniera impersonale, dando al giocatore il compito di documentarsi e di scegliere lo schieramento. Che siano le forze dell’ordine o i rivoltosi, non importa: chi “ha ragione” lo stabilisce l’utente, con la sua personale valutazione.
Questo viene proiettato nel gameplay del gioco, dato che possiamo scegliere di quale schieramento fare parte. Polizia e rivoltosi hanno dinamiche leggermente diverse, ma sono entrambi accomunati dall’imprevedibilità e dalla paura.
L’illusione del controllo
Eccoci arrivati al punto centrale di Riot: Civil Unrest: il gameplay. Quest’ultimo, in questo caso, è importante quasi quanto una narrazione.
Alla base di tutto troviamo una struttura assimilabile a quella degli RTS: Poco prima di una missione possiamo personalizzare le unità che manderemo in campo. scegliendo il loro equipaggiamento, tenendo conto dell’atteggiamento che vogliamo tenere durante la partita. Ogni oggetto equipaggiabile varia in base alla fazione impersonata; ad esempio, i ribelli possono utilizzare il malox per contrastare i lacrimogeni, le pietre e le molotov. Dall’altra parte la polizia possiede lacrimogeni, flashbang, fumogeni e tattiche ben precise.
La scelta degli oggetti, come accennato poco fa, non è casuale, ma deve essere ponderata: non ha senso portare delle molotov se vogliamo tenere un approccio pacifico. Allo stesso modo, dal lato della polizia, possiamo scegliere diversi “gradi di violenza”, in base all’equipaggiamento scelto per la missione.
Dopo questa fase preparatoria arriva l’azione in tempo reale vera e propria.
Durante lo svolgiamento degli scontri possiamo osservare il campo di battaglia con una visuale dall’alto che ci permette di vedere in modo chiaro cosa stia accadendo. In qualsiasi momento possiamo cambiare le unità selezionate, per poi impartire dei comandi specifici. C’è da dire che inizialmente questa visione spiazza il giocatore, dato il gran numero di sagome presenti su schermo e lo stile grafico particolare, tuttavia, dopo qualche minuto di tentativi si capisce cosa fare e come muove al meglio le proprie unità. A tal proposito, sarebbe stato gradito un tutorial, che tuttavia è assente.
La polizia può vantare delle vere e proprie classi, ciascuna con caratteristiche ed abilità specifiche. Ogni unità (per entrambe le fazioni) è composta da gruppi più o meno numerosi di diversi individui, i quali si muovono all’unisono seguendo gli ordini impartiti (quando non sono spaventati o arrabbiati). Sempre nel caso della polizia, possiamo scegliere la formazione di avanzamento in base alla situazione che abbiamo di fronte; facendo muovere le unità a cuneo, in linea od a ranghi serrati.
Le diverse “classi” svolgono tutte funzioni distinte che occorre conoscere per gestire al meglio ogni situazione. I reparti tattici possono tenere meglio una posizione, grazie alle loro abilità di difesa; le unità d’assalto possono utilizzare delle finte cariche per spaventare la folla o scattare fotografie; infine abbiamo persino poliziotti equipaggiati con lanciagrante fumogeni ed altri strumenti utili nelle situazioni più spinose. Tutte queste abilità non dipendono soltanto dalla classe predefinita, ma anche dalla dotazione da noi scelta.
Tenendo conto di questo, la spina dorsale del gameplay risiede nello spostamento delle unità in base alla strategia che abbiamo in mente, selezionando formazione ed utilizzando le abilità qualora servisse; il tutto cercando di restare più pacifici possibile, dato che le violenza porterebbe alla sconfitta politica.
In ultimo, possiamo cambiare l’assetto da offensivo a difensivo, con conseguente differenza di approccio, più o meno aggressiva. Abbiamo la facoltà di tornare in qualsiasi momento ad un modus operandi pacifico; tuttavia, dopo aver innescato una reazione violenta risulta difficile calmare nuovamente la situazione.
I ribelli vengono controllati in modo simile, agendo anch’essi in gruppi distinti che è possibile controllare. La differenza risiede nella natura stessa delle unità e nelle abilità che ne conseguono. Ad esempio, avanzare con la polizia fa spesso indietreggiare la folla. Questo per la presenza fisica di un gruppo di poliziotti in tenuta antisommossa. Giocando con i ribelli, invece, non avremo la stessa reazione avanzando, dato che i poliziotti sono addestrati a mantere la posizione e non cederanno terreno così facilmente.
Proprio per queste differenze, giocare con le due fazioni significa approcciarsi a Riot: Civil Unrest in maniera molto diversa. Con la polizia occorre stare attenti a non calcare troppo la mano, invece dalla parte dei rivoltosi bisogna prendere vantaggio cercando di non provocare troppo le forze dell’ordine. Detto così sembra facile, tuttavia non va sottovalutata la simulazione emotiva delle unità.
Nonostante le situazioni possano sembrare prevedibili, infatti, il controllo resta solo un’illusione. Questo perchè un sasso di troppo potrebbe far innervosire un agente apparentemente tranquillo ed allo stesso modo, un atteggiamento troppo aggressivo potrebbe trasformare una rivolta pacifica in un vero campo di battaglia. Ogni azione va sempre ponderata, proprio per evitare di far scoppiare scintille di violenza che farebbero degenerare tutto. Non è bello vedere le unità che ignorano gli ordini, ma proprio questo è il bello di Riot: Civil Unrest.
La simulazione delle emozioni delinea un gameplay unico e rende evidente cosa si possa provare in una situazione di rivolta. Giocando ci si rende conto che la paura e la tensione sono sempre presenti da entrambe le parti e che quelle situazioni sono difficilissime da gestire. Quello che il gioco riesce a fare, è mettere il giocatore all’interno di questi scenari, facendo sperimentare tutto in maniera meno apatica del lontano schermo della TV. Qui non ci limitiamo a guardare, ma agiamo in prima persona, scegliendo quale lato della barricata impersonare. Per questo, sconsigliamo di giocare il titolo alla difficoltà più bassa, dato che toglierebbe gran parte dell’unicità dell’esperienza.
Una scelta sicuramente coraggiosa ed unica, ma con una faccia negativa della medaglia. Di fatto, la necessità di dover limitare la violenza diventa presto noiosa, quando ci riferiamo alla parte puramente “ludica” del gioco.
Se a livello “simulativo” il lavoro svolto dagli sviluppatori è eccelso, quando si arriva a “giocare” Riot ci si rende conto dei suoi limiti. Spesso, dopo aver occupato una zona il gioco diventa puramente passivo, dato che si richiede di impostare le difese e non muoversi più. Questo si vede soprattutto con i poliziotti, dato che basta mettere le unità tattiche di fronte per impedire ai ribelli di fare qualsiasi cosa.
Dal lato dei rivoltosi, invece, la situazione tende a sfuggire di mano un pò troppo facilmente, portando il giocatore a diventare uno spettatore passivo del delirio che accade su schermo.
Questo, come detto, è encomiabile quando parliamo di una “dimostrazione” delle dinamiche di rivolta; tuttavia, parlando di puro e semplice intrattenimento siamo di fronte ad una pecca che riduce enormemente l’interazione del giocatore.
Usando un approccio violento, infatti, Riot Civil Unrest risulta estremamente più divertente, dato che si richiede di gestire una situazione pericolosa, combinando al meglio le unità presenti su schermo. Divertente, ma ben lontano dallo spirito del titolo e poco efficace nella modalità globale.
Riot, infatti, si divide in diverse modalità:
- Globale è la più intrigante, dato che ogni azione ha delle conseguenze gravi. Usare troppa violenza significa ricevere una sconfitta politica che porterebbe al fallimento anche in caso di completamento degli obiettivi previsti dallo scenario. Inoltre, una vittoria sanguinaria porterebbe i media contro di noi, rendendo più difficili le missioni seguenti.
- Campagna è una semplice raccolta dei diversi scenari di gioco, con una breve spiegazione e senza il “limite” della sconfitta politica.
- Editor permette di creare nuovi livelli, aggiungendo molta longevità al titolo.
- Versus è un vero e proprio multigiocatore.
Bello da giocare e bello da vedere?
La realizzazione tecnica di Riot: Civil Unrest è encomiabile. Nonostante la grafica in pixel art, gli sviluppatori sono riusciti a ricreare molto bene le diverse animazioni delle unità. Inoltre, ogni scenario risulta piacevole da vedere e spesso possiamo osservare persino delle ombre in movimento. Tutto questo in una splendida grafica in pixel minimalista.
Parlando del sonoro, saltano subito all’occhio i diversi rumori, ricreati molto bene (ad esempio il suono dello sparo del lacrimogeno). In aggiunta, le urla di terrore ed i cori sono sempre convincenti, contribuendo a creare la giusta atmosfera. Di livello più basso la componente musicale, fatta da musiche dimenticabili e poco incisive.
Per concludere
Riot: Civil Unrest è un titolo particolare, che entra nel mercato con un intento ben preciso: mostrare le dinamiche interne alle rivolte. Gli sviluppatori hanno pienamente raggiunto questo obiettivo, creando una struttura di gameplay originale. Tuttavia, la parte puramente ludica viene leggermente messa in secondo piano, lasciando il posto alla “componente emotiva” simulata dalle unità. E’ un difetto? Dipende dal giocatore. Se se stai cercando un RTS profondo e schematico, allora il gioco non fa per te. Se invece vorresti un titolo originale, oppure sei interessato alla componente “didattica” , allora Riot potrebbe sorprenderti.