Sviluppato da Insanity Games e pubblicato da Kwalee, Robobeat è uno sparatutto in prima persona fuso a un rhythm game e con elementi da roguelike. Un mix che impiega un po’ a ingranare ma che racchiude qualche gradevole sorpresa. Noi siamo andati a caccia del criminale Frazzer su Nintendo Switch e questa è la nostra recensione. Pronto a sparare a ritmo di musica?
Robobeat: è tutta questione di ritmo
Robobeat non ha una vera e propria trama e quello che accade su schermo non sempre ha un senso lineare e intuitivo. L’incipit stesso è un miscuglio di eventi e situazioni a cui si fa fatica ad ambientarsi. Prima di tutto c’è lui, Ace, il protagonista di cui vestiremo i panni. Si tratta di una sorta di pistolero che agisce esclusivamente ascoltando musica. Questa deve essere obbligatoriamente attivata altrimenti non entreremo mai in azione.
Non solo, il nostro protagonista oltre a essere in gamba con le pistole, è dotato anche di una sorprendente agilità che gli permette di scattare, scivolare, correre sui muri e doppio-saltare in aria. Il tutto per un’avventura frenetica in stile DOOM (con le doverose differenze). Lo scopo della nostra avventura? Trovare uno stravagante ricercato robotico, tale Frazzer (di cui troviamo in giro anche il classico manifesto “wanted”).
In realtà, nel goffo e mai limpido tentativo di dar forma a un mondo “narrativo”, Robobeat inserisce anche una sezione “documenti” fatta di email abbastanza criptiche, alcune anche umoristiche e che cercano di dar forma a una narrazione generica di cui rimane difficoltoso, soprattutto nelle prime fasi, capirci realmente qualcosa. Lo scopo principale del titolo, più che raccontare una storia, è quello di dar vita a un’esperienza ludica frenetica e sfaccettata. Ci sarà riuscito? Scopriamolo insieme!
Prima la musica e poi tutto il resto
Robobeat è uno sparatutto in prima persona con elementi da roguelike e incentrato su scontri a ritmo di musica. Il titolo non nasconde le sue ispirazioni che puntano essenzialmente a inserirlo all’interno di un sottogenere che sembra crescere sempre di più con esponenti di un certo calibro come Metal Hellsinger. Questo significa che, oltre a esser bravi nel muoversi all’interno dell’ambiente, bisognerà anche avere un certo ritmo seppur non totale.
Nello specifico, infatti, Robobeat non richiede di avere ritmo in ogni nostra azione ma esclusivamente nelle fasi di shooting con tanto di segnalatore a schermo vicino al nostro mirino. La musica ha infatti un ruolo essenziale all’interno del titolo. Sparare a ritmo, equivale a causare più danni, ricevendo più bonus e agevolandoci nella sopravvivenza. Sparere fuori ritmo, neanche a dirlo, causerà meno danni col potenziale rischio di farci anche soccombere facilmente. Padroneggiare il ritmo non è facilissimo, complice anche aree di gioco e nemici procedurali, imprevedibili e spesso difficili da tenere sotto controllo.
Il titolo richiede una discreta dose di pratica e pazienza (la frustrazione può emergere presto) ma ci viene incontro con diverse accortezze. La prima, molto coerente col titolo stesso, è la possibilità di ottenere, cambiare e anche modificare le tracce audio presenti. Robobeat infatti, tra i vari elementi collezionabili, ha anche delle audio cassette che sono delle vere e proprie tracce audio che dovremo obbligatoriamente selezionare prima di scendere in campo.
Ogni cassetta ha una sua musica e, neanche a dirlo, un suo ritmo che va quindi a dettare la velocità dei colpi (sia nostra che degli avversari). Questo sistema non è molto intuitivo ma è discretamente vario, coerente con lo spirito del gioco e una volta entrato nel sistema ludico, riesce a rapire e coinvolgere anche se il rischio “loop” è dietro l’angolo e non solo in termini acustici. L’altra accortezza del titolo per agevolarci nella nostra esperienza è denominata “relax” e va ad annientare tutta la coerenza fin’ora citata.
Tale modalità va a inibire le funzioni di ritmo. Questo significa che il titolo continuerà a obbligarci a selezionare una cassetta musicale ma non saremo più influenzati dal ritmo e quindi niente malus in caso di colpi sparati alla cieca. Questo elemento funge da semplificatore ma in realtà elimina completamente l’identità del titolo che diventa così uno sciapo sparatutto in prima persona il cui livello di difficoltà permane comunque discretamente elevato.
Corri e spara, spara e corri!
I livelli di Robobeat (il cui numero è abbastanza risicato) sono composti da una sequela di arene chiuse in cui saremo principalmente chiamati ad eliminare tutto ciò che si muove. Non solo, aree, nemici e persino sequenza delle stanze e loro tipologia, sono tutte procedurali e cambiano a ogni nostra run. Eccoci arrivati quindi agli elementi da roguelike che si riscontrano tanto nelle aree di gioco quanto nella possibilità, durante una runa, di raccogliere armi diverse (Ace può sparare con due pistole insieme), bonus passivi e abilità da attivare manualmente.
Tutti questi elementi (armi, potenziamenti, ecc.) vengono eliminati al nostro game over e il loro posizionamento muta al mutare delle aree e dei nemici. L’elemento roguelike è quindi l’ossatura dei livelli dettando l’incedere dell’avventura in modo, purtroppo, abbastanza ripetitivo. Le aree di gioco, infatti, seppur mutevoli, ripetono spesso i medesimi pericoli: da elementi ambientali di vario genere (aculei sul pavimento, seghe rotanti, ecc.) ai nemici (abbastanza anonimi).
Per sopravvivere, dovremo quindi muoversi costantemente, padroneggiare le nostre abilità da parkour ed evitare di crepare, considerando anche che la nostra energia cala abbastanza rapidamente. Se la velocità delle bocche da fuoco ricorda DOOM, la velocità di azione e di morte ricorda Ghostrunner seppur la soddisfazione offerta in cambio è meno d’impatto considerando che la strategia è più casuale e caotica (legata alla natura procedurale delle aree e nemici). Non aiuta, infatti, il basso numero di abilità e di armi di cui possiamo però elogiare la particolarità (tra tutte, premiamo la furia distruttiva della racchetta da ping pong).
Robobeat è quindi un titolo difficile da consigliare e che meriterebbe una prova prima di essere vissuto appieno. Da segnalare, inoltre, la presenza di diversi caricamenti che sforano anche il minuto e mezzo, situati all’attivazione del titolo e al cambio di zone. Nulla di esageratamente gravoso ma in un titolo dove la freneticità e il ritmo dovrebbero dominare, i caricamenti non aiutano.
Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Robobeat è difficile da valutare. Prevalentemente monocromatico, molto minimalista e con elementi ripetuti spesso e volentieri, l’impatto estetico iniziale è altalenante. I nemici, ad esempio, sono prevalentemente sagome monocolore dallo scarsissimo impatto scenico mentre le aree di gioco, soprattutto quelle iniziali, sono una sequela di stanze tutte uguali e caratterizzate principalmente dal posizionamento delle trappole (anche queste destinate a ripetersi velocemente).
Nulla che riesce a lasciare realmente il segno cosa che, invece, riesce a fare il reparto sonoro. Complice la sua natura ibrida che include l’importanza del ritmo, le tracce audio (discretamente varie) offrono un buon ritmo e contribuiscono a dar vita a scontro al cardiopalma. Certo, non tutte le tracce sono memorabili e alcune risultano anche fuori sincrono rispetto all’indicatore a schermo, ma considerando la mole inclusa in Robobeat, si può chiudere un occhio.
Da segnalare anche la presenza graditissima dei sottotitoli in lingua italiana che agevolano non poco alla comprensione di una narrazione relegata soprattutto ai documenti da leggere. Infine, il titolo si difende abbastanza bene in entrambe le modalità dell’ibrida Nintendo anche se quella in dock risulta più fluida e con un feedback decisamente più comodo e immediato.