Esistono titoli videoludici impegnati, profondi, ricchi di filosofia e dal sapore poetico. E poi c’è Rocket Rumble, che non è nulla di tutto ciò.
Si tratta di un racing game orientato al puro e totale sollazzo di chi ne fruisce, con lo spirito tipico dei party game. Ciò è testimoniato soprattutto dalla sua vicinanza in termini di gameplay (malgrado la visuale top-down solo leggermente ‘isometrica’) con la serie principe dei giochi di corse pensati per le serate tra amici, ossia Mario Kart.
Giocando Rocket Rumble la prima impressione è proprio quella di trovarsi davanti ad un surrogato di questa serie, sebbene esistano alcune differenze sensibili, una su tutte la ristrettezza in termini di varietà per quanto riguarda sia i mezzi (praticamente nulla) che i circuiti (tre rispetto ai nove annunciati).
Rocket Rumble, ovvero ‘Quattro animaletti coccolosi e tanta voglia di gareggiare (anti)sportivamente’
Il titolo ha come protagonisti (e come personaggi giocabili) quattro animali antropomorfi accomunati dalla capacità di pilotare una sorta di jetpack. Sono rispettivamente il cagnetto Pepper; la gattina Ophelia; Riku, un uccello rapace simile ad un grosso gabbiano e Bert, un corpulento maiale.
Come tanti racing game orientati nel senso esposto nel paragrafo precedente, Rocket Rumble non possiede una trama, e allo stesso modo non viene fornito un background anche minimo su questi quattro protagonisti, rendendoli di fatto estremamente poco interessanti agli occhi di chi gioca.
L’unico elemento di varietà ad essi conferito che si ravvisa in-game è la personalizzazione, la quale è tuttavia ridotta a meri oggetti cosmetici che, per quanto siano numerosi e a proprio modo esteticamente gradevoli, non bastano a rendere il gioco degno dell’aggettivo ‘vario‘.
‘Chi sperona di più? Mi dirai’
Il titolo di questo paragrafo è una rivisitazione del primo verso della poesia Chi sogna di più, del poeta portoghese Fernando Pessoa. Vuole essere un tentativo di nobilitare e insieme rendere fine quello che è effettivamente lo scopo ultimo onde trionfare in Rocket Rumble: speronare gli avversari mandandoli fuori pista.
Si tratta a conti fatti del metodo più semplice per guadagnare i punti che servono per ottenere la vittoria. Tagliare il traguardo per primi in effetti non basta: è necessario ottenere punteggio danneggiando gli avversari.
Ci sono diversi modi per fare ciò. Il più semplice, oltre alla raccolta degli ottaedri sparsi lungo il percorso, è per l’appunto lo speronamento, il quale, qualora non mandi fuori pista un rivale (si tratta di circuiti sospesi in aria e i jetpack possono sollevarsi a soli pochi centimetri da terra, ergo andare fuori circuito equivale ad andare fuori gara) ha comunque l’effetto di infliggergli danno.
Ogni concorrente possiede infatti una barra della vita che se consumata lo manderà fuori gara, impedendogli di ottenere ulteriore punteggio fino al checkpoint successivo. Ognuno dei tre circuiti possiede un determinato numero di checkpoint. Quando la batteria ancora in strada ne raggiunge uno, i giocatori finiti fuori gara si respawnano in corrispondenza del checkpoint stesso, per cui la competizione non può dirsi mai conclusa fino al raggiungimento del traguardo.
Qualora tutti i concorrenti finiscano fuori gara (capita a tutti di fare una manovra troppo azzardata, no?), il respawn avverrà per tutti al checkpoint successivo.
Accanto allo speronamento non mancano i dispositivi come mine o armi simili a chakram ipertecnologici (tranquillo, nessuno degli sviluppatori ha voluto dissacrare Xena), che sono di grande aiuto sia per recuperare posizioni sia per mandare fuori gioco gli avversari. L’eco più forte dei Mario Kart si riscontra proprio in questi frangenti, oltre all’estetica stessa dei circuiti, sebbene la giocabilità e il design non eguagli minimamente quelli dell’iconica serie di Nintendo.
Divertimento e flessibilità garantiti, ma c’è da lavorare sul matchmaking e sulle interfacce
Benché, come abbiamo già puntualizzato e come appare evidente, non si tratti di un gameplay molto originale, le gare di Rocket Rumble si lasciano comunque correre con frenesia e risultano molto divertenti, soprattutto quando ci si trova in situazioni di multiplayer locale.
I ragazzi e le ragazze di PixelINAUTS Games, che si sono occupati sia dello sviluppo che del publishing, meritano un plauso particolare per aver implementato la possibilità di giocare in due usando un giocatore la tastiera del PC, l’altro un controller: una scelta flessibile che agevola il giocatore in termini di spazio e di risparmio (di questi tempi i controller costano un occhio della testa, non trovi?)
Se da un punto di vista locale tutto procede in maniera spedita, lo stesso non si può dire della controparte online del multiplayer. Malgrado Rocket Rumble goda già di una community abbastanza nutrita, i matchmaking risultano piuttosto lenti e difficilmente raggiungono il tetto massimo di giocatori (quattro).
A livello tecnico, le gare scorrono tranquillamente e senza problematiche legate a lag o cali di frame rate, lasciando al titolo la fluidità di cui ha bisogno per essere giocato con piacere. L’estetica ‘cartoonesca‘ (ma non cel shading) tanto dell’ambiente quanto dei personaggi ha sicuramente aiutato in questo senso.
Ciò che lascia basiti (ed è una problematica che spesso viene sottovalutata, dato che noi di iCrewPlay la stiamo riscontrando in molti dei titoli recensiti in questo 2021) è il grave errore di non aver curato a dovere le interfacce, lasciando il solito menù principale che sembra creato con PowerPoint. Cosa costa spendere una giornata o due di lavoro a rendere un menù esteticamente gradevole?
Dal punto di vista del sonoro, tanto gli effetti quanto la colonna sonora sono qualitativamente nella norma. La componente musicale rimane tuttavia anch’essa poco originale e non riesce ad entrare né nella testa né nel cuore di chi gioca.